La guerra che insanguina il Medio Oriente si sta fatalmente saldando con il conflitto in Ucraina. E gli effetti saranno durissimi per la stabilità dell’Europa. Crescita azzerata, aumento dei debiti statali, energia sempre più cara. L’offensiva terroristica di Hamas diventa così il vero «cigno nero» che aggrava gli elementi di crisi in Occidente. Con alcuni Paesi che, per fragilità interne, soffriranno di più…
Ci vorrebbe un altro Winston Churchill che ripetesse, come fece il primo ministro britannico il 13 maggio 1940 alla Camera dei Comuni, «non posso promettervi altro che sangue, fatica, lacrime e sudore» per fare chiarezza su cosa ci aspetta nei prossimi mesi. Il nostro ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti con toni più felpati ha spiegato che non c’è un euro. Lo ha fatto presentando la Nadef, l’atto che precede la legge di bilancio, oggi già recapitata a Bruxelles. Il governo ha tre priorità: cuneo fiscale, sanità e denatalità. Per il resto non c’è spazio e il ministro ha sancito: faremo tagli forti, difficili da digerire. Lasciando intendere che se il quadro internazionale peggiora – tensione sui prezzi dell’energia, crollo dell’export, aumento dei rendimenti dei Buoni che puntellano il nostro debito – si dovranno rivedere anche i saldi finali.
Emergendo in contabilità le zavorre del Superbonus edilizio e se lo spread salisse di oltre 100 punti base rispetto alla media di oggi (a cavallo dei 200 punti) il bilancio dello Stato andrebbe in affanno. Gli analisti finanziari sono molto cauti: due conflitti contemporanei rendono il quadro incerto e fosco. Un sondaggio di Assiom Forex, che riunisce gli operatori di Borsa, rivela che solo il 48 per cento si aspetta un mercato stabile e rendimenti obbligazionari fermi, per uno su tre il mercato tenderà a un deciso ribasso. Milano peraltro è stata la piazza più volatile nelle ultime settimane. Le incognite sono: stretta monetaria, debolezza economica con incertezza sull’energia che potrebbe vanificare anche la dura lotta all’inflazione e tensione sui mercati obbligazionari, al punto che il 38 per cento degli operatori prevede lo spread stabilmente collocato sopra i 200 punti. Per i conti dello Stato significa «prezzare» il servizio del debito oltre gli 80 miliardi. Il terrorismo di Hamas che si macchia di stragi orrende combinato con la sorda guerra sul fronte ucraino con Volodymyr Zelenski che preme per altri aiuti ma ora viene accolto con freddezza perché i fondi scarseggiano, stendono un velo di gelo sull’economia mondiale, europea e italiana in particolare.
Ciò che sta incendiando Gaza, ciò che continua ad accadere attorno a Melitopol inducono il Fondo monetario a ritoccare pesantemente al ribasso le previsioni mettendo in evidenza ciò che a Bruxelles non vorrebbero sentirsi dire: l’Europa è oggi il punto debole del mondo e l’area euro in particolare. Se la moneta unica doveva essere lo scudo contro le crisi e l’ascensore verso lo sviluppo, in questo momento storico ha fallito. Sostiene Kristalina Georgieva, direttrice generale del Fondo monetario internazionale, che ci sarà un rallentamento nell’economia globale: siamo sotto i livelli pre-Covid e il mondo non arriverà al 3 per cento di crescita nel 2024. La Cina farà fatica a raggiungere il 5 per cento di aumento del Pil. Per la Repubblica popolare significa «quasi crisi»… L’unica economia che «tira» sono gli Stati Uniti. Il Fondo ha rafforzato di tre decimali le previsioni di crescita degli Usa per quest’anno (più 2,1 per cento) e di mezzo punto quelle per il 2024: 1,5 per cento. Chi sta male è il Vecchio continentea: appena lo 0,7 per cento quest’anno, l’1,2 il prossimo con la Germania in forte recessione (meno 0,5 per cento) e una ripresa lentissima nel ‘24.
L’Italia è vista in peggioramento: crescita dello 0,7 per cento in tutte e due gli anni e lontano da quanto scritto nella Nadef. Secondo il ministero dell’Economia dovremmo aumentare dello 0,8 quest’anno dell’1,2 per cento il prossimo. L’analisi del Fondo monetario è però anche un paradigma delle sottovalutazioni che si sono fatte. La prima riguarda la Russia vista in crescita del 2,2 per cento. Certo produrre armi aiuta il Pil, ma non significa distribuire benessere alla popolazione, e tuttavia dimostra che le sanzioni non sono del tutto efficaci, soprattutto se si va verso una crisi energetica. La seconda riguarda la Cina, che ha una crisi di debito privato senza pari – dopo Evergrande sta fallendo anche Country Garden, un immenso gruppo immobiliare che innesca il crollo di molte banche regionali – perciò diventa più autarchica, importa meno e lancia una nuova offensiva monetaria e politica. La terza riguarda l’inflazione. Se Jerome Powell, numero uno della Federal reserve americana, che per ora sta fermo sui tassi fissati ai massimi storici – tra 5,2 e 5,5 per cento – ha ragione di sorvegliare l’economia ipertrofica del suo Paese e quindi di annunciare che la stretta monetaria durerà, assai diverso è lo scenario che si presenta alla sua omologa Christine Lagarde in Europa. L’economia e la crescita sono in frenata, ma la Banca centrale sotto la spinta della Germania, e in particolare di Isabel Schnabel, non sente ragioni: vuole continuare a stringere sui tassi di interesse e non è detto che a novembre non si arrivi a un ulteriore rialzo. La ragione è tutta tedesca.
