Israele vale la Germania nazista, Maduro è un amico, Putin va «difeso»… Tra dichiarazioni che lo rivelano e cattive politiche nel proprio Paese, il presidente del Brasile è in difficoltà.
Il punto di inflessione nella politica estera del presidente del Brasile Luiz Inácio da Silva, meglio conosciuto come Lula, quello che gli ha fatto superare «la linea rossa» per usare le parole del premier israeliano Netanyahu, è avvenuto ad Addis Abeba, in Etiopia. Lì, in una conferenza stampa a latere dell’ultimo vertice dell’Unione africana il 18 febbraio scorso, l’ex sindacalista ha detto che «ciò che sta accadendo al popolo palestinese nella Striscia di Gaza non è mai accaduto nella storia, o meglio è successo quando Hitler decise di uccidere gli ebrei». Aver messo sullo stesso piano l’Olocausto alla guerra tra Israele e Hamas deflagrata dopo il massacro del 7 ottobre perpetrato dal gruppo terroristico che ha preso centinaia di ostaggi, anche brasiliani, ha causato una crisi diplomatica senza precedenti tra Brasilia e Tel Aviv. Israele ha dichiarato Lula «persona non grata» e l’escalation delle tensioni è aumentato dopo che l’ambasciatore palestinese nel Paese sudamericano, amico del presidente brasiliano, ha aggiunto «che quello di Gaza è un genocidio peggiore dell’Olocausto».
Non bastasse, a fine gennaio è stata depositata alla Camera una richiesta di impeachment contro Lula firmata da 139 deputati dell’opposizione di Bolsonaro ma anche di esponenti di cinque partiti che hanno ministeri nella coalizione governativa dell’ex sindacalista. Vedremo se avanzerà ma, se guardiamo al passato, sia l’impeachment di Fernando Collor de Mello che di Dilma Rousseff iniziarono con meno firme. Sempre in Etiopia, Lula ha anche dichiarato di non avere «informazioni su cosa accade in Venezuela». Una dichiarazione fatta dopo l’espulsione di tutti e 13 i funzionari dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani da parte della dittatura di Nicolás Maduro che ha lasciato di stucco il mondo civile, visto che l’ennesimo atto ostile del regime chavista era stato subito ripudiato in una dichiarazione congiunta firmata da Argentina, Costa Rica, Ecuador, Paraguay e Uruguay. Lula non ha informazioni da Maduro? Poco credibile, e per vari motivi. Brasilia ha stipulato di recente un accordo per importare energia elettrica da Caracas; si è attivata per contenere le bizze belliche del dittatore venezuelano il quale vuole annettere il 70 per cento della Guyana; l’ex sindacalista in persona è in costante contatto con Maduro, ricevuto in pompa magna lo scorso maggio nella «Capital federal».
Un incontro definito da Lula «un momento storico» in cui il presidente verde-oro ha criticato la «narrativa antidemocratica» contro il regime chavista, ha definito l’ex presidente ad interim del Venezuela Juan Guaidó «un impostore» e un cidadão, parola considerata quasi un insulto dal popolo brasiliano. Per chiudere poi con un rimbrotto fraterno: «Tu, Maduro, sei un democratico ma devi imitare la mia la narrativa». Sul concetto di democrazia, Lula non ha evidentemente mai avuto idee molto chiare visto che tra i suoi idoli politici, come Panorama ha raccontato alcuni numeri fa, nel 1979 c’erano Mao Tse-tung, l’ayatollah Khomeyni e lo stesso Hitler, non per l’ideologia ma per la determinazione e «il fuoco». Ha confermato di avere le idee confuse dopo il decesso di Aleksej Navalny. Un giornalista brasiliano gli ha infatti chiesto: «Tanti governi criticano questa morte perché molto sospetta, ovviamente a causa della mancanza di rispetto per i diritti umani e dell’autoritarismo del governo di Vladimir Putin (qui la TV di stato brasiliana ha coperto il nome del leader russo con un bip, una censura inedita, ndr). Perché il governo brasiliano non ha commentato la sua morte?».
