I Sauditi vogliono una «polizza assicurativa» contro l’aggressivo Iran. Per questo l’Accordo di Abramo con Israele resiste. Per questo il sogno atomico è sempre più vicino.
Come cambia l’agenda strategica saudita? Riesce difficile non domandarselo, dal momento che alle presidenziali Usa mancano pochi mesi e che le manifestazioni pro-Palestina nei campus universitari a stelle e strisce tengono banco. Gli occhi, insomma, sono rivolti al Medio Oriente. Tra Washington e la casa regnante dei Saud c’è da parecchi decenni un patto di ferro, che ha fatto registrare diversi scossoni ma, tra alti e bassi, non si è mai sciolto. Nemmeno all’indomani dell’11 settembre 2001, quando divenne chiaro che il più sanguinoso attacco mai portato a segno su suolo americano era opera di attentatori sauditi. Sia Joe Biden sia Donald Trump, che si contendono la Casa Bianca, sanno di dover fare i conti con Ryiad e con la potente figura del Crown Prince saudita, Mohammed bin Salman, la cui ascesa al trono è scontata e la cui leadership è già evidente da tempo.
Biden parte in salita: i sauditi hanno sempre digerito male le ramanzine sui diritti umani, e vedono in Biden una linea di parziale continuità con la Casa Bianca di Obama, il presidente dell’appeasement con l’Iran. Tuttavia sia Biden sia Bill Burns, l’esperto direttore della Cia e diplomatico di lungo corso, stanno intensificando molto gli sforzi per raggiungere un complesso accordo. L’obiettivo è quello di stabilizzare in un sol colpo Levante e Golfo, a partire dal conflitto Israele-Iran. Trump invece punta a ripartire dall’Accordo di Abramo, che era stato concluso durante il suo mandato alla Casa Bianca e aveva sancito una storica normalizzazione nei rapporti tra sauditi e israeliani. Al centro del patto, oggi come allora, c’è l’esigenza fortemente avvertita dalle monarchie del Golfo di assicurarsi protezione contro l’Iran, le cui turbolenze interne procedono di pari passo con l’assertività esterna. Per un verso, poi, i rapporti dei sauditi con Pechino si sono fatti più intensi in ragione degli enormi consumi di gas e petrolio dell’economia cinese.
Per altro verso, la Cina è la capofila del blocco autoritario eurasiatico che abbraccia anche Russia e Iran. «Scambiare» con Pechino, quindi, appare come una soluzione per disporre di un filo diretto con Pechino. Vige una logica «G2», in cui il mondo viene diviso in due macro-aree di influenza: una a primazia americana, l’altra a guida cinese. È in questa cornice, prima di tutto, che vanno inquadrati i flirt sino-sauditi, senza commettere l’errore di accatastare i sauditi nello schieramento sbagliato. Teheran infatti rimane il vero e proprio convitato di pietra anche nei rapporti tra i sauditi e la Cina. L’Accordo di Abramo, inoltre, funge da base per recenti ambiziosi schemi geopolitici, come il recente accordo Imec per la realizzazione di un corridoio logistico-commerciale indo-arabo-europeo, fortemente voluto dal premier indiano Narendra Modi. Al tempo stesso, va riconosciuto che è passata non poca acqua sotto i ponti da quando venne originariamente concepito l’Accordo. Il suo nucleo centrale appare saldo. Né l’orrore del 7 ottobre dello scorso anno, né la reazione militare di Israele contro Hamas e l’Iran hanno incrinato la determinazione dei sauditi. Segno che di protezione contro l’Iran continua ad esserci un gran bisogno.
Un elemento nuovo, casomai, è lo status di Israele. A suo tempo, Tel Aviv era chiaramente identificato come uno tra i principali fornitori di sicurezza rispetto alla vasta regione interessata dall’accordo. Ancora oggi, le sue capacità restano senza pari. Tuttavia va messo in conto che i sauditi chiedano di ridiscutere diversi aspetti. Tra questi, colpisce la frequenza con cui si ripropone il tema del nucleare. Tale argomento fa capolino nei colloqui tra sauditi e diplomatici occidentali, e le altre casate del Golfo seguono a ruota all’insegna del «se lo hanno loro (i sauditi), lo vogliamo anche noi». Si badi: si scrive nucleare civile, ma si legge militare. Vero elemento di deterrenza, cioè, nei confronti dell’Iran, e al contempo polizza assicurativa per il potere di Mohammed bin Salman.