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Mes, il mostro che vuole uscire dalla caverna

Mes, il mostro che vuole uscire dalla caverna

Con il boom dell’inflazione da materie prime e la crisi ucraina, in Italia si riaffaccia lo spettro del Meccanismo europeo di stabilità. C’è chi lo vorrebbe per arginare gli attacchi speculativi al nostro mega debito pubblico quando, il prossimo settembre, la Bce smetterà di acquistarlo. Peccato per le conseguenze che comporta…


Un mostro in cerca d’autore. O semplicemente, del momento migliore per uscire dalla caverna e rendersi utile. Il Mes, acronimo di Meccanismo europeo di stabilità che in inglese suona come un poco rassicurante «pasticcio» (mess), è lì da 10 anni, propagandato da Banca centrale e Unione europea come l’arma finale per risanare i bilanci degli Stati e salvare le banche. Quando le cose sembrano andar bene, il Mes s’inabissa.

Ma a ogni crisi, il Mostro riemerge e promette la salvezza in cambio di una firmetta. L’altro ieri con la crisi del debito privato trasferita sugli Stati; ieri con il Covid e oggi con la guerra e il rincaro dell’energia. Domani, alla prima stretta Ue sul debito pubblico italiano e al primo rialzo dello spread.

Del resto, da luglio la Bce smetterà di comprare titoli e nel 2023 rischiamo di avere un rapporto debito-Pil sopra il 150%, contro il 110 per cento del 2009. Sono questi 40 punti in più rispetto al primo anno della grande crisi che dovrebbero farci riflettere. Sono loro che possono aprire la porta della caverna e farci «morire per Maastricht», come si augurava Enrico Letta in un suo libro profetico (Euro sì. Morire per Maastricht, Laterza, 1997).

Pare antipatico ricordarlo, ma il Fondo salva-Stati ha sede in un paradiso fiscale, il Lussemburgo, e per legge esenta i suoi amministratori da responsabilità penali e civili. Se uno Stato attiva il Mes, il suo debito viene garantito (dal Mes, non dalla Bce), ma poi deve fare tutto quello che gli si dice, altrimenti non arriva la prossima «tranche» di aiuti. In pratica, il Meccanismo è l’intervento di Bce, Fondo monetario internazionale e Commissione Ue che si fa sistema. La Troika che smette di improvvisare, come fece nel 2009 in Grecia a colpi di tagli e lasciando morti e feriti, e si mette al riparo da critiche e responsabilità. Insomma, il Mes è la Troika che si smaterializza e si fa Trattato.

Nato nel 2012, è un organismo intergovernativo europeo, con la Bce che formalmente siede al tavolo di comando in veste di semplice «osservatore», e si finanzia con quote degli Stati membri e sul mercato. Ha un arsenale da quasi 800 miliardi e può concedere prestiti ai Paesi in difficoltà per consentire un aggiustamento macroeconomico (soluzione utilizzata da Irlanda, Portogallo, Grecia e Cipro), fino al finanziamento per la ricapitalizzazione indiretta delle banche (come in Spagna).

Può anche comprare titoli sul mercato per bloccare un attacco speculativo su un Paese, concedere linee di credito precauzionali e procedere a ricapitalizzazioni dirette, tutte armi che finora nessun governo ha mai chiesto per non allarmare i mercati e non perdere sovranità.

I prestiti vengono concessi solo dopo che il governo bisognoso ha sottoscritto un’intesa con la Commissione Ue. Le contropartite sono le solite: aumento delle tasse, tagli alla spesa pubblica, privatizzazioni, riduzione delle pensioni, liberalizzazioni. Dal 2019 sono state aggiunte altre armi, come la possibilità di utilizzare il Mes per le crisi di singole banche e procedure più semplici per le ristrutturazioni del debito. Italia e Germania, però, non hanno ancora ratificato.

