Ricatto e castigo
0 seconds of 1 minute, 45 secondsVolume 90%
Press shift question mark to access a list of keyboard shortcuts
00:00
01:45
01:45
 
Home » Personaggi » Gossip » La sexy story di Sangalli finisce davanti a un giudice

La sexy story di Sangalli finisce davanti a un giudice

La storia di ricatto e castigo che ha fatto tremare Confcommercio dalle fondamenta è giunta a un punto di svolta. Con la richiesta di rinvio a giudizio della «coppia diabolica» che voleva defenestrare il presidente dell’associazione imprenditoriale e arrivare al potere. Nelle prossime settimane il gup dovrà dire se c’è materia per un processo.


Il titolo, dostoevskiano, c’è già: «Ricatto e castigo». Trama avvincente: soldi, sesso e potere. Ambientazione da bestseller: le ovattate stanze del miglior salotto dell’imprenditoria italiana. Un colpo di scena dopo l’altro, alla rocambolesca spy story adesso manca solo il finale. Comincerà a scriverlo un giudice, Alessandro Arturi, il 26 giugno 2020, quando il Tribunale di Roma deciderà se rinviare a giudizio Francesco Rivolta e Giovanna Venturini.

Lui è stato direttore generale di Confcommercio, la più grande e influente associazione imprenditoriale del Paese. Lei è la sua ex segretaria. Per la procura della capitale sono una sorta di diabolica coppia. I presunti autori dell’estorsione a Carlo Sangalli, detto «Carluccio»: 82 primavere e una vita di sberluccicante comando. Deputato della Dc per oltre un trentennio e presidente della Confcommercio dal 2006. Ascoltatissimo e riveritissimo. L’ultima riprova è di una settimana fa, in piena emergenza coronavirus. Il coprifuoco serale di bar e locali milanesi è stato revocato dopo le sue critiche. Non a caso.

E non a caso, a novembre 2018, il «Confcommercio gate» finisce in prima pagina. Ma è solo l’incipit dell’intrigo. All’inizio, sembra la storia più antica del mondo. I giornali tratteggiano con chiarezza il ruolo dei protagonisti. La vittima è la segretaria, molestata dal bramoso capo e aiutata dal donchisciottesco manager. Ma su Panorama, una settimana più tardi, Fabio Amendolara rivela il colpo di scena: Sangalli sarebbe stato vittima di un’estorsione pianificata da Venturini e Rivolta, legati da rapporto sentimentale. Un mese fa il pm di Roma, Margherita Pinto, conferma la ricostruzione, chiedendo per i due il rinvio a giudizio. E sono proprio le carte dell’indagine, che abbiamo letto in esclusiva, a rivelare l’ordito. Una storia di passioni e vendette, svelata da indagini dei carabinieri e pedinamenti di investigatori privati.

Video rubati, messaggi carpiti e fotocamere nascoste. Partiamo però dall’inizio. Primi di novembre 2018. Si scopre che il 7 giugno dello stesso anno, dopo l’assemblea generale di Confcommercio, ospiti d’onore gli allora vice premier Matteo Salvini e Luigi Di Maio, Sangalli aveva ricevuto una lettera riservata. Tre dei sette vicepresidenti dell’associazione gli chiedevano le dimissioni. E perché? «Ragioni etico-morali» e «incompatibilità». Si riferivano, insomma, alla cospicua donazione per la sua ex segretaria, Venturini. Un regalo da ben 216.000 euro, versati per mettere a tacere supposte molestie alla donna.

Cominciano a emergere turpi particolari. Del resto, si sa: sesso e soldi sono due delle tre esse (la terza è «sangue») che fanno la fortuna del giornalismo. E la regola, in quel momento, vale doppio. Negli Stati Uniti è appena scoppiato il #MeToo. E anche l’Italia ha il suo boccaccesco romanzo morale. Certo, qualcosa non torna. Venturini ha aspettato quasi sei anni prima di battere cassa. Pure le prove dei presunti abusi non sembrano lampanti. Persino la pistola poggiata sul tavolo delle redazioni non è proprio fumante. È un video del 4 aprile 2012, che registra una conversazione con l’allora superiore: «Io non posso più lavorare per lei. Questa situazione mi sta creando disturbi psicologici». Il presidente trasecola: «Quale situazione?». «Queste attenzioni…». Lei, quindi, vorrebbe cambiare ufficio. Lui insiste perché rimanga al suo posto, ma alla fine acconsente e conclude: «Devo andare a confessarmi».

La segretaria lascia dunque l’incarico, per lavorare a tempo pieno con Rivolta. Passano cinque anni e sette mesi. Il colpo di scena arriva a novembre 2017. Sono i documenti dell’inchiesta, che partirà un anno dopo, a definire il prosieguo della spy story. E a trasformare quella che sembrava la solita e inaccettabile narrazione, il potentone che si approfitta della fida segretaria, in un sofisticato ricatto. Le contropartite, per i pm, sono due. Tanti soldi per Venturini. E pieni poteri per Rivolta. Un piano svelato da eloquenti messaggi e inaspettate rivelazioni. All’ombra di una furiosa lotta di potere, che ha rischiato di sconquassare l’associazione che raccoglie oltre 700 mila aziende imprenditoriali.

