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La convergenza necessaria tra Roma e Berlino

La convergenza necessaria tra Roma e Berlino

Dal summit tra Giorgia Meloni e Olaf Scholz emergono problematiche comuni. Una strategia politica condivisa sta nelle cose.


L’incontro di Giorgia Meloni con Olaf Scholz si celebra alla vigilia di un anno elettorale tanto in Germania quanto in Italia, ma le esigenze della campagna cedono il passo ai grandi dossier dell’economia e della geopolitica. A Berlino c’è ancora chi descrive la presidente del Consiglio italiano come una politica post-fascista, e chi invece la considera un interlocutore pragmatico. Nella prima categoria rientrano soprattutto i Verdi tedeschi, e ampi settori dei media. Della seconda categoria, invece, fanno parte sia i democristiani della Cdu, sia i social-democratici. L’interesse verso Meloni ha anche a che fare con il pallottoliere della politica: i popolari, di cui la Cdu tedesca è la forza principale, valutano un accordo di coalizione con la leader di Fratelli d’Italia nel prossimo Parlamento europeo. Lo schema, tra smentite e contro-smentite, è questo: la coalizione variegata che oggi domina il Parlamento – popolari europei, socialisti, macroniani e verdi – sarebbe allargata ai conservatori guidati da Meloni, spostandone il peso a destra. Si badi: questo esercizio funziona bene sulla carta, ma nella realtà incontra diversi ostacoli.

Meloni ha remore a coabitare con socialisti, verdi e macroniani. Il sentimento è reciproco, ce lo ricordano le intemerate del governatore bavarese, il cristiano-sociale Markus Söder, contro la presidente del Consiglio, l’insofferenza verso le sue rivendicazioni identitarie e l’attaccamento verso gli spagnoli di Vox e i polacchi di Pis. I tedeschi danno per scontato che lei sia pronta a sostenere Ursula von der Leyen per un nuovo mandato da presidente della Commissione, specialmente se non si presenterà come candidato dei popolari ma come figura super partes. Non sanno, tuttavia, come si comporterebbe Meloni se i popolari avanzassero un’altra candidatura «targata Ppe», come il premier greco Kyryakos Mitsotakis. Meloni, insomma, non fa metaforicamente parte del club. La sua postura ricorda piuttosto la formula dell’appoggio esterno, che in Italia è comune ma che in Europa è vissuta con diffidenza.

Al di là della «politique politicienne», la politica politicante, la leader italiana è a Berlino per parlare di economia e geopolitica. Sullo sfondo aleggiano i grandi temi di politica monetaria e di bilancio. Per il nostro Paese il rialzo dei tassi della Banca centrale guidata dalla francese Christine Lagarde, a sua volta in ostaggio dei falchi anti-inflazione, è un grosso problema. Il servizio del nostro debito pubblico è infatti divenuto molto più oneroso e comprime i già esigui spazi fiscali di Roma. I tassi alti, peraltro, rischiano di portare al collasso anche l’enorme settore immobiliare tedesco, e ciò rende possibile una convergenza di massima con Scholz.

Convergenza che si fa invece marcata sul fronte industriale, come segnala la delegazione di «big» dell’industria tricolore al seguito della presidente del Consiglio, in cui spiccano difesa e tecnologia. La scelta pare quasi obbligata: Berlino sta procedendo a tappe forzate al rimodernamento delle proprie forze armate, con budget di tutto rispetto (100 miliardi di euro nel solo 2022), e i sondaggi indicano che il politico più popolare in Germania è il ministro della Difesa, Boris Pistorius. Berlino, poi, riconosce all’Italia un ruolo rilevante nei Balcani, e Meloni ha fatto sapientemente precedere la sua trasferta in Germania da incontri con il leader croato Andrej Plenkovic (a Zagabria) e con il primo ministro sloveno Robert Golob (a Roma). Lo stesso accordo Italia-Albania sui migranti non è stato massacrato dalla stampa e dalla politica tedesca, che stanno vagliando soluzioni simili. La principale critica mossa a Meloni non è di aver agito con fermezza, ma di averlo fatto unilateralmente, senza coinvolgere la Ue (leggi: Berlino).

Particolarmente interessante e finora inesplorata è la possibilità di combinare il «Piano Mattei» della presidente del Consiglio con la ricerca di profondità strategica tedesca in Africa. L’obiettivo di Meloni resta quello di posizionare l’Italia come interlocutore strategico nei confronti di Maghreb e Sahel. In sordina, ma nemmeno troppo, la Germania persegue obiettivi simili ai nostri. Il cancelliere Scholz, il presidente della Repubblica Frank-Walter Steinmeier e la ministra degli Esteri Annalena Baerbock sono di continuo in Africa. Non di rado, fanno capolino nel Continente nero anche il ministro dello Sviluppo economico Robert Habeck e la ministra degli Interni Nancy Faeser. I temi, per noi come per i tedeschi, si accavallano: risorse prime, energia, migranti e sicurezza.

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