Bombe e missili su Kiev e sulle città. Battaglie durissime al fronte che obbligano le truppe ucraine ad arretrare. La superiorità bellica di mosca impedisce agli attaccati una vera controffensiva. E se il tragico equilibrio non cambia, l’esito della guerra che prosegue da due anni nel cuore dell’Europa è segnato.
Il governo ucraino ha stanziato 427 milioni di euro per fortificare la linea del fronte lunga mille chilometri. Una somma record che dimostra, dopo quasi due anni di guerra, come i russi siano all’offensiva. Il generale in congedo Giorgio Battisti osserva che «nessuno dei due riesce a prevalere in modo definitivo sull’altro, ma l’iniziativa in questo memento è in mano alle forze di Mosca anche se i risultati sono limitati in termini di guadagno sul terreno. Gli ucraini, però, sono sulla difensiva su tutta la linea del fronte». È uno stallo pericoloso con i russi che puntano a sfondare attaccando su almeno sette direttrici. Il nuovo zar Vladimir Putin canta già vittoria, ma di Pirro: i suoi soldati non occupano più del 20 per cento del territorio ucraino.
Olexandr Shtupun, portavoce dello stato maggiore dell’esercito a Kiev, soprannominato «Rambo», ha però ammesso che «se consideriamo il numero di assalti e la pressione esistente sulle nostre unità, l’ultimo mese del 2023 è stato il più difficile per le truppe dall’inizio del conflitto». Lo stesso presidente, Volodymyr Zelensky, ha annunciato il 20 gennaio scorso, che «solo nell’ultimo giorno ci sono stati più di un centinaio di scontri, battaglie intense. La più dura è ad Avdiivka». La città della regione del Donbass ed i dintorni fortificati resistono dall’inizio dell’invasione a pochi chilometri da Donetsk, la «capitale» filorussa che continua a essere bersagliata dall’artiglieria di Kiev. Il 21 gennaio è stato colpito il mercato con proiettili di 155 millimetri che hanno causato 27 morti fra i civili. «L’obiettivo russo è chiudere la sacca attorno ad Avdiivka» spiega una fonte Nato. «Se cade non sarà solo una vittoria altamente simbolica, ma la linea di difesa ucraina dovrà arretrare di almeno 20 chilometri». L’esercito invasore ha conquistato Marinka, ma preme su sette fronti a cominciare da est sull’asse Kupyans’k-Svatove-Kreminna puntando al fiume Oskil come linea di demarcazione. Dopo la caduta di Bakhmut, la «Stalingrado» ucraina, le truppe russe puntano alla nuova linea di difesa a Chasiv Yar.
Oltre Avdiivka stanno rosicchiando terreno attorno all’unico successo della controffensiva estiva degli ucraini che è arrivata fino al villaggio di Robotyne. Il 10 gennaio il ministro della Difesa, Guido Crosetto, ha spiegato con lucidità in Parlamento che «per esplicita ammissione delle autorità ucraine, il contrattacco, sviluppatosi soprattutto a sud negli Oblast (regioni, ndr) di Zaporizhia e Kherson, ha permesso di recuperare dall’occupazione russa solo poche decine di chilometri quadrati di terreno». La controffensiva ha fallito «l’obiettivo finale che Kiev si era posta: raggiungere il Mare di Azov e interrompere la continuità territoriale tra Crimea e Donbass». Crosetto ha fatto notare che «le principali difficoltà riscontrate sono da imputare alla presenza di vasti campi minati – l’intelligence ucraina stima in oltre otto milioni il numero di mine impiegate dai russi a protezione delle proprie posizioni – e alla superiorità numerica e aerea delle forze di Mosca».
Le teste di ponte degli attaccati di fronte a Kherson, oltre il fiume Dnipro, altra linea di demarcazione russa, vengono martellate e subiscono pesanti perdite anche se uno scudo di droni riesce a tenere in parte a bada l’artiglieria nemica. La spina nel fianco degli ucraini è il blocco degli aiuti (60 miliardi di dollari) imposto dai repubblicani nel Congresso americano. La criticità maggiore, che si riflette sul campo di battaglia, è la penuria di munizioni, soprattutto dei proiettili di artiglieria da 155 millimetri, i più utilizzati. Le forze di Kiev riescono a sparare duemila colpi al giorno su tutta la linea del fronte, ma i russi rispondono con diecimila, un rapporto di 1 a 5. Il New York Times ha raccolto diverse testimonianze drammatiche di militari in prima linea, come l’ammissione di un vicecomandante di battaglione della 68esima brigata vicino a Kupiansk. «Ho due carri armati, ma solo cinque proiettili. La situazione non è buona» ammette l’ufficiale, nome in codice «Italiano». Yehor Chernev – vicepresidente del Comitato parlamentare per la sicurezza nazionale, la difesa e l’intelligence – è ancora più chiaro: «Adesso stiamo cedendo un po’ di terreno, ma se gli aiuti degli Stati Uniti continueranno a essere rimandati perderemo delle città». Putin, che pensa di avere la vittoria in tasca, vuole conquistare tutto il Donbass. Al momento controlla il 95 per cento della regione di Luhansk e gli manca il 30 per cento di quella di Donetsk, ma potrebbe puntare anche su Zaporizhia. Questi anni di guerra sono costati, secondo stime occidentali, mezzo milione di morti e feriti (350 mila russi e 150 mila ucraini). Una montagna di vittime, ma «la Russia sembra in sostanza intenzionata a puntare a un conflitto di logoramento» ha dichiarato Crosetto, «nella convinzione che, nel lungo periodo, le opinioni pubbliche occidentali si stancheranno e ci saranno defezioni tra i ranghi dei Paesi sostenitori di Kiev».
