Il tabù di un intervento diretto degli Stati europei in Ucraina è infranto. A guidare il fronte di chi evoca un confronto con Vladimir Putin è il presidente Emmanuel Macron. Che sensibile al ruolo e agli interessi di Parigi, non esita a mettere in gioco la pace dell’intero continente.
Per due anni, la linea rossa, ancorché sottile, è stata chiara. Inviolabile. Aiutare l’Ucraina, senza scontrarci direttamente con Mosca, per scongiurare un olocausto nucleare. Poi è successo qualcosa. Il flop della controffensiva di Kiev: lungo gli oltre mille chilometri del fronte, nel Donbass, il nemico ha riguadagnato l’iniziativa. Ha ottenuto vittorie simboliche nel Donetsk, tra la sanguinosa tenaglia su Bakhmut e la presa di Avdiivka; bersaglia Odessa; forse punta Kharkiv. Il bilancio? Almeno 10 mila vittime civili, inclusi quasi 600 bambini. Si parla – le cifre non sono ufficiali – di 60 mila soldati russi e 30 mila ucraini uccisi, ma in realtà il totale arriverebbe a mezzo milione. I danni sono enormi: secondo la Banca mondiale, per la ricostruzione occorrono 486 miliardi di dollari. Nel frattempo, le forniture belliche occidentali si stanno esaurendo. Niente missili a lungo raggio, le munizioni per artiglieria scarseggiano: ce ne vorrebbero fino a 90 mila al mese solo per difendersi, fino 250 mila per reagire. E urge un ricambio nelle trincee: Kiev cerca 500 mila effettivi. Data la situazione, il presidente Volodymyr Zelensky è alle corde. Ha scaricato sul suo ex capo delle forze armate, Valerij Zaluzhny, la responsabilità dei fiaschi, destituendolo e spedendolo nel Regno Unito. Ma il generale era considerato da tanti un eroe; invece, la popolarità dell’ex attore, che in virtù della legge marziale ha bandito i partiti dell’opposizione e rinviato a data da destinarsi le elezioni, si è incrinata. Lo ha criticato persino Vitaly Klitschko, il mediatico sindaco-pugile di Kiev.
È in questo clima che è stato infranto il tabù: boots on the ground, stivali sul terreno. Il ministro della Difesa ucraino, Dmytro Kuleba, chiede proiettili anziché militari. Ma qualcun altro sta scherzando col fuoco. L’idea è venuta proprio all’uomo che, a maggio 2022, quando Vladimir Putin aveva ormai fallito il Blitzkrieg, avvisò i partner: non possiamo umiliare la Russia. Emmanuel Macron ora invece giura: «Faremo tutto il necessario perché la Russia non vinca». In picchiata negli indici di gradimento, ha lanciato il sasso il 27 febbraio, durante un vertice a Parigi: «Oggi non c’è consenso sull’invio di truppe di terra in modo ufficiale. Ma non è da escludere nulla». Gli 007 dello zar sono in allerta: ritengono che i transalpini stiano preparando sul serio i battaglioni da spedire in Ucraina. Loro smentiscono, ma il Servizio russo d’intelligence straniera informa: «Nella fase iniziale saranno circa duemila persone» e potrebbero salire a 20 mila. Quei soldati sarebbero «un obiettivo legittimo».
Il 68 per cento dei francesi – sondaggio Odoxa – non è d’accordo con l’Eliseo. E nemmeno le cancellerie europee, il Vaticano, gli Usa, il segretario generale della Nato. Il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, l’ha ribadito: «Non siamo in guerra con la Russia». Giorgia Meloni ha sottolineato che la proposta francese è «foriera di una escalation pericolosa da evitare a ogni costo». S’è scomodato anche Sergio Mattarella, che ha chiesto di «ripristinare quell’epoca di pace» che albergava «fino a due anni fa» in Europa. Eppure, qualche significativa adesione, monsieur le président l’ha raccolta. Ha rotto il ghiaccio il ministro degli Esteri lituano, Gabrelius Landsbergis. Poi è toccato alla premier estone, Kaja Kallas. Thierry Breton, commissario Ue al Mercato interno, transalpino pure lui, ha invitato gli europei a «cambiare paradigma e muovere verso un’economia di guerra». Il Consiglio Ue ha evocato la necessità «imperativa» di una «preparazione militare-civile rafforzata nonché coordinata» per gestire le emergenze; inclusa quella bellica?
Agli sponsor di Macron s’è quindi aggiunto il Canada. E nonostante gli inviti alla prudenza da parte dei suoi predecessori Nicolas Sarkozy e François Hollande, il 7 di questo mese, incontrando i leader dei partiti, «Manu» ha confermato che, rispetto al coinvolgimento sul campo, non c’è più «alcun limite» né «alcuna linea rossa». Gli ha dato man forte il presidente ceco, Petr Pavel: «Dal punto di vista del diritto internazionale e della Carta delle Nazioni Unite» ha spiegato, non ci sarebbero ostacoli a una missione in Ucraina. E il primo ministro lettone, Edgars Rinkevics, s’è concesso una citazione dotta, parafrasando sul social X il motto di Catone il Censore: «Russia delenda est». La Russia dev’essere distrutta.
