Democratici e repubblicani agli antipodi anche nelle convention di agosto. Con i primi in modalità virtuale per rispettare salute e distanziamento sociale. E i secondi a caccia di quei bagni di folla che sono stati la vera forza di The Donald. Anche se il voto per posta potrebbe riservare brutte sorprese al tycoon.
Roboante, incurante e provocatoria quella repubblicana. Sottotono, silenziosa e opportunamente in modalità smart working quella democratica. Sono questi i tratti salienti delle convention di partito che tra circa un mese incoroneranno Donald Trump e Joe Biden candidati alle elezioni presidenziali degli Stati Uniti. Le stesse che, a parere di molti osservatori, sono destinate non solo a cambiare il volto del Paese, ma a influenzare dinamiche ed equilibri planetari, comunque andranno. Due convention assai diverse tra loro, riflesso di due candidati agli antipodi, dal punto di vista politico, comunicativo e intellettuale.
A tal punto che, se sino a sei mesi fa la doppietta di Trump era data per certa, la pandemia e la conseguente battuta d’arresto economica, unita alla controversa gestione delle proteste per la morte dell’afroamericano George Floyd, hanno creato l’alchimia infernale che ha travolto il presidente facendolo distanziare da Biden nei sondaggi. Non certo per merito di quest’ultimo, che destatosi dopo il lungo letargo elettorale si è ritrovato favorito nelle elezioni più «marziane» che ricordi la recente storia americana.
Partiamo proprio dalla sua convention, quella democratica che si terrà dal 17 al 20 agosto a Milwaukee in Wisconsin, uno degli Stati che diedero la vittoria a Trump nel 2016, ma oggi più in bilico che mai. Si tratterà di un’assemblea virtuale a causa del virus che in alcune realtà degli Usa sta riemergendo con prepotenza. Ancora incerta è la presenza fisica dello stesso Biden per accettare la nomination e pronunciare il tradizionale discorso che dà il via all’ultima fase delle Presidenziali. In ogni caso, non parlerà davanti a migliaia di delegati, media e sostenitori. Il presidente del partito, Tom Perez, ha chiesto ai colleghi di non partecipare di persona, ma di seguire i lavori online. Una mossa che non ha precedenti nella storia americana, nemmeno nella Guerra civile o nella Seconda guerra mondiale. Vista la nuova formula, i dem hanno deciso di spostare la kermesse dal Fiserv Forum, un’arena da 17 mila posti, al più modesto Wisconsin center, limitando la presenza a soli mille posti.
Trump, invece, è deciso più che mai a tenere un mega-raduno come quello di Cleveland, con cui ha lanciato la sua cavalcata finale nel 2016. Del resto il tycoon sa che senza i comizi in stile «Make America Great Again» e il contatto diretto con i suoi sostenitori la potenza di fuoco della sua campagna rischia di spegnersi. Per la prima volta, così, la convention repubblicana si sdoppia. Il Grand old party ha votato per tenere a fine agosto una kermesse in scala ridotta di 336 delegati nella sede originaria di Charlotte, in North Carolina, dove verrà discussa la piattaforma rispettando le misure di distanziamento sociale. Ma Trump terrà il discorso di accettazione senza restrizioni di sorta (in un’arena da circa 15 mila posti) a Jacksonville, in Florida, uno dei nuovi epicentri della pandemia. Per questo, le autorità cittadine hanno introdotto «l’obbligo di indossare la mascherina nei luoghi pubblici e al coperto, e in altre situazioni in cui le persone non sono in grado di rispettare il distanziamento sociale». Ovvio che, se il contagio nello Stato dovesse ulterioremente aggravarsi, le cose cambierebbero.
Così, mentre Trump è a caccia di bagni di folla, i dem vogliono marcare netta la distanza dall’attuale inquilino della Casa Bianca. «A differenza del presidente, Biden e i democratici sono impegnati a proteggere la salute e la sicurezza dei cittadini americani», sale in cattedra Perez. Una scelta basata su questioni di sicurezza pubblica, ovviamente, ma non solo. Biden, infatti, è il candidato alla Casa Bianca più anti-social dell’ultimo scorcio di storia Usa. È tenuto in piedi da Barack Obama sul piano della raccolta fondi, e non fa una conferenza stampa da oltre tre mesi.
