Un passivo di 156 milioni di euro, spese che salgono e ricavi che scendono, l’idea di sacrificare i gioielli immobiliari per ripianare la voragine che neanche la montagna di soldi del canone pagato dai cittadini (un miliardo e 864 milioni), riesce a colmare. L’analisi della Corte dei conti certifica (per l’anno 2022) i numeri «in rosso» dell’emittente di Stato.
I conti di Mamma Rai sono disastrosi. E anche se il passivo, che stando all’ultimo bilancio analizzato dalle toghe della Sezione centrale della Corte dei conti, ovvero quello del 2022, si è attenuato passando dai 30,44 milioni di euro dell’anno precedente ai 29,84 milioni, le altre voci del dossier depositato il 7 maggio scorso e notificato all’azienda di viale Mazzini appaiono come catastrofiche. Il primo nodo è di impronta generale: «La gestione caratteristica di Rai Spa» analizza il giudice relatore Ermanno Granelli, «ha chiuso con un peggioramento di 30,7 milioni del risultato operativo (che già era di segno negativo l’anno precedente, ndr)», arrivando a superare i 156 milioni di euro col segno meno.
La causa? «L’aumento dei costi», che secondo le toghe si sono attestati sui 53 milioni, a fronte di un incremento minimo dei ricavi. In sostanza l’azienda spende il 2 per cento in più rispetto all’anno precedente e incassa meno dell’1 per cento in più. E anche se a offrire un’ampia boccata d’ossigeno all’emittente di Stato, a leggere i bilanci, sono stati i cittadini, «in particolare», annotano i giudici contabili, «i ricavi da canone ammontano a un miliardo e 864 milioni di euro», ovvero 44 milioni in più rispetto al 2021, nonostante il sacrificio richiesto agli utenti, i manager non sono riusciti a rimettere i conti in asse. Ed è questo il dato più clamoroso: «Le risorse da canone non sono sufficienti a pareggiare i costi sostenuti dalla concessionaria per l’assolvimento dei compiti di servizio pubblico». Il quadro che emerge è quello di un classico carrozzone, con «inefficienze e diseconomie», sentenziano i giudici.
D’altra parte, il mercato della pubblicità ha risentito, a dire dei giudici contabili, «dell’entrata in vigore dei nuovi limiti di affollamento pubblicitario introdotti dal Testo unico dei servizi media audiovisivi». In soldoni sono entrati nelle casse 58 milioni di euro in meno. I conti sono salvi solo grazie a una «compensazione» delle perdite «con i redditi apportati dalle società del gruppo in sede di consolidato fiscale». Ma la trovata finanziaria, ammoniscono i giudici, non è detto che «potrà ripetersi negli esercizi successivi». Quindi, come farebbe qualsiasi buon padre di famiglia, hanno invitato i vertici della Rai ad «assicurare un maggior contenimento dei costi che, peraltro», scrivono nel dossier, «nell’anno in esame sono aumentati, risultando significativamente superiori ai ricavi». E anche le disponibilità liquide, cioè quelle di cassa, sembrano preoccupanti. In un solo anno sono scese da 42 milioni a 4,42, con un «indebitamento verso banche e obbligazionisti di ammontare elevato». Le toghe contabili hanno quindi invitato l’azienda «a monitorare con attenzione la dinamica per assicurare la sostenibilità anche nel medio-lungo periodo».
A lungo andare, insomma, la Rai potrebbe affogare in un mare di spese. Soprattutto quelle per le produzioni monstre. Una delle più costose è senza ombra di dubbio quella per il Festival di Sanremo: oltre 12 milioni di euro, i cui costi esterni gravano sul bilancio della Rai per quasi due milioni. L’orchestra costa poco più della conduzione-direzione artistica (affidata ad Amadeus): 697 mila euro contro 641 mila. Per gli ospiti si spendono 708 mila euro e oltre un milione per la scenografia. Ed emerge subito una certa sproporzione con le opere documentaristiche: quelle avviate nel 2022 (per 82 ore di trasmissione) sono costate 5,1 milioni, cioè meno della metà del festival. E se i costi esterni generali sono scesi, il dato è da ricondurre ai diritti televisivi per il calcio, «in alcuni casi», sottolineano i giudici, «non acquistati nelle ultime due stagioni». C’è poi un altro problema che viene segnalata dai giudici: «Si registra la presenza di costi per grandi eventi sportivi per un ammontare complessivo di circa 176 milioni», con costi esterni che risultano in aumento di 35 milioni rispetto all’anno precedente, mentre «i costi del personale registrano un decremento di 27,7 milioni». Una voce a parte è dedicata agli organismi di gestione: tra emolumenti, indennità di carica e rimborsi spese (85.827 euro) gli amministratori (compreso quello delegato) costano 953 mila euro all’anno.
C’è poi un altro comparto su cui si stanno arrovellando non poco i vertici dell’azienda di Stato, quello immobiliare. Un assetto che consta di 765 mila metri quadri lordi, 125 mila dei quali usati dalla Rai ma di proprietà di terzi. Il loro valore complessivo è stimato tra i 900 milioni e il miliardo di euro, a cui va aggiunto quello per le opere d’arte, presenti soprattutto a Venezia (palazzo Labia), stimato in 6,8 milioni. Lo stabile di pregio pare che sia stato messo in vendita per fare cassa. L’operazione complessiva dovrebbe comprendere anche le sedi di corso Sempione a Milano e di largo Alcide de Gasperi a Firenze. Nel mirino ci sono anche le sedi di Torino, Bari e Cagliari. È stata poi effettuata un’indagine di mercato per la ricollocazione della sede regionale ligure in un nuovo immobile che viene definito «di dimensioni adeguate alle attuali esigenze». L’indagine, però, non avrebbe prodotto risultati, «anche per lo scarso interesse mostrato dal mercato per la possibilità di permuta con la sede di corso Europa».
La notizia, qualche mese, fa è rimbalzata nei comitati di redazione delle sedi regionali e ha creato non poche preoccupazioni tra il personale giornalistico e non. Proprio da Venezia i giornalisti hanno diffuso un documento: «Non si svendono i gioielli di famiglia. Non è la prima occasione in cui il palazzo viene messo sul mercato, ma la novità è che stavolta fa parte di un unico pacchetto di immobili aziendali. La sede veneziana però ha un prestigio e un valore storico e artistico che la rende unica nel patrimonio della Rai». L’azienda però è anche alle prese con un notevole aumento dei costi per le sedi regionali: 101 milioni rispetto ai 77 del 2021. Un certo peso specifico è da addebitare agli aumenti delle bollette dell’energia elettrica e del gas. L’azienda ha quindi elaborato quello che i giudici contabili definiscono «un complesso e articolato piano immobiliare», che prevede «una razionalizzazione degli asset sul medio-lungo termine»: ovvero dieci anni. E, oltre alle ristrutturazioni, è prevista proprio la riduzione degli spazi. I vertici della Rai hanno pensato a «nuovi modelli di allestimento degli uffici e delle redazioni secondo logiche di smart office, con l’adozione di postazioni condivise che consentiranno la razionalizzazione delle superfici e la riduzione dei costi immobiliari». Programma ambizioso: non rimane che sedersi e guardare.