Il premier socialista deve affrontare una serie di emergenze – dall’economia alla disoccupazione, alla sicurezza – che lo stanno isolando nel Paese e dai suoi stessi alleati di governo.
È davvero «caliente» l’estate del premier socialista iberico Pedro Sánchez. Non solo per le temperature record raggiunte nel Paese (a Cordoba, in Andalusia, a fine luglio si sono superati i 40 gradi per dieci giorni consecutivi), ma soprattutto per i molti – e gravi – problemi economici e politici che deve affrontare il suo esecutivo, sempre più debole e sempre meno apprezzato dai cittadini.
L’ultima polemica scoppiata è quella relativa al contestatissimo «decreto reale» per il risparmio energetico, approvato il 2 agosto scorso. Strenuamente voluto dalla ministra della Transizione ecologica Teresa Ribera, vera scudiera del premier, prevede l’obbligo per tutti di non far scendere la temperatura dei condizionatori sotto i 27 gradi), di abbassare invece quelle del riscaldamento per il prossimo inverno, con l’ulteriore imposizione di spegnere le luci di edifici pubblici e imprese alle 22.
Dopo la levata di scudi di commercianti e imprese – e la richiesta del Partito popolare di ritirare il decreto (spinti dalla decisione della presidente della Comunità di Madrid Isabel Díaz Ayuso, che ha annunciato un ricorso alla Corte costituzionale) – si è trovato un compromesso, abbassando a 25 gradi il limite delle temperatura concessa ai condizionatori e riconoscendo deroghe a negozi e aziende. Anche perché in Spagna questa è una delle estati più bollenti di sempre. Il caldo torrido ha già provocato una quarantina di grandi incendi dalla Castilla y Leon all’Estremadura, con oltre 162 mila ettari distrutti; il peggior dato di sempre, quattro volte maggiore rispetto alla media della superficie bruciata in questa stagione negli ultimi dieci anni. Effetti plastici del cambiamento climatico.
La «guerra del grado in meno» è l’ennesima dimostrazione di un governo esitante, di fronte a una situazione che peggiora con il passare dei mesi. Le rilevazioni più recenti parlano di un calo degli occupati a luglio, per la prima volta nella storia delle serie statistiche, un’inflazione al 10,8 per cento (in Italia è al 7,9) e un Pil che cresce dello 0,2 per cento contro le stime dello 0,5. E poi ci sono i numeri allarmanti del debito pubblico. L’onere per ognuno degli oltre 47 milioni di spagnoli arriva a 28.978 euro, secondo le cifre appena rese pubbliche dal controllore generale del ministero delle Finanze, ed è già aumentato di oltre il 26 per cento, da quando Sánchez è entrato alla Moncloa – la sede del governo – nel 2018. Dal 2017 l’escalation del debito ha significato passare da un onere virtuale di 57.400 euro per famiglia a uno di circa 72 mila.
«La disoccupazione è un pessimo segnale ed è dovuta in parte all’incertezza economica mondiale» ha riconosciuto nelle settimane scorse Joaquín Pérez Rey, il segretario di Stato per l’occupazione. «L’inflazione riconducibile alla guerra in Ucraina sta poi moltiplicando gli elementi negativi in Europa, colpendo la filiera e generando tensioni su ciò che accadrà con l’energia». A rincarare la dose ci ha pensato il celebre e ascoltato economista Santiago Sánchez: «Gli indicatori si sono deteriorati in modo preoccupante anticipando il peggioramento che la maggior parte degli analisti si aspettava per fine anno».
Sul fronte sicurezza cova poi sotto la cenere il problema di un’immigrazione in costante crescita anche nei primi sei mesi del 2022 (+3,4 per cento rispetto al 2021). Nel giugno scorso, nell’enclave in territorio marocchino di Melilla (dove gli sbarchi sono aumentati del 129 per cento), l’invio in forze dell’esercito da parte del governo ha provocato scontri drammatici tra polizia, forze speciali e migranti, con 23 morti e 140 feriti.
