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La resistenza iraniana: gli ayatollah mentono

La resistenza iraniana: gli ayatollah mentono

La resistenza in esilio denuncia che Teheran disattende sistematicamente l’accordo per bloccare il programma nucleare con finalità militari. E ora sostiene, con documenti esclusivi, che ha costruito nuovi siti per la produzione di armamenti strategici.


Secondo la resistenza in esilio, sull’Iran Donald Trump aveva ragione. Silenziosamente, il governo di Teheran ha costruito in luoghi, in buona parte lontani dalla capitale e dalle grandi città, centri di ricerca per proseguire il programma nucleare con finalità militari.

In pratica, la Guida suprema Ali Khamenei e il capo del governo Hassan Rouhani hanno dato le disposizioni necessarie – e con gli investimenti adeguati – per costruire nuovi centri per produrre bombe atomiche, aggirando, anzi violando segretamente, tutte le clausole dell’accordo del 14 luglio del 2015, il Joint Comprehensive Plan of Action (Jcpoa).

L’intesa era stata firmata dal governo della Repubblica islamica e dai rappresentanti del Gruppo dei 5+1 (Stati Uniti, Gran Bretagna, Russia, Cina, Francia, Germania e Unione europea). Era stato concordato che, per la durata di 13 anni, fosse ridotta l’utilizzazione del 98% delle riserve di uranio a basso arricchimento, e venissero tagliati due terzi delle centrifughe a gas.

Ma, nel maggio del 2018, il presidente Trump ha clamorosamente annunciato l’uscita degli Usa dall’accordo, voluto dal predecessore Barack Obama. Contemporaneamente la Casa Bianca ha deciso il ripristino delle sanzioni contro l’Iran: una mossa criticata dall’Unione europea e dagli altri firmatari del Jcpoa.

Ora la resistenza iraniana, utilizzando le proprie informazioni riservate sul territorio (tecnici, studenti, operai che lavorano nei centri nucleari), è riuscita a fotografare, con la collaborazione dei servizi Usa (che hanno sfruttato le immagini satellitari) i siti segreti iraniani, come confermano le foto pubblicate.

In pratica, le rivelazioni del Consiglio della resistenza iraniana, che ha sede a Parigi ed è presieduto da Maryam Rajavi, confermano le denunce degli americani: ossia che il regime di Khamenei non ha mai rispettato gli impegni dell’accordo del 2015 e che le violazioni erano già presenti molto prima dell’uscita degli Stati Uniti.

Per la verità, quella dell’attività segreta degli scienziati e tecnici iraniani è stata sempre una preoccupazione anche degli europei, ma questi ultimi hanno finito col subire l’accordo dopo le insistenze di Obama, che era stato officiato a Oslo del Nobel per la pace.

Le prime costruzioni dei siti nucleari quasi tutti sotterranei e ubicati vicino a stabilimenti industriali per confondere i satelliti (e i droni, tecnologicamente avanzati) sono nati nel febbraio 2011. A quell’anno risalgono pure le prime denunce della resistenza iraniana (anche Panorama se ne occupò) sugli impianti pericolosi che avrebbero prodotto armi nucleari.

La costruzione di queste complesse strutture è iniziata nel 2012 ed è durata diversi anni. Nel 2017 alcune sezioni di ricerca e costruzione (tra cui quella geofisica) furono gradualmente trasferite in altre località, anch’esse segrete, e l’area originaria venne ampliata.

Tutto questo è stato possibile perché si trattava di una zona militare e quindi i cambiamenti edilizi e tecnologici e i trasferimenti del personale potevano avvenire senza alcun controllo e pubblicità. Intanto autorevoli ayatollah continuavano a ripetere, quando erano interpellati dai media o dai diplomatici stranieri, che il programma nucleare aveva finalità esclusivamente pacifiche.

Gli strateghi del nucleare non sono però, come in passato, eminenze grigie. Ora hanno un nome e un cognome. Eccoli: Mohsen Fakhrizadeh Mahabadi, presidente dell’Organizzazione per l’innovazione e la ricerca della difesa, nota con l’acronimo persiano Spnd, che opera all’interno del ministero della Difesa, controllato rigorosamente dal corpo dei pasdaran (le guardie rivoluzionarie islamiche); Mohammad Najjar, ex ministro della Difesa nel governo di Mahmud Ahmadinejad; il generale Ahmad Vahidi, anche lui ex ministro della Difesa, ora capo dell’Istituto di ricerca dell’Università della Difesa; Na’ man Gholami, comandante della milizia paramilitare Bassij.