Uno dei discorsi più inquietanti l’ha pronunciato il premier polacco, Donald Tusk. «I tempi della calma beata sono finiti» ha ammonito. «Viviamo in tempi nuovi, in un’epoca prebellica». Varsavia – seguendo l’esempio della Romania, che realizza bunker al confine ucraino – si sta attrezzando: stanzierà 27 milioni per costruire rifugi antiaerei e altre opere di difesa, consolidare le forniture idriche ed elettriche, immagazzinare scorte alimentari, formare i sanitari e i cittadini a fronteggiare un assedio (o un raid nucleare). È lo spauracchio dell’Orso russo, che da sempre alimenta gli incubi della Polonia; che nutre le angosce dei baltici; e che ha spinto Svezia e Finlandia a blindarsi, entrando nell’Alleanza atlantica. Perciò il ministro degli Esteri di Tusk corre dietro a Macron: «È Putin a dover avere paura di noi, non noi di lui».
Non pago di aver ignorato le rimostranze di due ex presidenti, dei partiti francesi e dei capi di Stato di mezzo mondo, incluse Germania e Italia, fondatrici dell’Europa unita, il leader transalpino ha catechizzato i concittadini in diretta tv, il 14 marzo. «Non siamo sicuri di farlo» ha precisato, però «non escludiamo la possibilità» di spedire i militari al fronte. «Dobbiamo essere pronti» a uno scontro che, comunque, sarebbe colpa dello zar. Se costui la spuntasse, la nostra vita peggiorerebbe, la sicurezza del Vecchio continente sarebbe compromessa. «Volere la pace non significa scegliere la sconfitta». Macron ha addirittura evocato la deterrenza atomica, minaccia che fino a quel momento era stata quasi un’esclusiva della Russia. Al vertice, ospitato a Berlino da Olaf Scholz, il cosiddetto «triangolo di Weimar» (Germania, Francia e Polonia), monsieur le président ha dovuto assicurare che «continueremo a non prendere iniziative di escalation». Sarà. Intanto, l’asticella è stata alzata: «Abbiamo messo troppi limiti al nostro vocabolario». Il limite, almeno quello verbale, è stato superato. Qual è la scommessa? Pare che Tusk abbia richiesto l’incontro nella capitale tedesca perché l’intelligence statunitense l’avrebbe informato dei disegni minacciosi di Putin, pronto ad agire in Transnistria. O a provocare un Paese dell’Alleanza, per testare la disponibilità dei partner ad applicare l’articolo 5 del Trattato, quello che prevede il soccorso agli aggrediti.
Il progetto di Macron è più articolato. Il presidente punta sull’«ambiguità strategica»: spera che Putin, per timore dell’avversario occidentale, si astenga dal provare l’assalto a Odessa o, peggio, sfondi in direzione di Kiev. Oltrecortina, effettivamente, qualche segnale di fumo s’è intravisto. Dopo aver incassato il plebiscito elettorale, lo zar ha annunciato che «stiamo lavorando a vie pacifiche» e che «la Francia può svolgere un ruolo». Per Macron c’è anche una partita geopolitica, giocata alla faccia degli alleati europei, nonché degli americani, i quali, avendo raggiunto l’obiettivo di impantanare la Russia e di sganciarla dalla Germania, non vogliono affatto rischiare la Terza guerra mondiale. Il francese fa affidamento sul vuoto che si è creato nel continente per effetto della crisi tedesca e del disimpegno Usa. Joe Biden fu capace di minacciare il cambio di regime a Mosca. Da «anatra zoppa» al Congresso, con gli aiuti a Kiev bloccati dai repubblicani e il voto imminenti, il suo coinvolgimento si è ridimensionato drasticamente. È vero: il capo del Pentagono, Lloyd Austin, ha evocato il confronto Nato-Russia qualora Kiev capitolasse. Ma se Donald Trump riconquistasse la Casa Bianca, Washington potrebbe spingere per un negoziato.
In ogni caso, per la Francia ci sarebbe in palio il posto di poliziotto d’Europa, alla testa di una specie di euro-Nato. Senza dimenticare la futura Commissione Ue: un eventuale bis di Ursula von der Leyen, i cui azionisti di maggioranza sarebbero il Ppe e i macroniani, e il cui perno starebbe negli investimenti nel settore della sicurezza. Che fanno gola alle industrie francesi. Perciò Parigi intende ipotecare la nomina del commissario alla Difesa. Infine, pesa la politica interna: con «Manu» all’Eliseo, la Francia ha incassato memorabili batoste in Africa, finendo espulsa da Mali, Burkina Faso e Niger. I russi se la ridono; e anche Roma confida di subentrare ai «cugini» nel Sahel, per meglio controllare le rotte migratorie. Macron ha bisogno di archiviare quei fiaschi, indossando i panni del comandante in capo, anziché quelli del comandante sconfitto.
Naturalmente, i calcoli possono non riuscire. Il passato è pieno di conflitti lampo diventati lunghe guerre mondiali. Le conseguenze di un incidente, di un missile vagante, di una bomba sull’obiettivo sbagliato, potrebbero essere esiziali per l’intera umanità, in uno scenario di distruzione nucleare. L’orologio dell’apocalisse – gli scienziati spostano le lancette a seconda di quanto si avvicina la resa dei conti atomica – segna 90 secondi a mezzanotte; è il record storico. Se scoccasse l’ora X? Inutile chiederci per chi suonerebbe la campana. Suonerebbe per noi.