Viaggio negli Stati del Midwest, tra gli elettori e dentro le ragioni che possono fare la differenza per una rielezione di Donald Trump.
Nell’America rurale dalle strade color giallo, i banner elettorali di Donald Trump e Mike Pence, davanti alle casette a schiera, superano quelli di Joe Biden e Kamala Harris. Guidando tra i vicoli immersi nella natura della Pennsylvania, tra le cittadine a due ore di macchina da Philadelphia, si incontra un cartello a sostegno dei Dem ogni cinque a supporto del ticket repubblicano.
Sono gli americani silenziosi, lontani dalle coste e dalle grandi città che stanno al centro del dibattito sui grandi media. E il prossimo 3 novembre potrebbero risultare decisivi negli Stati del Midwest che nel 2016 consegnarono la vittoria a Donald Trump. Dalla Pennsylvania certo, dove il presidente vinse di poco più di 44.000 voti contro Hillary Clinton. All’Ohio, storico ago della bilancia delle elezioni americane. Due realtà legate dalla statale 80 e nel cuore della Rust Belt – la «cintura di ruggine» che ha fatto la fortuna degli Stati Uniti con acciaierie e grandi insediamenti industriali oggi in gran parte dismessi – dove molti elettori bocciarono i Dem dopo una vita, sentitisi abbandonati dai loro rappresentanti dopo la crisi del 2008.
«Senza Ohio non vinci le elezioni, giusto? Ecco, quest’anno aggiungiamoci la Pennsylvania» racconta a Panorama John Kameen, chairman per la rielezione di Trump nella piccola Susquehanna County, dove si trova Forest City. Per lui, il presidente stavolta prenderà più voti. «Ci è entrato nel cuore, ha fatto i tagli alla burocrazia e nominato i giudici che aveva promesso» dice dalla sede del The Forest City News, piccolo settimanale locale di cui è stato editore. «Quest’anno lo sceglieremo di nuovo».
Kameen è un repubblicano storico. Si rifiuta di mettere la mascherina. Conserva nel suo studio tutti i badge con i quali ha avuto accesso ai comizi di Trump prima che la pandemia stravolgesse la campagna elettorale e «l’economia che grazie a lui volava». E ogni volta che si riferisce al termine «politica» lo fa in modo dispregiativo. «Trump non è un politicante standard e ha la possibilità di continuare a cambiare la direzione di questo Paese come avrebbero dovuto fare i suoi predecessori per preservare il “sogno americano”» dice, una carta geografica della Pennsylvania con una grande T evidenziata nel mezzo. «Vede queste contee che seguono la forma della T? La lettera non sta per Trump» aggiunge scherzando. «Sono quelle che dobbiamo vincere in modo schiacciante per portare a casa lo Stato».
L’ultimo repubblicano a vincere qui fu George Bush padre, nel 1988. Ora, invece, con i suoi 20 delegati è l’ago della bilancia. E il segreto sembra stare tutto in quella grande T. Se nelle contee lontane dai poli urbani di Philadelphia e Pittsburgh Trump si impone con circa il 70 per cento dei consensi, come ha fatto quattro anni fa, potrebbe strappare lo Stato. Nel 2008 e nel 2012, in Susquehanna County, John McCain e Mitt Romney raccolsero rispettivamente il 55,13% e il 59,85%. Nel 2016, Donald Trump il 68,34%. I primi due persero contro Barack Obama. Il terzo portò a casa le elezioni.
Il presidente, ora, si affaccia alle elezioni travolto dalla bufera. Da un lato il recente scoop del New York Times, che ha in mano le sue dichiarazioni dei redditi dal 1997 al 2017. Documenti dai quali è già emerso come Trump abbia pagato appena 1.500 dollari in tasse negli anni 2016 e 2017 e nessuna in dieci degli ultimi 15 anni. Dall’altro, invece, la gestione della pandemia che ha provocato più di 210.000 morti in otto mesi ed è stata criticata anche da quotidiani di area conservatrice come il Wall Street Journal.
