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Medio oriente che presto diventerà Asia occidentale

Medio oriente
che presto
diventerà Asia 
occidentale

Il conflitto israelo-palestinese porta alla ribalta nuove alleanze e protagonisti globali. Mosca non trae vantaggi, Pechino avanza ancora.


All’indomani della violentissima offensiva di Hamas contro Israele, è stato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky a puntare il dito contro Mosca, accusando senza mezzi termini la Russia di sostenere Hamas. È indubbio che il tema tenga banco tra chi si occupa di cose russe. Per ora, tuttavia, sono in pochi a giungere a conclusioni altrettanto nette. Ali Baraka, un alto esponente di Hamas intervistato dalla tv Russia Today, ha sostenuto che la superpotenza non può che simpatizzare con Hamas perché un conflitto in Palestina distrae risorse dall’Ucraina, a tutto vantaggio di Mosca. Decisamente meno convinto appare invece Mark Galeotti, autorevole cremlinologo britannico e autore del seguitissimo podcast In Moscow’s Shadows. Galeotti ritiene che l’offensiva di Hamas abbia creato non pochi problemi a Vladimir Putin.

Un primo indizio è il ritardo con cui è intervenuto sulla vicenda Dimitri Peskov, portavoce della presidenza russa. Con ogni probabilità Putin è alle prese con un problema spinoso, e gli riesce difficile scegliere il male minore. Il risultato è una sorta di paralisi geopolitica sotto gli occhi di diversi osservatori. Per un verso, Putin ha sempre avuto un rapporto cordiale con Benjamin Netanyahu, che si somma al cordone ombelicale mai reciso tra Mosca e i molti ebrei israeliani di origine russa. Per il verso opposto, la Russia ha storici rapporti anche con i palestinesi, e tutt’oggi a Gaza risiedono più di mille cittadini russi. Senza contare che quella islamica è la seconda religione più diffusa in Russia, con una presenza particolarmente marcata nei territori del Caucaso settentrionale, a loro volta indispensabili per mantenere un’influenza sul Caucaso meridionale.

Quanto a Russia e Iran, non si tratta di veri amici bensì di «frenemies». Questa curiosa espressione descrive un rapporto in cui le convenienze e comunanze – il comune nemico angloamericano – vanno a braccetto con le divergenze. Emblematico, in particolare, è il caso della Siria, in cui i russi si sono precipitati anche per evitare che la sfera di influenza iraniana, e in particolare Hezbollah, si allargasse troppo in un Paese dove Mosca dispone ancora oggi di basi navali. Inoltre, nei rapporti con i propri partner, la Russia ha sempre fatto pesare la propria abilità nell’interpretare la complessità iraniana, facendone una merce di scambio di diplomatici e apparati russi. Mosca ora si vede danneggiata nella sua capacità di operare come mediatore in teatri complessi come quello levantino. Non è, a ben vedere, solo una questione di prestigio. Per la Russia potersi proporre come mediatore è infatti un modo per rompere l’isolamento internazionale che si è fatto sempre più stretto dopo l’invasione russa dell’Ucraina. È anche una strategia per evitare che la conflittualità che attraversa il Medio Oriente indebolisca troppo i partner di Mosca.

Da tutto ciò consegue che, nel momento in cui dimostra di non saper più intercettare con anticipo gli impulsi che scorrono sull’asse Iran-Hamas, la Russia si rivela fragile. E nella sintassi del potere mostrarsi fragile è molto peggio che mostrarsi cinici. C’è dell’altro: Mosca non si scopre solo spiazzata dall’iniziativa di Hamas, ma teme che si concretizzi la battuta perfida che gira ai margini delle grandi conferenze internazionali: «The Middle East has become Western Asia», il Medio Oriente è diventato l’Asia occidentale. Per Mosca – ma, parallelamente, anche per Washington – equivale a dire che l’influenza cinese sta prendendo il sopravvento. E in effetti l’offensiva di Hamas punta ad arrestare la distensione nei rapporti tra Israele e i sauditi, vanificando gli Accordi di Abramo del 2020 – tra Israele e Emirati arabi uniti – e gettando così sabbia negli ingranaggi del corridoio Indo-arabo-mediterraneo appena sdoganato dal summit G-20 di New Delhi.

Pechino, molto più di Mosca, emerge come grande beneficiario della furia barbarica di Hamas. Intendiamoci: non è affatto detto che gli Accordi di Abramo finiscano in fumo, né che la normalizzazione dei rapporti tra Israele e Arabia Saudita sia irreversibilmente compromessa. Riad, tuttavia, è al momento costretta a un complesso esercizio in cui per un verso esprime solidarietà ai palestinesi, e per il verso opposto deve stare attenta a non finire al traino degli iraniani che muovono Hamas. Ci troviamo dunque in mezzo a una fase di assestamento in cui tutto, a Gerusalemme come a Washington e Mosca, appare fragile e delicato.

* L’autore, Francesco Galietti, è esperto di scenari strategici, fondatore di Policy Sonar

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