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Spagna, i corvi che volano sul governo di Sánchez

Spagna, i corvi che volano sul governo di Sánchez

Una moglie che promuove affari spericolati, per cui lo stesso primo ministro viene convocato dai giudici. Ci sono poi le incertezze sull’alleanza che lo sostiene e le previsioni economiche.


In Spagna c’è un proverbio assai popolare che recita: Cría cuervos y te sacarán los ojos! («Alleva corvi e ti caveranno gli occhi», in altre parole: se ti prendi cura di persone poco raccomandabili, ti sfrutteranno), si adatta bene al difficilissimo momento che sta attraversando Pedro Sánchez, sia sul piano personale sia su quello politico. Ancora una volta, infatti, deve fare i conti con una moglie assai ambiziosa, Begoña Gómez, alla quale il semplice ruolo di primera mujer evidentemente va troppo stretto. Secondo il giornale spagnolo El Confidencial, che ha rivelato l’esistenza dell’indagine sulla moglie del premier un mese fa, gli inquirenti sarebbero interessati ai rapporti della signora con il gruppo turistico spagnolo Globalia, proprietario della compagnia aerea Air Europa. All’epoca, Begoña Gómez era a capo dell’Ie Africa Center, fondazione legata alla scuola di economia di Madrid IE University, incarico da cui si è dimessa nel 2022.

Per El Confidencial, l’Ie Africa Center «ha firmato un accordo di sponsorizzazione con Globalia nel 2020» e Begoña Gómez ha partecipato «a un incontro privato con il suo ad, Javier Hidalgo, in un momento in cui Globalia stava negoziando con il governo un piano di salvataggio da svariati milioni di euro». Questo piano ha permesso ad Air Europa di ottenere 475 milioni di euro nel novembre 2020. Un caso assai scivoloso, anche perché alcuni incontri si sarebbero svolti proprio alla Moncloa, la sede del governo spagnolo, e secondo testimoni, alla presenza dello stesso primo ministro spagnolo. Un giudice di Madrid, Juan Carlos Peinado, ha chiesto che fosse sentito in qualità «persona informata dei fatti» proprio Sánchez, il quale ha subito gridato al complotto per delegittimare il suo governo. Ma nel partito socialista, che notoriamente non l’ha mai amato, c’è chi teme (o, chissà, forse spera) addirittura che il giudice istruttore finisca per ritenere che ci siano prove indiziarie anche contro lo stesso Sánchez e presenti una dichiarazione motivata alla Corte Suprema per indagare su di lui. Il premier si è avvalso, polemicamente, della facoltà di non rispondere, e anzi è passato al contrattacco querelando per prevaricazione il giudice Peinado.

Un corto circuito politico-giudiziario che conferma il nervosismo del massimo esponente socialista, il quale sembra patire una sorta di sindrome dell’accerchiamento. Il suo predecessore, Mariano Rajoy, fu chiamato a testimoniare nel processo del caso Gürtel, una Tangentopoli in salsa iberica, per cui il partito popolare finì condannato. E la cosa portò alla mozione di censura che destituì il primo ministro. Chissà che, come in una sorta di nemesi, alla fine non possa toccare a Sánchez sorte analoga. Anche perché nei giorni scorsi si è diffusa la notizia che un altro membro della sua famiglia, il fratello David, musicista di professione e nominato direttore dell’Ufficio per lo spettacolo del consiglio provinciale di Badajoz, sarebbe stato accusato di evasione fiscale e di traffico di influenze. Alberto Núñez Feijóo, segretario dei popolari, ha chiesto apertamente le dimissioni del premier. Una situazione che rischia di mettere in pericolo la già debolissima maggioranza governativa, che proprio in questo periodo, deve affrontare nuovamente la «grana Puigdemont». Una ventina di giorni fa il leader del partito indipendentista catalano Junts per Catalunya, il cui appoggio al premier è stato determinante per formare una maggioranza, ha fatto mancare i voti su due importanti provvedimenti del governo (uno riguardava la legge di bilancio).

Si è trattato di un chiaro avvertimento, dopo il patto tra socialisti e l’altro partito indipendentista Erc, per il via libera al nuovo presidente della Catalogna, il socialista Salvador Illa. Carles Puigdemont, tutt’altro che nuovo ad atti clamorosi, è tornato a Barcellona, dopo 2.475 giorni di latitanza in Belgio, l’8 agosto scorso, giorno della investitura di Illa, «Hanno reso sospetto il fatto di essere catalani» ha tuonato, nel suo breve discorso di fronte a una folla di sostenitori accorsi per lui. Per arrivare all’accordo con l’Erc, Sánchez ha fatto una concessione clamorosa, che sta creando imbarazzo anche dentro lo stesso partito socialista: il 100 per cento delle imposte regionali resteranno al governo autonomo catalano. Una scelta che ha provocato la protesta dei governatori socialisti delle Asturie, e dell’Estremadura. Le difficoltà, quindi, si affastellano. Ma il vero problema, come sostengono alcuni analisti, parte dalla contraddizione di fondo su cui si è basata la legislatura fin dal suo inizio: una maggioranza che si regge sul compromesso e il ricatto. «L’esecutivo non riesce a scrollarsi di dosso l’apparenza di incertezza con cui è nata un anno fa, a causa di una minoranza parlamentare che costringe Sánchez a negoziare e concordare ogni passo, e non sempre con successo» afferma Juan Carlos Merino, scrittore ed editorialista del quotidiano catalano La Vanguardia.

Intanto un ultimo sondaggio attribuisce ai popolari ben 157 seggi, 20 più di quelli ottenuti appena un anno fa, che sommati con quelli di Vox, darebbero al centrodestra la maggioranza assoluta. «Supera ogni limite egoistico, è osceno e supponente nei confronti del resto della Spagna» afferma senza mezzi termini Jose Fernández Díaz, scrittore ed editorialista politico del quotidiano La Razón. Insomma, il Paese è insofferente ad ambizioni ed egocentrismo di colui che lo guida, e molti ritengono che la sua parabola politica sia ormai in fase discendente. Anche sul fronte economico, dove i segnali sono comunque incoraggianti, i dati sull’occupazione di luglio hanno mostrato la prima frenata da quattro anni con diecimila posti di lavoro persi a luglio. Nulla di drammatico si dirà, considerando che i dati sul Pil sono sempre al di sopra della media europea (certo non per merito di Sánchez ma grazie alle riforme operate da Rajoy che ora la vicepresidente Yolanda Díaz sta cercando di smontare), le previsioni per il 2024 parlano di una crescita del 2,1 per cento e di 1,9 nel 2025 (per la media Ue si parla rispettivamente dell’1 per cento e dell’1,6). Piuttosto sono altri numeri, questi invece molto negativi da diversi anni, che dovrebbe preoccupare, perché indice di una tendenza che può avere ripercussioni sulla crescita futura. Si tratta della spesa pro-capite e del Pil pro capite: sono 12 e 13 punti sotto la media europea. È il segno tangibile, a detta degli esperti, che in Spagna non si nutre grande fiducia nel futuro (a luglio l’indice dei consumatori è calato da 84,5 punti a 83,8). E con questi chiari di luna nel panorama politico, come dargli torto.

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