Questa la risposta, senza mai citare il nome di Navalny. «Per una questione di buon senso, la prima cosa che dobbiamo fare è indagare per scoprire come è morto un cidadão. Atteniamoci a quello che diranno i coroner: che «il ragazzo» (altro termine usato da Lula per riferirsi a Navalny, ndr) è morto per questo o per quello. Perché altrimenti ora dici chi ha ordinato di ucciderlo e se poi non è stato lui che fai, gli chiedi scusa (a Vladimir Putin, ndr)? Non voglio speculazioni. Un cidadão è morto in una prigione. Non so se era malato o ha avuto qualche problema. Capisco gli interessi di chi ha accusato: “è andata così”. Ma non è questo il mio modus operandi e confido che i medici legali ci dicano di cosa è morto questo cidadão». Se sulla politica estera il primo anno di Lula è stato questo, molto meglio non è andata per la difesa delle foreste e la protezione della vita degli indios, due suoi cavalli di battaglia in campagna elettorale ma anche sul fronte internazionale, come dimostrarono i peana dei media italiani ed anglosassoni e l’accoglienza trionfale alla Cop27 in Egitto, in cui venne descritto come un salvatore dopo la sua vittoria sull’«ecocida» Jair Bolsonaro del 2022. I numeri oggi dicono però altro. Per esempio che con 2.924 incendi in Amazzonia, l’ultimo mese è stato il febbraio peggiore per il polmone verde del pianeta dal 1999, quando iniziarono le misurazioni ufficiali. I dati sono dell’Istituto nazionale per le Ricerche spaziali, l’Inpe, un ente del ministero della Scienza e della tecnologia indipendente che utilizza sia satelliti statunitensi sia cinesi.
Ma l’Amazzonia non è l’unica realtà che dà problemi al governo Lula e sotto i riflettori degli ambientalisti indipendenti c’è anche il Cerrado, la savana brasiliana e il secondo bioma più grande dell’America Latina, con una superficie di due milioni di chilometri quadrati, equivalente a quasi sette volte il territorio dell’Italia. Sempre secondo dati presentati pochi giorni fa, la deforestazione nel Cerrado è aumentata del 43 per cento nel 2023, la cifra più alta da quando si sono iniziati a raccogliere dati su questa zona, nel 2019. Inoltre, è la prima volta in cinque anni che la zona deforestata nel Cerrado, che occupa circa il 24 per cento del territorio brasiliano, è maggiore di quella dell’Amazzonia, che copre invece circa la metà del Paese. Da segnalare che la perdita di vegetazione si concentra nella regione conosciuta come Matopiba, formata dagli Stati di Maranhão, Bahía, Tocantins e Piauí, area che da un lato ospita la nuova frontiera dell’agroalimentare verde-oro più vicina all’elettorato del partito dei lavoratori, il PT di Lula e, dall’altro, la porzione più preservata, almeno sinora, del Cerrado.
Non va meglio per gli Yanomami. Nel 2023 sono infatti morti almeno 162 bambini del gruppo etnico, di età compresa tra zero e quattro anni, su un totale di 363 decessi. Un +6 per cento rispetto al 2022, l’ultimo anno di Bolsonaro. Le principali cause di morte sono state le malattie respiratorie, quelle infettive parassitarie e le cause esterne, come le uccisioni da arma da fuoco degli estrattori di oro illegali, i garimpeiros. Un recente rapporto pubblicato dal quotidiano Folha de São Paulo dell’ospedale Bambino Santo Antônio, a Boa Vista, la capitale dello Stato di Roraima, al confine con il Venezuela e che, secondo gli accordi Lula-Maduro dovrebbe ricevere energia elettrica da Caracas, afferma che qui «il flusso di pazienti ricoverati in ospedale con malnutrizione, disidratazione, polmonite, bronchiolite, anemia, diarrea e malaria è stato più alto nel 2023 rispetto al 2022, il che indica il persistere della crisi umanitaria nella terra degli Yanomami, ancora lontana da indicatori sanitari minimamente soddisfacenti». «Ci sono ancora molti minatori illegali nella terra degli Yanomami e tanti sono morti. La nostra salute è precaria, le miniere tornano a crescere e i nostri fiumi sono inquinati. Il governo federale deve allontanare i minatori dalla nostra terra per migliorare la situazione, in modo che la salute e la vita dei bambini e delle donne possano essere ripristinate», ha affermato invece Darío Kopenawa, vicepresidente dell’Associazione Yanomami Hutukara, alla stampa locale e internazionale.
Con quasi dieci milioni di ettari sparsi in tutta l’Amazzonia e in particolare in Roraima, la terra Yanomami conta oggi 371 comunità dove vivono 32 mila indios, villaggi di difficile accesso perché dispersi nella fitta giungla amazzonica. È il più grande territorio indigeno dell’intero Brasile e qui l’estrazione illegale di oro non solo minaccia fisicamente gli indigeni, a causa della criminalità organizzata e dei garimpeiros, ma contamina anche le acque con il mercurio utilizzato per estrarre le pepite che li fa ammalare e, sovente, morire. Questo il primo anno dell’ex sindacalista, sempre più incalzato dal plurindagato Bolsonaro che, nonostante i suoi sette interrogatori della polizia, l’ultimo per il sospetto di avere «molestato» una balena, lo scorso 25 febbraio ha portato 750 mila persone in strada, a San Paolo. Non se l’aspettava nessuno, men che meno Lula.