Il dettaglio più agghiacciante è la musica, quella che accompagna il video attraverso il quale il commissario Ue per la gestione delle crisi, la belga Hadja Lahbib, ha lanciato il «kit di sopravvivenza» per le prime 72 ore della guerra che verrà. Un cacofonico accompagnamento musicale da sit-com americana per annunciare la più terribile delle tragedie: un conflitto armato dato ormai per sicuro, come un anno fa si dava per sicura la pandemia X e due anni fa l’estinzione della specie umana a causa dei cambiamenti climatici. Oggi quelle tre emergenze – guerra in testa, che ha spodestato pandemia e clima – campeggiano sul documento «Strategia di preparazione dell’Unione» presentato ieri a Bruxelles nel quale il dottor Stranamore-Ue, guidato da Ursula von der Leyen, conquistando ormai la vetta più alta dell’irresponsabilità e del grottesco, agita lo spauracchio più temuto: il conflitto armato sul nostro territorio e sulle nostre città.
Si tratta di 30 strumenti e azioni chiave consigliati dall’Ue per affrontare le prossime e sicure emergenze. L’introduzione è tutta una comica: «L’Europa ha risposto alle crisi con una rapidità e una determinazione senza precedenti, dimostrando solidarietà e resilienza», però «una solida preparazione non è gratuita. Gli investimenti in preparazione implicano dei costi, ma questi sono controbilanciati dai guadagni a lungo termine in termini di resilienza». Traduzione: tutto ciò che fino a oggi le strutture sovranazionali come l’Ue, che si tengono in piedi grazie ai contributi dei Paesi membri pagati con le tasse, assicuravano di default – a cominciare dal diritto alla pace, inalienabile – diventa negoziabile: prima vedere cammello. Pagheremo noi, infatti, l’allestimento della guerra decisa a tavolino da Bruxelles, grazie anche alla cooperazione pubblico-privato, «pilastro fondamentale della preparazione dell’Ue» come un tempo lo è stata quella con le case farmaceutiche in pandemia: il copione è sempre lo stesso.
Le azioni annunciate da Bruxelles sono ancora più allarmanti e spaziano dal settore giuridico a quello operativo e militare. Si parte dalla prossima promulgazione, sia a livello nazionale che europeo, di «leggi per rafforzare la resilienza delle funzioni vitali della società»: la Commissione, insieme con gli Stati membri, rivedrà i quadri legislativi e operativi pertinenti per consentire una «flessibilità di emergenza mirata, sia giuridica che finanziaria» e avviare iniziative come lo stoccaggio, la «resilienza idrica» ma anche quella «psicologica», che dovrà «garantire una maggiore preparazione individuale, intergenerazionale e familiare». A cominciare dai bambini, dato che le scuole dovranno promuovere l’alfabetizzazione digitale (leggi: Dad) e mediatica per «sviluppare il pensiero critico» facendo pieno uso della «cassetta degli attrezzi del Digital services act». Non si è mai vista, in effetti, una guerra senza la censura, che ovviamente serve a «prevenire la disinformazione».
A metà del documento, la Commissione entra nel vivo delle azioni e annuncia il «rapido dispiegamento di lavoratori e volontari in tutta l’Ue», perché «dobbiamo prepararci a incidenti e crisi su larga scala, inclusa la possibilità di aggressione armata». In questo caso, le forze armate richiederanno «supporto civile per garantire il funzionamento continuo dello Stato e della società». L’Ue sta pianificando la mobilità militare e le evacuazioni di massa, oltre all’intensificazione delle esercitazioni e l’istituzione di un ospedale da campo europeo. La Commissione e l’Alto rappresentante potenzieranno inoltre le infrastrutture per «accogliere il peso, le dimensioni o la scala del trasporto militare di truppe e materiali». Tutto ciò che sembrava impossibile in tempo di pace, insomma – ponti, autostrade, ferrovie – si realizzerà magicamente «grazie» alla guerra: di cosa ci lamentiamo?
Tra le azioni annunciate, l’Ue notifica lo sviluppo di linee guida «per raggiungere un’autosufficienza della popolazione di almeno 72 ore»: per gli Otelma di Bruxelles ci aspetta un blitzkrieg, insomma, e se dovesse durare tre anni e non tre giorni – come è stata fatta durare la guerra in Ucraina sulla pelle dei suoi abitanti – ci dovremo arrangiare.
Prendiamo nota, comunque, di cosa ci servirà per quelle 72 ore: stoccaggio di forniture essenziali, disponibilità di rifugi, misure per garantire la disponibilità di terreno e spazio critici (l’esproprio, in buona sostanza) e altre misure per «proteggere» persone, animali e proprietà. E soprattutto gli accessori che ha elencato la commissaria Lahbib nel festoso video «Cosa c’è nella mia borsa/Survival edition»: documenti, torcia, fiammiferi e accendino, acqua, coltellino svizzero, medicine, caricatore e powerbank, una radio per ascoltare le notizie, carte da gioco e qualcosa da mangiare «tra cui la pasta alla puttanesca», ha passato in rassegna Lahbib ridendo a crepapelle. E naturalmente i contanti: in caso di crisi, «cash is king», perché «la tua carta di credito potrebbe diventare soltanto un pezzo di plastica». Contrordine compagni! Stavamo predicando da anni che avreste dovuto rinunciare ai contanti, ma fatene scorta perché in guerra tutto è permesso. Compresa la flessibilità delle norme sugli appalti pubblici: la Commissione presenterà una proposta per rivedere il Public procurement framework, «basandosi sull’esperienza del Covid», così che le autorità contraenti possano «ridurre le scadenze». I tempi sono strettissimi: a breve i luoghi pubblici saranno inondati da questa massiccia e scriteriata propaganda bellica, sperando che la preparazione di Bruxelles si limiti alla «resilienza».