Mentre gli Stati Uniti erano alle prese con le proteste e il dibattito sul razzismo, il movimento per depotenziare la polizia, la rimozione delle statue e la crisi dell’economia, l’ex vice di Obama non ha mai risposto alle domande dei giornalisti (neppure quelli «amici», tanto da aver rifiutato un’intervista con il New York Times ad aprile), limitandosi a pronunciare discorsi utilizzando il gobbo e a lanciare attacchi precostituiti contro The Donald. Per molti elettori, anche democratici, è il candidato invisibile, e i suoi manager – secondo alcuni osservatori – sono convinti che ogni volta che apre bocca potrebbe distruggere le sue possibilità di sconfiggere Trump. D’altronde, le sue gaffe lo confermano: come quando ha affermato che se un afroamericano non sa se votare per lui o per il rivale, allora non è un vero nero, o quando ha detto che il coronavirus ha ucciso 120 milioni di americani, cioè un terzo della popolazione.
Quella che era una scelta obbligata a causa del Covid, insomma, sarebbe ora diventata una vera e propria strategia elettorale. D’altronde il partito dell’Asinello è ben consapevole che per Biden sarebbe un rischio enorme mettere a confronto due convention tradizionali, perché Trump potrebbe facilmente replicare il successo del 2016 contro Hillary Clinton. Ma cosa portano i due candidati alle kermesse di agosto? Trump la galoppata economica, fermata solo dall’emergenza, il fatto di essere il primo presidente a non aver aperto nuove guerre (e di averne chiuse un paio), e di aver dialogato con i «cattivi», a partire dal leader nordcoreano Kim Jong-un. Ma anche di aver posto il problema della Cina e di aver dato una sferzata all’Ue. Uno dei cavalli di battaglia del 2016, la stretta sull’immigrazione, è rimasto centrale, tanto quanto la crociata per proteggere i monumenti.
Biden, invece, punta sui grandi temi liberal e progressisti come il multilateralismo e i diritti razziali, su cui fa leva in particolare grazie alle proteste del movimento Black Lives Matter. Alle convention, tuttavia, manca circa un mese, e quattro ne mancano alle elezioni del 3 novembre: per gli osservatori, potrebbe ancora succedere di tutto. Secondo Dan Eberhart, donatore repubblicano e ceo di una società energetica, «Trump è chiaramente focalizzato sul solidificare la sua base rinunciando al tentativo di fare progressi al centro». «Sta restringendo il suo voto per entusiasmare la base, ma quasi certamente quella non è abbastanza grande da portarlo alla vittoria», spiega invece l’ex consigliere di Obama David Axelrod. E poi c’è l’incognita Kanye West: il rapper ha annunciato a sorpresa che si candiderà lui stesso alla Casa Bianca. C’è chi reputa la mossa un assist per aiutare l’amico Trump. West, infatti, potrebbe sottrarre i voti degli afroamericani a Biden, ora più che ami fondamentali.
Da qui a novembre i repubblicani sono ottimisti sul fatto che il presidente travolgerà lo sfidante nei tre dibattiti, il primo dei quali è previsto per il 29 settembre. La sua campagna, anzi, riterrebbe necessari altri confronti in tv per colmare il divario, e per questo hanno chiesto almeno un quarto incontro da tenere a inizio settembre. Anche perché tanti americani potrebbero votare per posta, e quindi molto prima del 3 novembre (proprio il voto per corrispondenza, peraltro, è stato definito dallo stesso tycoon il rischio maggiore per la sua rielezione anche a causa di potenziali brogli). Un anatema per la compagine dell’Asinello, consapevole che se Trump sul ring dei dibattiti dà il meglio di sè, Biden rischierebbe di uscirne con un ko.