È lui, Sergio Mattarella, il vero leader «antagonista» al governo (nella prolungata irrilevanza di Pd e 5 Stelle). Pronto a moraleggiare su quasi tutto: emergenza climatica, sbarchi, Pnrr, commissione Covid, politica estera. Tanto che per la Ue, Germania e Francia in testa, resta l’interlocutore preferito. Anche per isolare la premier italiana.
Era San Sergio, patrono politico degli italiani. È diventato Re Sergio, imperatore delle desertiche lande progressiste. Elly Schlein e Giuseppe Conte balbettano. Mattarella scandisce. Il presidente della Repubblica esterna ormai su ogni emergenza nazionale: Pnrr, sbarchi, Covid, esteri. Ma il punto è un altro: le sue aspirazioni sono quasi sempre contrarie a quelle governative. Quirinale e Palazzo Chigi sembrano due rette parallele. Non s’incontrano mai. O assai di rado. Basta mettere in fila i considerevoli indizi raccolti negli ultimi mesi. A partire dalla rituale cerimonia del ventaglio al Quirinale, organizzata a fine luglio dall’adorante stampa parlamentare.
Ecco: se il risoluto Francesco Cossiga picconava, il suo ecumenico successore sventaglia. Vedi la commissione parlamentare d’inchiesta sul Covid, poi approvata dalla maggioranza. «Iniziative» del genere «si collocano al di fuori del recinto della Costituzione e non possono essere praticate» avverte allora Mattarella. Suvvia. Una commissioncina d’inchiesta non s’è mai negata a nessuno. Il Parlamento ha sempre investigato alacremente su tutto lo scibile. La più grande sciagura sanitaria della storia repubblicana non sembrava invece meritevole di uguale attenzione.
E il Pnrr, architettato nella scorsa legislatura? Vietato eccepire: «Non si tratta di una questione del governo, di questo o dei due precedenti, ma dell’Italia». E il dibattito sui cambiamenti climatici, che in tutto il mondo divide entusiasti progressisti e scettici conservatori? Il capo dello Stato non ha dubbi. Saldissima condanna dei supposti negazionisti: «Tante discussioni appaiono sorprendenti». Mentre l’Ipcc, indomita agenzia climatica dell’Onu, ammette che «il mondo non finirà se si riscalderà più di 1,5 gradi», Mattarella sigla un accorato appello con altri cinque capi di Stato: la «crisi climatica», compendiano, ha raggiunto «dimensioni esplosive». Il supremo consesso sollecita: «Non c’è tempo da perdere per scendere a compromessi su ragioni politiche o economiche». Nell’irrespirabile aria riecheggia il furore green dalla Commissione europea, che vuole imporre ai già impoveriti sudditi continentali esose auto elettriche e case più verdi delle montagne di Marcella Bella.
Insomma, il manifesto presidenziale sembra l’opposto di quello del centrodestra, incidentalmente la parte politica che gli sconsiderati elettori avrebbero stravotato un anno fa. Il Quirinale insiste su ecocatastrofismo, benevolenza pandemica, Pnrr senza responsabili. E accoglienza a oltranza, ovviamente. Pensate per esempio che l’Italia, visto l’ultimo esodo biblico a Lampedusa, sia la nazione europea più in ambasce? Errore. «Presso altri paesi dell’Unione il fenomeno è meno visibile ma è talvolta più ampio e consistente».
Elly e Giuseppi vagolano. Re Sergio, con cerimonioso periodare, illumina. Al meeting agostano di Comunione e Liberazione ammonisce: «I fenomeni migratori vanno affrontati per quel che sono: movimenti globali, che non vengono cancellati da muri o barriere». Niente inumani blocchi navali all’italiana o furbeschi sotterfugi alla francese. Mutuando la triplice esortazione dell’eroe di Mani Pulite Francesco Saverio Borrelli, bisogna accogliere, accogliere, accogliere. «Le identità plurali sono il valore della nostra patria, del nostro straordinario popolo» informa il regnante. «Sono frutto dell’incontro di più etnie, consuetudini, esperienze, religioni, apporto di diversi idiomi per la nostra splendida lingua».
