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Tutti i passi falsi del Presidente

Tutti i passi falsi del Presidente

Il gradimento degli americani per il loro «Commander-in-chief» è ai minimi. Dai rapporti con la Cina al Medioriente, passando per Cuba, Joe Biden dà segni contraddittori che certo non aiutano a livello internazionale. Eppure nel 2024, quando avrà 81 anni, intende ricandidarsi…


Ecco, se un domani si dovesse scoprire che dietro il misterioso ammutinamento-lampo di Evgenji Prigozhin contro Vladimir Putin c’è stata la Casa Bianca (e magari un pacchetto di milioni di dollari versato dalla Cia) allora la Storia forse potrebbe dire che Joe Biden ha mostrato tratti machiavellici e, almeno per una volta, è stato all’altezza del compito. Ma chissà come andrà veramente a finire la scombinata rivolta dei mercenari della brigata Wagner. E, chissà, forse anche in Russia si sta preparando l’ennesima figuraccia per Joseph Robinette Biden jr. Pochi lo sanno, ma questo è il nome completo del povero (povero davvero, visto che «robinette» significa «pettirosso»…) presidente degli Stati Uniti, 8o anni e da tre alla guida dell’amministrazione meno amata dagli americani. In giugno, secondo i sondaggi di Gallup, il tasso d’approvazione per Biden è crollato al 39 per cento. Perfino l’odiato (e demonizzato) Donald Trump era riuscito a fare di meglio, visto che alla boa dei tre anni di governo era al 40 per cento di consensi. Per non parlare di altri predecessori: allo stesso traguardo, George W. Bush volava al 66 per cento, Bill Clinton era al 51, e Barack Obama al 49. Ormai famoso per inciampi e cadute ancora più di quanto a metà anni Settanta non lo fosse divenuto l’allora presidente Gerald Ford, e celebre a livello planetario per una preoccupante galleria di gaffe e sbandamenti, ai primi di maggio Biden ha annunciato che nel 2024 intende ricandidarsi. Ma poi, nelle ultime settimane, ha messo a segno almeno tre gravissimi passi falsi. Tanto gravi che viene da domandarsi se possano permettergli la seconda corsa per la presidenza.

Missione di pace fallita a Pechino (e più rischi per Taiwan)

La «missione di pace» con cui Biden ha spedito a Pechino il segretario di Stato Antony Blinken, il 18 e 19 giugno scorsi , s’è risolta in un mezzo disastro diplomatico. Senza ottenere nulla in cambio, al termine del suo incontro con Xi Jinping Blinken ha dichiarato a sorpresa che «gli Stati Uniti non sostengono l’indipendenza di Taiwan». La frase ha riesumato l’antica ambiguità americana riguardo all’isola, e proprio nel peggiore momento delle relazioni con la Cina. Anche lo sviluppo del ragionamento del responsabile degli Esteri Usa («Washington resta contraria a qualsiasi modifica unilaterale allo status quo da entrambe le parti, e continua a promuovere la risoluzione pacifica delle divergenze») non ha chiarito la posizione americana. Blinken, per di più, è riuscito a contraddire quel poco di positivo che era venuto proprio da Biden, che nel 2022 s’era spinto a segnalare che Washington sarebbe pronta all’intervento armato in difesa di Taipei. È evidente che ogni oscillazione oggi serve solo a ingenerare nei cinesi il pericoloso dubbio che gli americani, nel caso di un’invasione dell’isola, non faranno nulla. Se poi l’obiettivo della missione era cercare almeno un punto di contatto con Pechino per evitare nuove escalation militari, Biden è riuscito nell’impresa di vanificare tutto in pochi secondi. Il 20 giugno il presidente ha dichiarato che «Xi Jinping è un dittatore». Il governo cinese ha giudicato le sue parole «un giudizio assurdo e irresponsabile», così la situazione è tornata incandescente. Il risultato finale? Oggi Biden e la sua amministrazione possono dire di aver accresciuto i rischi per l’indipendenza di Taiwan, cruciale per gli approvvigionamenti tecnologici degli Stati Uniti e di tutto l’Occidente.

La base cinese a Cuba (peggio della crisi dei missili del 1962)

In due successive puntate, il 7 e il 19 giugno, il quotidiano Wall Street Journal ha rivelato che Cina e Cuba starebbero «realizzando una centrale d’ascolto» sull’isola, a 300 chilometri dalla Florida, e che sarebbe in ballo anche «la creazione di una struttura di addestramento militare congiunto», un passo che potrebbe portare «allo stazionamento di truppe cinesi e a operazioni d’intelligence». Altro che i misteriosi palloni-spia cinesi abbattuti in febbraio dagli americani: questa di Cuba rischia di essere la peggiore crisi dall’ottobre 1962, ai tempi della fallita prova di forza sovietica sulle basi missilistiche regalate a Fidel Castro. È impossibile che la Cia non se ne sia accorta per tempo. Ma è possibile che Biden non abbia fatto nulla?

L’accordo segreto con l’Iran (e il passo indietro con Riad)

Il 14 giugno è stato rivelato che l’amministrazione Biden ha concluso un accordo segreto con l’Iran: Washington avrebbe ottenuto la promessa di un rallentamento del programma nucleare di Teheran, in cambio dello sblocco quasi 10 miliardi di dollari iraniani sequestrati grazie alle indagini antiterrorismo (7 miliardi in Sud Corea e quasi 3 in Iraq). Lo scopo del «cessate il fuoco politico», come l’ha definito il giornale, è impedire un’escalation nell’arricchimento dell’uranio iraniano, ormai a livelli elevati, e di contenerlo entro il 60 per cento con la speranza che non raggiunga mai il 90, cioè il livello utile per la bomba. Il problema è che i miliardi di cui gli Ayatollah rientreranno in possesso finiranno quasi sicuramente per finanziare i terroristi di Hezbollah e di Hamas. E si sa fin troppo bene quanto siano fragili le promesse di Teheran, tant’è vero che Israele è già oltre l’orlo di una crisi di nervi: Benjamin Netanyahu ha annunciato che, quali che siano gli accordi americani, il suo governo farà «tutto quello che deve» per evitare la bomba atomica iraniana. La rivelazione di un’intesa tra il governo di Washington e quello del presidente Ebrahim Raisi sconcerta poi perché solo otto mesi fa, durante le disperate proteste popolari contro il regime iraniano, Biden aveva fatto annunci fin troppo bellicosi: «Gli Stati Uniti» aveva detto in ottobre «libereranno presto l’Iran dai suoi oppressori». Lo scorso 10 marzo, poi, l’amministrazione Biden ha subito un altro disastroso smacco nei rapporti con Teheran e nel suo ruolo in Medio Oriente, quando la Cina è riuscita a spingere i due rivali Iran e Arabia Saudita a un inedito accordo di pace, mostrandosi un credibile mediatore diplomatico a livello globale. Quel giorno, Washington ha perso molto della sua presa sul governo di Riad e sull’intero Golfo Persico.

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