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La guerra opportunista dell’Iran

La guerra opportunista dell’Iran

Teheran approfitta del conflitto a Gaza per guadagnare terreno ovunque con l’aiuto di miliziani di Libano, Yemen, Iraq e Siria. Una situazione esplosiva. In cui sono coinvolte anche le nostre truppe.


Droni iraniani spiano dal cielo la portaerei nucleare USS Dwight D. Eisenhower, che naviga nel Golfo Persico e ha lanciato elicotteri anti sommergibile e barchini minati. Il primo confronto tra americani e ayatollah, avvenuto il 28 novembre, come riflesso della guerra a Gaza. Quattro giorni prima i ribelli Houti dello Yemen, filo iraniani, avevano lanciato un drone kamikaze sul porto di Eilat, estremo sud di Israele. Un caccia con la stella di David lo ha intercettato e abbattuto, ma la guerra parallela, per procura, che si combatte dall’inizio del conflitto fra israeliani e Hamas coinvolge mezzo Medio Oriente. Hezbollah, i giannizzeri di Teheran in Libano, hanno lanciato più di mille colpi fra razzi, anticarro e mortai nel nord di Israele. In Siria e Iraq le milizie filo iraniane hanno attaccato 73 volte le basi Usa, compreso l’area dell’aeroporto di Erbil dove si trova il comando della missione italiana Prima Parthica. Il 19 novembre il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha registrato «una crescente tendenza dell’Iran a intensificare gli attacchi delle milizie contro Israele attraverso i proxy in Iraq, Siria e Yemen».

L’Italia, che è in prima linea con duemila soldati nell’area, si propone come forza di pacificazione. «Bisogna vedere cosa accadrà sul terreno, ma come abbiamo fatto in Libano nel 1982 lavoriamo per la pace e la stabilità» spiega a Panorama il nostro ministro degli Esteri, Antonio Tajani. Il riferimento storico è all’intervento del contingente italiano di 40 anni fa dopo l’assedio israeliano dei palestinesi di Yasser Arafat, a Beirut. «Da Napoli sta partendo un ospedale da campo da collocare in loco» spiega Tajani. «Gli egiziani ci permettono di usare l’aeroporto di Al Arish per evacuare i feriti da Gaza con i nostri elicotteri sulla nave ospedale ospedale Vulcano già nell’area». Guido Crosetto, ministro della Difesa, ha confermato nella visita in Israele del 24 novembre la possibilità «di installare un ospedale da campo nella Striscia di Gaza per aiutare la popolazione civile palestinese». Verso il Libano e Gaza abbiamo inviato anche due fregate lanciamissili, la Carlo Margottini e la Virgilio Fasan, che possono integrarsi con le portaerei Usa, oltre al pattugliatore d’altura Paolo Thaon di Revel.

Il timore, se la tregua per la liberazione degli ostaggi non si trasformasse in cessate il fuoco duraturo, è l’impennata dello scontro grazie agli alleati di Teheran. «Più che ottimisti siamo attivi» dichiara Tajani a Panorama. «Mandiamo messaggi all’Iran e ho incontrato i ministri degli Esteri turco, saudita, egiziano e libanese. Penso che Hezbollah non abbia intenzione di far esplodere il Libano. Stiamo facendo di tutto per disinnescare l’allargamento del conflitto». Dall’invasione israeliana di Gaza i ribelli Houti dello Yemen, sciiti finanziati e armati da Teheran, hanno dichiarato guerra allo stato ebraico. I lanci di missili balistici e droni kamikaze stanno facendo pochi danni, quasi tutti intercettati dalle forze di difesa israeliana o dalle navi da guerra americane, ma non va sottovalutata la nuova minaccia strategica. Il 24 novembre la nave porta container «Symi», di un imprenditore israeliano, è stata attaccata da un drone iraniano Shahed-136. Quattro giorni prima il generale Ali Al-Moshki, dei miliziani yemeniti, aveva annunciato che «per noi le navi israeliane sono obiettivi legittimi ovunque». Nelle stesse ore gli Houti sequestravano il mercantile Galaxi abbordandolo con un elicottero e barchini veloci. Il cargo, battente bandiera delle Bahamas, di proprietà britannica, è gestito da una società giapponese, ma ha legami con l’uomo d’affari israeliano Abraham Rami Ungar.