Olaf Scholz, il cancelliere socialdemocratico, ha perso fragorosamente le elezioni in Baviera e Assia, ha un governo litigiosissimo e ha dovuto annunciare ai tedeschi: dobbiamo stringere la cinghia. Il loro modello è in crisi. Non c’è più l’energia a bassissimo costo proveniente dalla Russia, non c’è più la Cina che comprava tutto e di tutto, la base industriale si sta sgretolando perché si è spostata all’estero e in particolare oltreoceano, attratta dai contributi che Joe Biden ha offerto con l’Inflation Reduction Act: 430 miliardi di dollari di aiuti. Dunque la pur ricca Berlino non ha capienza per aumentare i salari e deve per forza difendere il potere di acquisto riducendo l’inflazione. Questo quadro rivela che vi è una profonda asimmetria tra gli effetti che la guerra in Ucraina ha provocato sull’America e quelli che sta causando sull’Europa. Aumentati dalla crisi israeliana. Il Vecchio continente con la lotta miope all’inflazione come la sta conducendo Lagarde si avvia sulla strada della stagflazione. L’inflazione calerà, ma non rapidamente e soprattutto quella «core» resta attestata su uno zoccolo duro del 4 per cento. Anni e anni di liquidità immessa a tassi negativi sono duri da smaltire. Le premesse perché l’Europa finisca in una palude economica ci sono tutte. Ma la sottovalutazione più evidente è quella fatta rispetto alla strategia geopolitica evidenziata al recente vertice di Johannesburg – lo scorso agosto – dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica, cui si sono aggregati l’Arabia saudita e un’altra trentina di Stati africani).
Dai Brics è partita un’offensiva contro l’assetto bipolare dell’economia mondiale e in particolare contro l’Occidente. Nessuno dei Brics ha condannato apertamente i massacri perpetrati da Hamas in Israele, e in Africa la maggioranza dei Paesi sta con i palestinesi. Per paradosso il vertice dell’Fmi che annuncia tempesta economica si è tenuto a Marrakech e il Marocco è, con Algeria e Tunisia, tra i più vicini sia alla Jihad sia a Hezbollah in Libano. Dai Brics è emerso che l’Arabia saudita fa blocco petrolifero con la Russia, e che India e Cina comprano tutto il greggio pagando in valuta locale per «de-dolarizzare» l’economia; ma soprattutto Pechino è riuscita a mettere insieme Riad e Teheran – gli uni sunniti, gli altri sciiti – che nella capitale cinese hanno firmato un patto di collaborazione. Il presidente americano Biden ha cercato di sterilizzare quell’accordo con uno scambio di prigionieri – avvenuto il 24 settembre – e il pagamento a Teheran di 6 miliardi di dollari. Probabilmente quei soldi, come l’oltre miliardo di euro che l’Europa versa ai palestinesi, hanno armato Hamas. L’incognita più pressante nell’immediato riguarda il prezzo dell’energia. Il ministro Gilberto Pichetto Fratin dell’Ambiente e della Sicurezza energetica rassicura: le riserve dell’Italia sono al 97 per cento. Il gas però è già schizzato sopra i 41 dollari al megawattora, il petrolio «vede» i 100 dollari al barile ed è l’arma che la Russia usa – in accordo con Arabia, Opec e Iran – per condizionare l’Europa.
Le conseguenze del sabotaggio al gasdotto Finlandia-Estonia nel mar Baltico sono pesantissime. La fragilità del settore non si è spostata di una virgola nell’Unione: gli acquisti di gas comuni sono finiti, il piano per approvvigionamenti «puliti» REpowerUE è rimasto nel cassetto, il mercato di Amsterdam basato sugli Etf continua la sua attività speculativa. Un rialzo dell’energia – assai probabile – renderebbe del tutto vano il lavoro di Christine Lagarde sui tassi perché l’inflazione tornerebbe a infiammarsi. Intanto l’Algeria, che è il nostro primo fornitore di gas e petrolio, è uno dei maggiori finanziatori di Hamas. Fa affari con Vladimir Putin e con i soldi che gli versiamo sta studiando le privatizzazioni dell’Italia. Il ministro Giorgetti ha affidato alle ultime vendite di Stato (una su tutti Monte dei Paschi di Siena) un po’ di recupero del debito (che ha toccato i 2.884 miliardi). Algeri è pronta a comprarsi pezzi d’Italia, attesa al rinnovo del patto di stabilità. Roma chiede lo scorporo degli investimenti dal conto sul debito – il Pnrr è la nostra leva per far crescere il Pil e aggiustare i conti – ma Paolo Gentiloni, commissario all’Economia più Pd che italiano, non fa sconti. Si va verso la linea tedesca: defict/Pil al 3 per cento, riduzione del debito dell’1 per cento all’anno.
Se entrasse in vigore questo patto di stabilità dal 1 gennaio l’Italia sarebbe in procedura d’infrazione. In questo contesto si devono collocare, la stima è dell’Ufficio parlamentare di bilancio, 488 miliardi di debito nel 2024. Le agenzie di rating stanno per dare le pagelle di affidabilità: il 20 ottobre Standard&Poor’s, il 10 novembre Fitch, una settimana dopo Moody’s. Giorgetti ha detto: più dell’Europa temo i mercati. Mercati che ora sono sotto l’effetto imprevedibile delle stragi di Hamas.