Per raggiungere l’obiettivo, le forze russe continuano a lanciare a ripetizionie sciami di missili e droni kamikaze sulle città ucraine. Il 29 dicembre ben 158, l’attacco più imponente dall’inizio dell’invasione. E adesso cominciano a essere utilizzati anche i missili nord coreani, che potrebbero venire forniti in grandi quantità. Una fonte della Nato a Mosca fa notare che «la Russia ha fortemente aumentato la sua capacità nell’industria bellica riconvertendo impianti industriali con turni di 24 ore su sette giorni disponendo direttamente di materie prime a basso costo». E la Corea del Nord ha venduto ai russi 350 mila munizioni di artiglieria, non sempre efficaci, ma che sono una quantità superiore alla capacità produttiva di un anno degli Stati Uniti. Per Crosetto «le sanzioni non hanno avuto effetto sulla crescita del prodotto interno lordo russo anche perché i prezzi delle materie prime che esportavano si sono alzati». Gli ucraini reagiscono non solo con la fortificazione difensiva della prima linea, ma con una nuova tattica offensiva. «Vogliono portare la guerra dentro la Russia, più in profondità possibile con attacchi di droni su obiettivi strategici come le raffinerie» osserva una fonte Nato a Kiev. «Hanno in cantiere un missile balistico di produzione interna e in vista delle elezioni per il Cremlino potrebbero aumentare i bombardamenti oltre confine». L’ attacco del 21 gennaio ha centrato un terminal di gas russo sulla costa del Mar Baltico e installazioni militari nelle regioni di Smolensk, Tula e Oryol. In tre settimane gli ucraini hanno colpito quattro raffinerie con l’obiettivo di rallentare i rifornimenti alle truppe d’invasione.
Un altro problema per gli attaccati è l’arruolamento di mezzo milione di uomini, ritenuto necessario dai vertici militari. A Kiev si susseguono manifestazioni di centinaia di persone che chiedono, al contrario, di far tornare a casa i loro cari da troppo tempo al fronte senza rotazione. Al di sotto dei 27 anni si combatte solo se si è volontari e basta iscriversi all’università per evitare di andare al fronte. Il risultato è che in alcune brigate tre reclute su dieci non sono in grado di affrontare la battaglia per anzianità, alcolismo o problemi fisici. Nonostante i metodi aggressivi di reclutamento e una legge in discussione in Parlamento, la classe politica è restia ad abbassare l’età o eliminare le scappatoie. Zelensky è in difficoltà con una flessione della fiducia, registrata dai sondaggi, del 22 per cento in un anno. Il presidente di guerra si sente tradito da tutti, a parte un pugno di stretti collaboratori che sembrano sempre più asserragliati nel palazzo alle spalle di piazza Maidan. Nonostante il serpeggiante «affaticamento» occidentale nei confronti dello sforzo bellico di Kiev, Josep Borrell, Alto rappresentate Ue per la politica estera, continua ad affermare che «il sostegno europeo continuerà più forte che mai». Il 2 e 3 febbraio i ministri della Difesa discuteranno dell’impegno a favore dell’Ucraina nell’incontro chiamato «Gymnich», dal nome del castello che ha ospitato la prima riunione ministeriale sulla politica estera che il Consiglio europeo tiene ogni sei mesi.
L’ultima settimana di gennaio la Nato ha lanciato un chiaro messaggio al Cremlino con Steadfast Defender 2024, la più vasta esercitazione militare da decenni con 90 mila uomini di 31 Paesi membri. Il ministro della Difesa tedesco, Boris Pistorius, è convinto che Putin potrebbe dichiarare guerra alla Nato «nel giro di cinque-otto anni». L’ammiraglio olandese, Rob Bauer, presidente del Comitato militare dell’Alleanza atlantica, sostiene che bisogna prepararsi a un conflitto con la Russia nel prossimo ventennio. A parte le previsioni allarmistiche da sfera di cristallo, sul campo di battaglia «i russi vogliono prendere il controllo almeno del Donbass» prevede il generale Battisti, «così Putin potrà annunciare che la missione è compiuta aprendo a un “cessate il fuoco”». Una vittoria di Pirro, appunto, che Kiev non accetterà: «Gli ucraini si fortificano per adottare una difesa attiva nel 2024» sostiene il generale in congedo «con l’obiettivo di riprendere l’iniziativa nel 2025. La guerra continuerà, ma sempre più dimenticata».