Home » Attualità » Politica » Così Macron vuole fare l’esame agli Imam

Così Macron vuole fare l’esame agli Imam

Così Macron vuole fare l’esame agli Imam

Con una popolazione musulmana sempre più numerosa, Oltralpe si pensa a dare ordine. Per combattere le radicalizzazioni, l’Eliseo progetta un controllo di Stato che cominci dallo stop alle centinaia di predicatori in arrivo da altri Paesi. Un’operazione che presenta molte incognite.


Il presidente Emmanuel Macron ha cominciato a gettare le basi di uno dei progetti più ambiziosi del suo secondo mandato: la creazione di un «Islam di Francia», repubblicano, indipendente e impermeabile alle influenze radicali provenienti dall’estero. Un cantiere ambizioso per un Paese che dopo anni di attentati ancora non riesce a risvegliarsi dall’incubo jihadista, sempre presente come dimostrano le cronache degli ultimi mesi. All’inizio di questo nuovo anno è stato posto uno dei primi mattoni, promulgando un provvedimento che vieta l’arrivo degli «imam distaccati», espressione utilizzata per indicare quei predicatori inviati da alcuni Stati di confessione musulmana con lo scopo di esercitare nelle comunità islamiche o nelle moschee sprovviste di una guida religiosa. Si tratta di profili stipendiati e formati dai loro Paesi di origine, che spesso non parlano nemmeno francese e non sanno nulla della Francia. La loro presenza sul territorio transalpino è regolamentata da accordi bilaterali tra governi stipulati anni fa. Degli emissari di un «Islam consolare» che penetra su tutto il territorio, soprattutto nelle banlieue, nei confronti del quale la République non ha nessun controllo. La stretta, però, non vieta la presenza di imam stranieri tout court, ma solo quelli dipendenti da autorità di altri Stati. Per il periodo del Ramadan, per esempio, continueranno a venire salmodianti e predicatori stranieri come tutti gli anni.

Prima dell’entrata in vigore della misura, scattata il primo gennaio, in Francia se ne contavano più o meno 300 su un totale di circa 2.600 moschee e sale di preghiera, secondo i dati del governo. Tra i Paesi d’origine la Turchia era in testa (151 imam), seguita dall’Algeria (120) e dal Marocco (30). Una presenza giustificata dalla mancanza di religiosi in rapporto a un numero di fedeli che in questi ultimi anni non ha mai smesso di crescere arrivando al 10 per cento della popolazione secondo l’Insee, l’istituto nazionale di statistica, che nelle ultime stime ha confermato l’Islam come seconda religione di Francia dopo il Cristianesimo, al 29 per cento. Quelli già presenti sul territorio francese dovranno andarsene o continuare la loro attività con un contratto stipulato dalle associazioni responsabili dei luoghi di culto, in base ad un «quadro specifico» creato appositamente per loro.

Macron ha mantenuto così una promessa fatta nel 2020, in occasione della presentazione del piano contro il «separatismo islamista», che prevedeva misure per strutturare la confessione musulmana nel Paese allontanandola dal rischio di radicalizzazione. Tra le varie disposizioni, una stretta sui finanziamenti stranieri alle moschee, l’obbligo di firmare un «Contratto di impegno repubblicano» per tutte le associazioni che ricevono fondi pubblici, la lotta ai messaggi d’odio diffusi su Internet e un maggiore controllo sull’istruzione che avviene tra le mura domestiche, ormai concessa solo in casi particolari. Un arsenale giuridico, dunque, volto a soffocare il rischio di rigurgiti islamisti, che comprende anche la fine degli «imam distaccati».

Questo dossier, però, rappresenta una «contraddizione» per il sociologo francese Vincent Geisser, direttore dell’Istituto di ricerca e di studi sul mondo arabo e musulmano (Iremam): «La direttiva presuppone che gli imam stranieri siano degli estremisti e quelli francesi moderati, ma la realtà sociologica è molto più complessa» afferma lo specialista, secondo il quale «le derive fondamentaliste non hanno niente a che vedere con la nazionalità». Tanto più che i predicatori stranieri vengono scelti dai loro Paesi d’origine «in base a dei rigidi criteri securitari». Una pratica che non avviene solo in Francia: «Succede anche in altri Paesi europei come la Germania, l’Austria o l’Italia, dove ci sono delle importanti comunità musulmane». Il progetto presenta comunque una serie di difficoltà. Innanzitutto di natura finanziaria. Retribuire gli imam è un problema per molte moschee, che dispongono quasi sempre di budget ridotti. A questo si aggiunge poi il rompicapo delle formazioni, che dovranno avvenire in Francia «almeno parzialmente», secondo quanto si legge nel messaggio inviato dal ministro dell’Interno Gérald Darmanin alle nazioni interessate dalla misura. Lo Stato francese promette di controllare il processo, che dovrà rispettare le «leggi e i principi della Repubblica».

«Alcune grandi federazioni musulmane hanno creato strutture private per formare il loro personale religioso» aggiunge Geisser, ricordando però che i poteri pubblici hanno le mani legate in base al principio di laicità regolato dalla legge del 1905, che separa lo Stato dalla Chiesa. «Ufficialmente la Francia non può finanziare i culti, tranne che in Alsazia e nella Mosella, dove vige un altro statuto» ricorda il sociologo. Una scuola religiosa pubblica, quindi, è impossibile. «Stiamo parlando di uno Stato laico che pretende di controllare, sorvegliare e formare queste figure creando una sorta di clero musulmano repubblicano». Secondo il direttore dell’Iremam, la Francia adesso vuole bloccare una pratica che lei stessa ha incoraggiato in passato: «Era un modo per controllare le comunità musulmane facendo concessioni a Stati con cui si avevano delle buone relazioni». Ma con tale mossa non è detto che la Francia riesca a chiudere le porte a questi profili. Secondo una fonte della polizia citata da Le Monde, la Turchia per esempio potrebbe mandare i suoi imam già presenti in Germania.

Gli «imam distaccati», inoltre, rappresentano solo una esigua parte dell’influenza straniera sulla religione musulmana in Francia, che oggigiorno passa soprattutto attraverso i social network, dove sono sempre di più i predicatori che in arabo indottrinano i giovani. Una nuova generazione di influencer, che su TikTok, Instagram e Youtube invitano i follower, generalmente provenienti da famiglie di immigrati musulmani, a seguire i precetti dell’Islam radicale, per esempio fortemente consigliando alle ragazze l’utilizzo del velo. Un pericolo evocato anche dal grande imam di Bordeaux, Tareq Oubrou, che ha definito il divieto di far arrivare imam dall’estero un provvedimento «necessario» ma «insufficiente» per combattere il radicalismo islamista, mentre molti altri suoi colleghi hanno espresso preoccupazione per la gestione della comunità. L’ennesima dimostrazione della mancanza di coordinamento e delle distanze tra le autorità islamiche d’Oltralpe, tra le quali in questi ultimi anni si è insinuato il virus jihadista.

© Riproduzione Riservata