I dirigenti della resistenza iraniana, che hanno un ufficio di rappresentanza a Washington, affermano che «la politica di condiscendenza dell’Occidente, soprattutto della Ue, ha consentito al regime di Teheran di accelerare la corsa per produrre armi nucleari. Queste micidiali ordigni fanno parte, come è ormai noto, della strategia di sopravvivenza dei mullah». Alireza Jafarzandeh, dirigente dell’Ufficio della resistenza negli Usa, ha aggiunto: «Secondo informazioni riservate da fonti all’interno dell’Iran, il governo di Rouhani ha proseguito senza soste il suo lavoro, anche dopo l’accordo nucleare col 5+1».

I nuovi centri sono stati avviati o potenziati in primo luogo a Khojir, dove ha sede il più grande complesso per la produzione di missili balistici (industrie Hammat e Bakert). A nord di questo nuovo sito (Damavand Road), nel territorio di Hakimiyer, si trovano il quartier generale dell’organizzazione aerospaziale del ministero della Difesa, con le industrie meccaniche (Mahallat).

Dal 2017, il Consiglio della resistenza ha denunciato che il ministero della Difesa, su disposizione dei governo di Teheran, ha intensificato la sua attività in un nuovo centro, definito «Research Academy» nel complesso Parchin, a sud est di Teheran. Si tratta di un sito – ha precisato il dirigente della resistenza – collegato con gli stabilimenti dove vengono costruiti missili a medio e lungo raggio, perché in quest’area si garantisce meglio «una copertura per le attività nucleari dell’Iran».

Un altro sito, denominato «Marivan», si trova vicino alla città di Abadeh, nella provincia di Isfahan. Dista da Teheran circa 670 chilometri, a sud. È stato costruito nel 2017, con la supervisione di Ali Shamkhani, attuale segretario generale del Consiglio supremo di sicurezza; nel governo Khatami, è stato ministro della Difesa e ha sempre goduto dell’assoluta fiducia di Ali Khamenei. Questi impianti di Ahamd-Abad (Abadeh) sono collegati alle attività del Metfaz, Centro per la ricerca e l’espansione delle tecnologie su esplosioni e impatto, controllate strettamente dall’Inpg, Corpo dei pasdaran, nella costruzione delle armi nucleari.

Ora però Ali Shamkhani, su ordine del governo, ha fatto demolire una parte degli apparati produttivi del nucleare per consentire agli ispettori dell’Aiea di compiere le ispezioni, previste nell’intesa del 2015. L’Agenzia per l’energia atomica gestisce, con discrezione, un servizio di spionaggio, non di grande efficienza ma sufficiente per sospettare che qualcosa di marcio esistesse, sebbene mascherato dalle austere barbe degli ayatollah.

Del resto, confermano i dirigenti della resistenza, «le immagini satellitari mostrano che le strutture del nucleare erano inconfondibili prima di essere rase al suolo dall’Irgc, nel luglio 2019». Dopo un anno di «sanificazione», Teheran si è decisa a concedere il via libera all’Aiea il 26 agosto scorso.

Ma non è finita qui. Si hanno infatti notizie che nuovi centri segreti siano stati progettati (qualcuno è forse già in costruzione) in aree militari, dove è più difficile l’accesso degli ispettori dell’Aiea e che ancora non sono noti. L’Agenzia atomica avrà dunque un compito molto difficile. Si troverà come alleati gli Stati Uniti, mentre con gli altri Paesi (Cina, Russia e Unione europea) dovrà confrontarsi in un percorso a ostacoli, fatti di eccessive tolleranze tattiche, complicità diplomatiche e condiscendenze.

Non va infatti dimenticato che tutti i Paesi firmatari in questi anni hanno concluso contratti commerciali e industriali con Teheran.
Anche l’Italia è fortemente interessata al business iraniano. All’orizzonte vi sono ben 30 miliardi di euro di contratti firmati o da definire, anche con la garanzia dello Stato, attraverso la Cassa depositi e prestiti.

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