Per l’appunto, sono i giorni in cui infuriano le polemiche sulle tesi tradizionaliste del generale Roberto Vannacci, esposte nel libro Il mondo al contrario. L’insubordinazione convince il ministro della Difesa, Guido Crosetto, a rimuoverlo dall’incarico di comandante dell’Istituto geografico militare. Su suggerimento di Mattarella? Ipotesi inverificabile. Nasce dagli esposti di Vannacci sull’uranio impoverito. Nel 2021, il generale aveva accusato di mentire Giuseppe Cavo Dragone, poi capo di Stato maggiore della Difesa. Detto altrimenti: l’attuale vice di Mattarella ai vertici delle Forze armate. A dispetto della rumorosa minoranza, il libro dello sconosciuto Vannacci diventa un bestseller. Certo, non avrà mai l’onore di essere citato dal presidente della Repubblica. Com’è successo invece ai Promessi sposi, sempre in sibillina chiave antigovernativa. Il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, parla di etnia italiana «da tutelare»? Il presidente della Repubblica, durante le celebrazioni per i 150 anni dalla morte di Alessandro Manzoni, trasforma il capolavoro in un moraleggiante melodramma multietnico: «È la persona, in quanto figlia a di Dio, e non la stirpe, l’appartenenza a un gruppo etnico o a una comunità nazionale, a essere destinataria di diritti universali, tutela e protezione». Mattarella non dà indirettamente voce solo all’afona opposizione italiana. È anche il riverito padre del declinante progressismo europeo. Vanta superbi rapporti con Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, a caccia di faticosa riconferma. Christine Lagarde, governatore della Banca centrale europea che Meloni accusa di tramare contro l’Italia, lo elogia pubblicamente: «È un elemento di continuità e stabilità». Ammirazione condivisa dai principali leader dell’Ue: Olaf Scholz, cancelliere tedesco socialdemocratico, ed Emmanuel Macron, presidente francese terzopolista. Ovvero, le architravi del governo di centrosinistra a Bruxelles.
Lusinghe interessatissime. Le elezioni europee incombono. L’avanzata dell’Ecr, i conservatori guidati da Meloni, minacciano la storica alleanza con i popolari. Sia Scholz che Macron non perdono quindi occasione per tentare di isolare la premier italiana. Il loro interlocutore preferito resta Mattarella, ben più affine ideologicamente. Un quarto di secolo in parlamento. Tre volte ministro. Vicepresidente del Consiglio, con delega ai servizi segreti. Infine, presidente della Repubblica. Tutti passano, Re Sergio resta. Nel suo primo mandato al Quirinale, benedice la nascita di ben cinque governi. Su due di questi, lascia un’impronta indelebile. Prima favorisce la nascita del disastroso Conte bis, con un inedito patto tra Pd e Cinque stelle. Poi convince Mario Draghi a diventare premier. Imponendo, tra l’altro, la riconferma dei ministri più deludenti del governo giuseppino: Roberto Speranza alla Salute e Luciana Lamorgese agli Interni.
Arrivati alla scadenza del primo mandato, nel gennaio 2022, è ancora San Sergio. Come un francescano, sembra volersi spogliare di ogni potere. Invece, grazie a una mandrakata della sinistra Dc e l’attaccamento alla cadrega del parlamento, viene rieletto per altri sette anni. Assicurava di bramare il ritiro. Invece, mostra a tutti la magistrale arte siciliana dell’annacamento: massimo movimento con minimo spostamento. Viene riconfermato. Tripudio generale. Con un’unica eccezione: Fratelli d’Italia. «Hanno barattato sette anni di presidenza della Repubblica per sette mesi di stipendio» svelena Meloni, leader del partito e futura premier. Dopo quasi due anni, un suo fidatissimo colonnello confida a Panorama: «Viste le premesse, pensavamo sarebbe andata peggio. Certo, a Mattarella piace moraleggiare. Le sue idee sono opposte alle nostre, ma non fa nulla per nasconderlo. E nel deserto dell’opposizione, le sue parole rimbombano. Però, concretamente, non ha mai avversato un provvedimento del governo».
Non ha nessuna intenzione di emulare Giorgio Napolitano, che mollò il Quirinale a meno di due anni dall’inizio del secondo mandato. Scenderà dal Colle nel 2029, tra gli applausi scroscianti. Dopo 14 anni di potere. A meno che non venga approvata la madre delle riforme costituzionali, avversatissima dal centrosinistra: il premierato. Contempla meno poteri per il capo della Repubblica, che ora può anche sciogliere le Camere e nominare i ministri. In quel remoto caso, Re Sergio avrebbe già confidato di voler abbandonare il trono quirinalizio. Lasciando Elly e Giuseppi al loro soverchiante destino: diventare i leader dell’opposizione.