Da noi, Lega, Fratelli d’Italia e Cinque stelle sono contrari, mentre il Pd spinge da sempre per l’approvazione del Mes. Ma il problema è che fare di fronte a uno shock. Quando al governo c’era Giuseppe Conte, si parlava di Mes in modo quasi ossessivo. E l’allora ministro dell’Economia Roberto Gualtieri (Pd) arrivò a dire ai colleghi riottosi che «intanto conviene dire di sì, anche se poi nessuno ci costringe a usarlo». Poi, da quando a Palazzo Chigi c’è Mario Draghi, nessuno infastidisce più il governo con la ratifica.
L’attuale premier non sarebbe contrario, ma non vuole lasciare le proprie impronte digitali su uno strumento che potrebbe essere al centro delle prossime campagne elettorali. E allora aspetta il momento propizio.

All’inizio dell’epidemia di Covid, si straparlò per mesi di un «Mes sanitario», grazie al quale avremmo potuto rilanciare la Sanità pubblica. Oggi, cambiata emergenza, si sventola il «Mes energetico». Insomma, meno rincari in bolletta se l’Italia si consegna al Fondo salva-Stati. Klaus Regling, direttore tedesco del Mes, l’ha buttata lì martedì 15 marzo: «Come per la positiva esperienza della linea di credito speciale per la pandemia, si possono ipotizzare strumenti simili per la crisi energetica».

Da noi, uno dei profeti del Mes è l’ex premier Paolo Gentiloni, oggi commissario Ue all’Economia. Il 7 maggio del 2020, con il «falco» Valdis Dombrovskis, scrisse una lettera all’Eurogruppo per garantire che l’unico vincolo per gli Stati che avrebbero usato il sostegno del Mes per la crisi pandemica sarebbe stato investire quelle risorse nell’emergenza sanitaria. Quattro mesi più tardi, quando il Covid sembrava sconfitto, Gentiloni sosteneva che «oggi è un prestito che non è più soggetto a condizionalità e l’Italia è la nazione che se ne avvantaggerebbe di più» (28 settembre 2020).

I ministri delle Finanze europei avevano già in agenda di tornare all’attacco ai primi di marzo, ma la guerra in Ucraina ha scombussolato i piani e ora ecco il film già visto di un Mes declinato secondo l’emergenza del momento (quella energetica). Se domani si sciogliessero i ghiacciai, avremmo un «Mes glaciazione».

Al di là della propaganda, l’Italia un problema vero ce l’ha. Il 10 marzo, mentre Vladimir Putin bombardava l’Ucraina (e i mercati), la Bce ha annunciato che da luglio smetterà di comprare titoli del debito pubblico, in Italia arrivato in gennaio al record di 2.714 miliardi. Oggi i tassi dei Btp decennali sfiorano già il 2 per cento e lo spread con la Germania è a 160 punti base.

Un banchiere che lavora per uno dei maggiori dealer del debito italiano, sotto garanzia di anonimato, spiega: «Con l’inflazione in rialzo e la Bce che smette di comprare titoli, se gli interessi sui Btp vanno al 4-4,5%, un debito come quello italiano va in tensione». A quel punto, conclude il banchiere, «con lo spread a 350 punti al Mes bisogna ricorrere in poche ore». L’Italia sarebbe come un’azienda in procedura prefallimentare, ma i leader del Pd, a cominciare da Enrico Letta e Paolo Gentiloni, sarebbero ovviamente i garanti del commissariamento e avrebbero davanti una nuova, luminosa carriera. Non più dal basso delle urne, ma dall’alto di Bruxelles e Francoforte.

Si tratta di uno scenario estremo, ma anche in un caso del genere consegnarsi ai benefattori (impunibili) del Lussemburgo sarebbe davvero l’unica strada? Non è detto. Se volessero, Draghi e il suo ministro Daniele Franco potrebbero usare il loro prestigio e la loro credibilità internazionali per chiedere che la Bce compri il debito di uno Stato membro quando entra in crisi e viene colpito dalla speculazione internazionale. Perché continuare a comprare titoli anche di Stati non in difficoltà, come la Germania, dopo averli portati addirittura a rendimenti negativi? Perché ignorare Putin, la crisi energetica e l’inflazione al 6 per cento pur di non cambiare le regole? Sembra quasi che dopo 10 anni che scalpita, il Mostro debba a tutti i costi uscire dalla caverna.

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