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La memoria tradita di Samuel Paty

La memoria tradita di Samuel Paty

Il fondo «Marianne», in onore del professore decapitato nel 2020 da un terrorista islamico, è stato usato in modo molto, troppo disinvolto dal viceministro Marlène Schiappa. Un abuso che il governo ora rischia di pagare caro.


Rischia di essere morto per niente: Samuel Paty, decapitato da un estremista islamico, viene nuovamente tradito dalle istituzioni francesi, le stesse che in quei giorni di metà ottobre 2020 l’avevano lasciato solo. Un fondo da 2,5 milioni di euro, battezzato «Marianne» che avrebbe dovuto contrastare proprio quelle derive che hanno portato alla morte del giovane professore è ora oggetto di un’inchiesta penale, in aggiunta a quella di una commissione parlamentare che ha presentato pochi giorni fa un durissimo rapporto conclusivo, che definisce «opaco e ingiusto» il processo di selezione delle associazioni da finanziare.

Contemporaneamente è stato presentato anche la relazione finale dell’Ispettorato generale dell’amministrazione (Iga), altrettanto severa. «Hanno strumentalizzato la sua morte» commenta Virginie Le Roy, avvocato della famiglia Paty. «Hanno approfittato dell’omicidio di Samuel Paty per fare un’operazione di comunicazione politica» spiega il legale, che chiede ulteriori indagini. Sotto accusa la disinvolta gestione del fondo da parte di Marlène Schiappa, all’epoca viceministro degli Interni con delega alla Cittadinanza e ora alle dirette dipendenze del primo ministro Elisabeth Borne. L’opposizione ora chiede le sue dimissioni ma Macron non può permettersi questa sconfitta. Quel fondo l’aveva promesso proprio il presidente poco dopo aver accarezzato la bara dell’insegnante. Sei mesi dopo era stato presentato come uno strumento per portare un contro-discorso repubblicano nelle stesse reti in cui si fomenta l’odio.

Ora la commissione d’inchiesta, guidata da un senatore socialista e uno repubblicano, descrive un quadro di abusi e omissioni. Marlène Schiappa deve «assumersi la responsabilità politica di questo fiasco» hanno detto più volte il presidente e il relatore durante la presentazione del rapporto conclusivo. Dalle 195 pagine del rapporto della commissione emerge che i 2/3 dei finanziamenti sono andati a quattro associazioni, di cui una, Reconstruire le Commun, creata poche settimane prima e accusata di aver abusato dei fondi per attaccare i candidati anti-Macron nell’ultima campagna elettorale; un’altra, USEPPM, sarebbe stata contattata direttamente dal ministero, prima ancora della pubblicazione del bando, per «dirottare» una sua richiesta di fondi presentata per un altro programma.

L’USEPPM ha poi ottenuto 355 mila euro, un quarto di quanto richiesto inizialmente. Ma è pur sempre il principale beneficiario del fondo «Marianne». Ha tagliato tutto, tranne il faraonico compenso previsto per i suoi due dirigenti. Il risultato finale si limita alla pubblicazione di qualche post e qualche decina di tweet, per un totale di meno di duemila abbonati. Risultati «insignificanti» per la commissione d’inchiesta. C’è poi la questione dell’intervento diretto del ministero per escludere un’associazione, Sos racisme, che era stata approvata dal comitato di selezione. Il presidente di Sos Racisme, Dominique Sopo, era entrato in polemica con il vice-ministro poco prima che gli fossero tolti i fondi. Un’altra associazione è stata inserita all’ultimo, senza che il comitato di selezione ne sapesse nulla. Ulteriore anomalia: il fondo era destinato a «individui e associazioni», ma è stato usato per finanziare anche due società per azioni. Tutto sempre senza motivazione scritta né verifiche di sorta.

Dal ministero, secondo la commissione d’inchiesta, arrivavano interventi impropri e una totale «irresponsabilità» quando si trattava del suo compito di vigilanza. Conclusa l’indagine parlamentare, ora resta l’inchiesta penale: l’indagine in corso valuta le ipotesi di frode, appropriazione indebita, distrazione di fondi pubblici per negligenza. E ulteriori ipotesi accusatorie potrebbero emergere dalle segnalazioni inviate alla Procura dalla commissione d’inchiesta e dall’Iga. Per l’opinione pubblica francese questo è uno scandalo inaccettabile, anche perché la fiducia nelle istituzioni era già ampiamente minata dai contorcimenti giuridici necessari all’approvazione della riforma delle pensioni e poi dalla recente rivolta nelle banlieue. Ecco che l’ultimo sondaggio Ifop rileva una forte crescita della destra, con il Rassemblement National di Marine Le Pen in testa con il 26 per cento dei consensi.

Già più volte al centro di polemiche, Marlène Schiappa per Macron è diventata un peso, pur trattandosi di una fedelissima. Il governo non ha maggioranza parlamentare, non ha nemmeno il sostegno della popolazione, a giudicare dai sondaggi. E il presidente francese, che dopo quella delle pensioni vuole portare avanti altre delicatisime riforme, non può permettersi troppi scandali. La soluzione è una sola: un rimpasto di governo, in cui Marlène Schiappa non sia la sola a uscire. In modo che non suoni come un’ammissione di colpa. Ma va fatto prima che arrivi l’eventuale processo penale. L’appuntamento è quindi al 26 luglio, ultimo Consiglio dei ministri prima delle ferie. Si parla di un «cambio» con almeno 3-4 responsabili di dicastero pronti a fare le valigie.

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