Nicola Pedde, direttore dell’Institute for Global Studies, è convinto che i gruppi armati e politici del cosiddetto «Asse della resistenza», alleati dell’Iran nella regione, non rappresentino «un blocco monolitico agli ordini di Teheran. Oggi sono attori statuali con un’agenda che coincide con quella iraniana pur mantenendo interessi propri e individuali». La punta di diamante dell’asse filo iraniano è il partito armato Hezbollah in Libano guidato da Hassan Nasrallah. Un mini esercito che dispone di un arsenale di almeno 130 mila missili e razzi. Una fonte di Panorama a Beirut risponde con un caustico ed efficace «2006×10» su cosa potrebbe accadere se esplodesse del tutto il fronte nord, al confine fra Israele e Libano. Il 2006 è l’anno della devastante guerra fra Hezbollah ed Israele. In mezzo ci sono 1.103 caschi blu italiani, parte della missione Onu di 10 mila uomini, con 374 mezzi terrestri e 6 mezzi aerei comandati dal generale Giovanni Brafa Musicoro. Sul sito della Difesa si legge che il compito del contingente di pace è «prevenire la ripresa delle ostilità, mantenendo tra la Blue Line (il confine non ufficiale con Israele, nda) e il fiume Litani un’area cuscinetto libera da personale armato, assetti ed armamenti che non siano quelli del governo libanese e di Unifil». Hezbollah lancia missili teleguidati anticarro a pochi passi dalla Blue line e Israele risponde al fuoco sopra la testa dei caschi blu riparati nei bunker. Ogni tanto qualche razzo arriva sulle basi dell’Onu compreso il quartier generale di Naqura. Non è un caso che Guido Crosetto, ministro della Difesa, il 27 novembre sia volato al Palazzo di Vetro a New York, dopo avere ventilato il ritiro italiano dal Libano. Sul mandato dei caschi blu ha pochi dubbi: «Basta guardare la situazione e gli attacchi di ogni giorno per capire che evidentemente non è stato assolto. Che senso ha mantenere una missione Onu se non fa nulla per raggiungere l’obiettivo?».

Intanto, in Siria e Iraq gli «ascari» di Teheran prendono di mira le basi americane che in alcuni casi ospitano soldati italiani. Dal 17 ottobre il Pentagono ha reso noto che ci sono stati 73 attacchi in Siria e Iraq, 62 i feriti. Gli Usa hanno 900 uomini sul territorio siriano e 2.500 su quello iracheno. La base all’aeroporto di Erbil è stata colpita sette volte. Nella stessa area ci sono i 750 militari italiani della missione di addestramento e contrasto allo Stato islamico «Prima Parthica». Oltre agli elicotteri, il grosso delle truppe fa parte del 5° Reggimento Alpini della Brigata Julia agli ordini del Colonnello Francesco Serafini. A Baghdad partecipiamo anche alla missione Nato di supporto alle forze di sicurezza irachene con consiglieri dell’Arma dei carabinieri e il generale Nicola Piasente nel ruolo di capo di Stato maggiore.

«L’obiettivo non sono gli italiani, ma gli americani» sottolinea una fonte militare di Panorama. «L’Iran ha colto l’occasione per accentuare la guerra di attrito contro gli interessi statunitensi nel Medio Oriente attraverso i suoi Paesi proxy». L’obiettivo è «sfruttare» la guerra a Gaza per accelerare il processo già in corso di disimpegno Usa dall’Iraq e dalla Siria. «Però l’altra faccia della medaglia è un riposizionamento importante delle forze americane con portaerei, relative squadre navali e batterie anti-missile nella regione» osserva la fonte. L’ufficiale mette in guardia sul livello dello scontro: «Dal punto di vista tecnologico sono enormemente cresciuti, con droni kamikaze e missili balistici a corto raggio, che significa 60 chilometri di gittata. Prima tiravano gli Rpg oppure usavano i razzi da 107 millimetri o i mortai». Gli americani stanno calibrando le reazioni che diventano sempre più incisive. Il 21 novembre la temibile cannoniera volante Ac-130, un velivolo conosciuto come «Angelo della morte», ha spazzato via cinque uomini di Kataeb Hezbollah, una delle fazioni armate filo iraniane in gran parte integrate nelle forze di sicurezza irachene. Una rappresaglia all’attacco alla base di Ain al-Assad dove si trovano le truppe Usa. Il portavoce dell’esecutivo iracheno, Bassem al Awadi, ha dichiarato che «il governo considera l’escalation come un’inaccettabile violazione della sovranità».

In Siria stesso scenario con l’aggiunta di bombardamenti israeliani mirati ai canali di rifornimento militare di Teheran per gli Hezbollah. E davanti alle alture del Golan, trincerate dallo Stato ebraico, i Guardiani della rivoluzione iraniana della brigata Al Quds (nome arabo di Gerusalemme) hanno messo in piedi una milizia locale che punzecchia Israele su un nuovo fronte. «Il conflitto di attrito fra Usa e Iran è sul filo del rasoio e potrebbe coinvolgere lo stretto di Hormuz» teme la fonte militare di Panorama. La portaerei nucleare americana Dwight D. Eisenhower è arrivata nell’area e un’altra squadra navale con un seconda portaerei, la Gerald R. Ford, si trova davanti a Gaza. L’Italia partecipa a una missione dell’Unione europea «per garantire la libertà di navigazione nello Stretto di Hormuz» con 193 uomini, una nave e due assetti aerei. Il ministro degli Esteri iraniano, Hossein Amir Abdollahian, ha dichiarato minaccioso e senza giri di parole che «il dispiegamento di portaerei Usa nella regione non costituisce un punto di forza per gli Stati Uniti. Crediamo invece che li renda più esposti a possibili attacchi».

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