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Nel gioco del sultano

Nel gioco del sultano

Da una parte i mega progetti interni, per alzare il gradimento popolare in vista delle elezioni di giugno 2023. Dall’altra i successi all’estero: il poker con Putin per una soluzione in Ucraina, la Nato messa sotto scacco, il successo sui giacimenti in Libia… Così Recep Tayyip Erdogan costruisce il suo secolo turco.


Le parole di Vladimir Putin devono aver suonato dolci come miele alle orecchie del presidente turco Recep Tayyip Erdogan, quando pochi giorni fa i due si sono incontrati in Kazakistan a margine di un summit asiatico. «Potremmo costruire insieme un sistema di gasdotti e creare un hub del gas in Turchia per la vendita anche a Paesi terzi, in primis ovviamente a quelli europei», gli ha proposto lo Zar. Una partenership ultramiliardaria sul transito, lo stoccaggio e la determinazione dei prezzi che trasformerebbe Ankara in un centro mondiale degli idrocarburi. Il «Sultano» ha sorriso: sta capitalizzando il ruolo di mediatore nella guerra in Ucraina, conflitto che ha complicato la già precaria situazione economica della Turchia, ma che gli offre opportunità pratiche e politiche. E lui sa coglierle. È diventato il decisore dell’ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato. È stato il risolutore dell’impasse sul grano intrappolato a Odessa. È evocato come pacificatore a un passo dall’Apocalisse nucleare. Strizza l’occhio al presidente russo dichiarando che «anche la peggior pace è meglio della guerra», ma vende a Kiev i micidiali droni Bayraktar. Non ha mai sconfessato la linea della Nato, ma si è ben guardato dall’imporre sanzioni a Mosca. Anzi: compra gas e petrolio russi a prezzi scontati.

È una strategia su più tavoli, la sua, fitta di ambiguità, dettata tra l’altro «dalla necessità di migliorare la sua posizione per vincere le elezioni presidenziali del 2023 e continuare a fare della Turchia la più importante potenza mediorientale», ha spiegato W. Robert Pearson, ex ambasciatore Usa ad Ankara. Se al recente vertice dell’Europa allargata, a Praga, Erdogan ha litigato in maniera plateale con il leader greco Kyriakos Mitsotakis, al summit dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (Sco) del 16 settembre, tenuto a Samarcanda, Uzbekistan, sembrava più a suo agio. Nel centro nevralgico dell’antica Via della Seta, i nove Paesi asiatici che compongono la Sco erano in cerca di alleanze in antitesi con l’Occidente. Una fotografia ritrae i leader davanti alle bandiere dei propri Paesi. Spiccano Xi Jinping, Erdogan e Putin: un ordine mondiale alternativo che cerca di nascere alle porte dell’Occidente. Come ai tempi dei sultani, Erdogan sfrutta al massimo la posizione geografica a cavallo tra Asia, Europa e Africa del Nord puntando a una «turchificazione», sia come salvaguardia delle vaste popolazioni turcofone che intende come un’unica grande nazione, sia come estensione delle aree di influenza geopolitica.

L’ultimo atto è del 3 ottobre, quando a Tripoli (nella Libia riconosciuta dall’Onu e dall’Italia) i suoi ministri hanno firmato un memorandum d’intesa col governo del primo ministro Abdul Hamid Dbeibeh per l’esplorazione e lo sfruttamento delle risorse energetiche nel Mediterraneo orientale. Quelle stesse acque che Grecia, Egitto e Cipro rivendicano come parte delle loro Zone economiche esclusive. Le risposte non sono mancate. «Bisogna astenersi da azioni che rischiano di aumentare la tensione», hanno detto dal Dipartimento di Stato americano. «Un atto illegale, nullo e invalido», ha twittato il ministro degli Esteri greco Nikos Dendias. Ma tre giorni dopo la firma, faccia a faccia con il premier Mitsotakis al summit di Praga, Erdogan ha rincarato la dose: «Potremmo arrivare di colpo nella notte». Una chiara minaccia di invasione militare.