I dissapori tra Sangalli e Rivolta, ricostruisce il sostituto procuratore romano, esplodono a fine settembre 2017. Sono i giorni della convention di Confcommercio al Chia laguna resort, in Sardegna. Sangalli, durante il suo intervento, sottolinea la «necessità che il direttore generale non invada i poteri del presidente». Si riferisce, soprattutto, al suo ruolo politico. Una stilettata che, per i magistrati, «poteva aver creato malumori nel Rivolta, appartenente a un’altra generazione e determinato a conquistare spazi in Confcommercio». Sarebbe dunque questo «il possibile movente»: il «personalissimo interesse».

I primi messaggi a cui risale il magistrato sono del novembre 2017. È proprio il direttore generale, poi licenziato, che comincia a inviare sms al presidente. All’inizio, sembra un mero intermediario: l’amico buono che s’immola per risolvere una colossale grana. Ricorda a Sangalli il video compromettente. Quello che Venturini, scriverà il pm romano, avrebbe definito «la mia assicurazione». Quello, assicura Sangalli, a cui la donna non ha mai fatto riferimento in tanti anni. Eppure gli sms di Rivolta sembrano espliciti: pagamento e dimissioni.

Il 26 ottobre 2017 accusa il presidente di «aver appiccato l’incendio nascondendo la mano». Preannuncia poi, annota il magistrato, che «la misura si sta colmando e sarà costretto ad agire per legittima difesa». Nel successivo messaggio delle 11.54 spiega: il suo rancore nascerebbe dagli «echi di Chia». Insomma, Rivolta «insinua subdolamente nell’animo di Sangalli la paura per fatti di sei anni prima: la vittima intendeva denunciarlo».

«Una bomba a orologeria» aggiunge la procura. Pronta a detonare mentre «lo scandalo del produttore americano Harvey Weinstein sale alla ribalta». Il presidente di Confcommercio, che sarà sentito dal pm l’11 dicembre 2018, ricorda quel periodo come «un incubo». «Temevo che, se fosse scoppiato lo scandalo, Confcommercio avrebbe perso di credibilità». I messaggi, aggiunge, «arrivavano con tempismo perfetto, immediatamente prima dei miei interventi pubblici». Per aumentare «ansie e preoccupazioni». Oppure nel cuore della notte, o all’alba.

Così, il 19 gennaio 2018, Sangalli firma una cospicua donazione a favore di Venturini: 200.000 euro, e altri 16.000 di spese per l’atto. «Lei sembrava serena. Davanti al notaio, alla fine m’aveva persino ringraziato» racconta ancora al magistrato. Ma il denaro, in questa storia, diventa quasi un’appendice. Sangalli deve dimettersi. È questo l’altro «prezzo della liberazione», scriverà il gip Elisabetta Pierazzi il 27 luglio 2019 nel decreto di sequestro preventivo della «donazione», poi investita in un paio di fondi e una polizza assicurativa. Per raggiungere il suo scopo, dettaglia il giudice, l’uomo avrebbe costretto il presidente a firmare due lettere di dimissioni, postdatate al 28 febbraio 2018.

Sangalli sente puzza di bruciato. Capisce di essere finito in una trappola. Si confida allora con i collaboratori più fidati. Giura e spergiura di non aver mai molestato la segretaria. È talmente disperato, ricorda, da meditare il suicidio. Assolda così un investigatore privato e, di fronte alle insistenze di Rivolta, comincia a prendere tempo. Il rivale, spiega il gip, non demorde. La donazione non gli basta. Vuole anche la testa di Sangalli. Riprende quindi a mandare messaggi espliciti. Il 9 febbraio 2018 informa che è stato contattato dai legali di Venturini. Il 21 febbraio torna alla carica: la famiglia della donna «non avrebbe mai consentito che lui stesse sotto lo stesso tetto dove lavorano moglie e il figlio». Il presidente deve sloggiare.

Sangalli però tiene duro. Il 2 marzo 2018 viene rieletto, per acclamazione, alla guida di Confcommercio. Lo stesso giorno Rivolta, dettaglia il giudice, incalza il presidente con un altro sms: «Ora loro si ritengono liberi di agire come credono». Nel pomeriggio evoca, ancora de relato, pubbliche dimissioni. Alle 23.31 arriva l’ultimo sms: la famiglia della donna minaccia di rendere pubblico l’atto di donazione.

Quei messaggi, scrive il giudice, «erano il naturale epilogo della strategia ricattatoria organizzata». Avrebbe previsto soldi per Venturini, la sua segretaria. Ma anche un vantaggio per se stesso: le dimissioni di Sangalli. A maggior ragione, visto che temeva di essere allontanato da Confcommercio. Ma come sarebbe nato il piano? Il giudice ipotizza «una doppia matrice». La prima è «l’ambizione personale di Rivolta». E la seconda sarebbe il «legame sentimentale» tra i due.

Il detective privato ingaggiato da Sangalli li ha infatti pedinati per settimane. Passeggiate complici nella notte romana, una cenetta tête-à-tête, scambi di effusioni. E alcuni incontri avvengono nello stesso periodo della presunta estorsione. L’investigatore, a fine maggio 2018, consegna a Sangalli video e foto. Qualche mese dopo, all’inizio di novembre, il presidente viene accusato pubblicamente di molestie sessuali. Ma il 5 novembre 2018 l’avvocato Domenico Aiello denuncia Rivolta e Venturini. È la mossa del cavallo. Indagini serrate, sequestro patrimoniale, richieste di rinvio a giudizio. Scacco matto. O meglio, ricatto e castigo.

© Riproduzione Riservata