In mezzo alle varie urgenze, Sánchez deve anche fare i conti con importanti defezioni nella sua squadra di collaboratori. A partire da colui che è considerato da molti il suo spin doctor, Iván Redondo, l’uomo che lo ha seguito in ogni suo passo dal 2017, quando il premier ha iniziato a riprendersi il partito, sbaragliando a sorpresa i contendenti nelle primarie. «A volte in politica, negli affari, come nella vita, oltre a saper vincere e sapere come perdere, devi fare qualcosa di molto più importante: sapere come fermarti» ha scritto su Twitter l’abile comunicatore che, evidentemente, avverte come il vento sia cambiato.
Condivide gli stessi dubbi la vice premier Carmen Calvo: la potente esponente socialista che ha subìto come una sconfitta personale il via libera alla contestata Ley trans, per l’autodeterminazione di genere, voluta da Podemos, alleato di eco-sinistra dell’esecutivo. Ecco dunque che Sánchez appare sempre più come un uomo solo al comando. «Ormai governa al di fuori dal perimetro della propria maggioranza, ignora i partner sulle questioni importanti e li tratta con indifferenza» commenta José Antonio Zarzalejos, editorialista di El confidencial e scrittore. «Tuttavia ha saputo trasformarli nei “cattivi” del film senza che né Sinistra Unita né Podemos riescano per ora a reagire rapidamente e con buone argomentazioni. Sánchez mi ricorda il vostro Enrico Letta in Italia, che agita la paura delle destre in funzione elettorale. Ma il dilemma della Spagna non è Sánchez o il fantomatico ritorno alla dittatura, i temi che coinvolgono la gente sono economia e occupazione».
Anche la politica estera di questi anni risulta deludente. Secondo un recente sondaggio, Sánchez è risultato il peggior premier europeo nella gestione della crisi in Ucraina. Nei mesi scorsi, inoltre, ha dovuto incassare, in piena emergenza energetica e delle materie prime, la rottura unilaterale da parte dell’Algeria di un importante accordo di cooperazione. A giugno e luglio, di conseguenza, c’è stato un crollo delle importazioni di gas dallo Stato africano (diminuite del 42 per cento) e un inevitabile aumento del 15 per cento di quelle dalla Russia, scelta che ha fatto storcere il naso a Bruxelles.
Intanto tutti i sondaggi danno il Partito popolare nettamente in vantaggio sul Psoe, il partito del premier, in caso di voto (dai 7 ai 10 punti percentuali lo scarto stimato); e le Politiche che, salvo incidenti di percorso, si terranno nel novembre 2023, sono viste dai socialisti come un incubo anticipato. Eppure Sánchez è convinto che la sua strategia non debba essere quella di inseguire il Pp sul suo stesso terreno, ma allontanarsi dalle idee moderate del nuovo segretario, Alberto Núñez Feijóo, e occupare invece lo spazio che sta liberando a sinistra Podemos, come spiega l’analista politica Pilar Gómez ex vicedirettore del quotidiano La Razón. «Non è affatto una questione di principio, ma di pragmatismo. Come quando si è affidato alla militanza, oggi Sánchez cerca di essere il punto di riferimento per classe media e lavoratori precari. Ha identificato in loro la propria nicchia elettorale, davanti a un Feijóo che ha messo alle strette il centro. Si sente a suo agio come il nuovo Pablo Iglesias (il suo ex vicepremier, leader di Podemos, ndr). È disposto a togliersi la cravatta – e molto altro – per attrarre un elettorato orfano di politiche della sinistra più estrema o indifferente al nuovo progetto di aggregazione movimentista della sua ministra del Lavoro Yolanda Díaz».
Proprio quegli estremismi con cui Sánchez ha da sempre avuto un rapporto conflittuale, e che ora potrebbero portare a un rapido tramonto della sua carriera politica. Soprattutto se nelle file dei popolari dovesse prevalere la linea politica meno moderata della presidente di Madrid, la quarantenne Isabel Díaz Ayuso, che si sta affermando come protagonista della battaglia politica spagnola del futuro prossimo.