Le tensioni con la Grecia, che da sempre compattano l’orgoglio turco, erano già esplose ad agosto. Secondo una denuncia di Ankara, alcuni dei suoi F-16 in missione vicino a Creta sarebbero stati «agganciati» dal sistema anti-aereo greco. Mentre non va giù che Atene mantenga truppe sulle isole del Mar Egeo in violazione dei trattati di pace. «Abbiamo solo una parola da dire alla Grecia: non dimenticare Smirne», ha tuonato Erdogan, riferendosi alla cacciata degli arcinemici dalla città portuale nel 1922, al culmine della guerra d’indipendenza turca. Le sparate nazionaliste di Erdogan, specie contro il vicino ellenico, servono a compattare la parte sovranista del suo elettorato, che vive ancora nel mito di Atatürk «il liberatore». Ma la sua strategia per raccogliere consensi interni, in vista del voto nel 2023 così come ha fatto in passato, è complessa e dispendiosa. Soprattutto perché passa dalla costruzione di mega-progetti in patria. Quelli realizzati negli ultimi 20 anni ammontano a 150 miliardi di dollari. 10-15 miliardi è il costo del «Canale Istanbul» che metterebbe in collegamento il Mar Nero con il Mar di Marmara parallelamente al Bosforo, descritto da Erdogan come il suo «progetto pazzo».

In ballo, poi, c’è il più grande piano di edilizia sociale mai realizzato: la compagnia edile di Stato, Toki, costruirà 500 mila unità abitative nei prossimi cinque anni, che saranno assegnate a famiglie a basso reddito. Un progetto da 49 miliardi di dollari in un Paese in cui il 42 per cento delle famiglie vive in affitto. E non finisce qui. Ci sono anche la Marmaray, la linea ferroviaria suburbana lunga 76,6 km che comprende un tunnel sotto il Bosforo, e la futura centrale nucleare di Akkuyu, dal costo di 40 miliardi finanziati al 93 per cento dall’agenzia atomica russa Rosatom. Non bisogna poi dimenticare il ponte Yavuz Sultan Selim sul Bosforo, il più largo del mondo, e quello sullo Stretto dei Dardanelli, il più lungo sospeso. In ultimo, il progetto forse più stupefacente, l’aeroporto di Istanbul, tra i più grandi esistenti, un intreccio di scale mobili, ipertecnologico e grandioso. Una ciliegina per affermare Istanbul come «World Brand» e la Turchia come Paese del futuro. «Erdogan ha rapporti con una sfilza di imprese di costruzione, quindi accontenta le élite economiche con questi contratti» fa notare Aaron Stein, analista del Foreign Policy Research Institute.

Ma di certo accontenta anche la popolazione, visto che sta risalendo rapidamente la china nei sondaggi dopo il forte ribasso dovuto alla situazione economica. L’inflazione ha superato l’80 per cento ed erode il potere di acquisto degli elettori. Il leader turco ha licenziato tre governatori della Banca centrale negli ultimi tre anni e ha ordinato una serie di tagli dei tassi di interesse, alimentando una furibonda impennata dei prezzi. «L’attuale strategia è finalizzata a guadagnare investimenti esteri, per sostenere la debolissima lira che in questo momento sta danneggiando lavoratori, piccole imprese e pensionati», conferma Pearson.

In questa prospettiva, negli ultimi due anni Ankara ha avviato una riconciliazione con gli Stati del Golfo, tornati a convergere sulla comune percezione di minaccia dell’Iran, e con l’Arabia Saudita. Una strategia culminata con la visita di Stato dello stesso principe Mohammad bin Salman in Turchia lo scorso 22 giugno (Ankara sta aspettando da Riad aiuti finanziari per 20 miliardi di dollari). Sempre in giugno, una delegazione guidata dal ministro delle Finanze turco Nureddin Nebati si è recata in Egitto, a Sharm el-Sheikh, per la prima volta dal golpe del 2013. «Erdogan vuol riparare i rapporti con i leader in Medio Oriente, i quali cercheranno di modellare le politiche di Ankara nel modo più vantaggioso per loro, ma nessuno si fida davvero di lui» spiega ancora Stein. Il Sultano si sta riavvicinando pure a Israele, dopo la «rottura» seguita all’incidente della Mavi Marmara (nel 2010 i reparti speciali israeliani abbordarono una nave di attivisti pro-palestinesi turchi che volevano rompere il blocco di Gaza, uccidendone nove). Adesso tornano a nominare i rispettivi ambasciatori.

L’obiettivo di Erdogan è mantenere il potere» aggiunge Stein. «L’intero apparato statale serve a questo scopo». In vista delle elezioni cerca di proiettare l’immagine del leader di spicco sulla scena mondiale. E non è solo immagine: con il consenso interno il Sultano cercherà davvero di realizzare il nuovo sogno imperiale. Dichiarato anche pochi giorni fa: «Sconfitta l’inflazione, spero di costruire insieme il secolo della Turchia». n

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