Ma la base trumpiana del Midwest non sembra essere influenzata. Ed è pronta a supportarlo nonostante tutto, impaurita dall’ala socialista del Partito democratico, che potrebbe spostare il baricentro di un’amministrazione Biden troppo a sinistra. «Obama ci aveva detto che andare sotto il 3% di disoccupazione dopo la crisi del 2008 sarebbe stato impossibile, Trump lo ha reso tale prima della pandemia» ragiona con Panorama Tom Hach, direttore esecutivo del movimento Free Ohio, il cui obiettivo è «liberare lo Stato dall’imposizione delle mascherine e dalla restrizione dei nostri diritti con la scusa del coronavirus».
Lo dice da un caffè di Mentor, a nord di Cleveland, sede del primo dibattito tra Trump e Biden. Un dibattito che ha mostrato una perfetta fotografia del Paese: in stato confusionario, disfunzionale, riscopertosi incapace di ascoltarsi da posizioni diverse. Una confusione che ha fatto da padrona nello scontro tra il presidente e l’ex vice, con il primo ad attaccare e interrompere a ogni momento, il secondo a difendersi in modo tendenzialmente debole e l’anchorman di Fox News, Chris Wallace, incapace a tenere in mano le redini del dibattito.
Tra Mentor, dove Hach vive, e Forest City in Pennsylvania, dove Kameen lavora, ci sono quasi 500 chilometri di «statale 80», che taglia la Rust Belt passando tra distretti industriali dismessi e poi riconvertiti, immense aree rurali, laghetti e piccoli fiumi. I loro ragionamenti, però, risuonano all’unisono senza doversi ascoltare. «L’unico modo per evitare che il Paese perda i propri valori, che sono basati sulla libertà, il capitalismo e la ricerca della felicità è sperare in altri quattro anni di Trump» dice Hach, trumpiano di ferro, antiaborto, a favore delle armi e contro il Welfare state.
Soprattutto, contro le derive che definisce «comuniste e marxiste» del movimento Black Lives Matter, che anima le strade e le piazze d’America da ormai quattro mesi. Da ex militare che ha servito in Iraq, Hach non si è sentito nemmeno toccato dallo scoop di The Atlantic, confermato anche dall’emittente conservatrice Fox News, secondo cui Trump avrebbe definito «perdenti» i soldati che hanno perso la vita in battaglia. «Sono tutte fake news dei media mainstream» taglia corto Hach, secondo cui Trump in Ohio è destinato a vincere di nuovo: «Credo di almeno sette punti».
I sondaggi, al momento, dicono però l’esatto opposto. Il presidente è indietro, ancor di più rispetto al 2016, seppur in leggera risalita a fine settembre. Secondo l’istituto di sondaggi Real clear politics è in svantaggio di quasi sette punti in Wisconsin, di circa cinque in Pennsylvania e Michigan e di tre in Ohio, Stati che vinse quattro anni fa. A riconoscere le difficoltà della sua campagna martoriata dalla pandemia e non solo, pare essere proprio Trump, che nelle ultime settimane è andato all’offensiva più del solito. Lamentando brogli nel voto per posta. Rinnegando di concedere la vittoria a Joe Biden in modo pacifico, dovesse essere sconfitto. Chiedendo test anti-doping al candidato Dem, reo secondo Trump di essere «stordito» e «malato».
«Per me sbaglia a fare così, si attira più nemici, ma continuerò a sostenerlo come quattro anni fa» dice l’infermiera Gale Nunces. La sua prozia, anche lei infermiera, morì di influenza spagnola nel 1918. Cento anni dopo, è lei a lottare contro il coronavirus. A Scranton, Pennsylvania, dove vive, era una delle 400 supporter di Trump che hanno atteso l’arrivo di Joe Biden alla Pnc Field, per la Cnn Town Hall del 18 settembre, in un lungo sit-in di protesta. Una delle poche a portare la mascherina. Tra le tante a cantare le canzoni di Bruce Springsteen in mezzo ai minivan colorati dalle bandiere «Keep America Great», il mantra del presidente.
«Bisogna scegliere tra uno dei due nel nostro sistema, no? Non mi piace sempre ciò che dice, sulla pandemia ha fatto errori, ma non ho dubbi tra chi protegge i valori di libertà e chi invece darebbe il Paese in mano alla sinistra» spiega. Partecipare a un evento come quello alle porte della Pnc Field significa far parte di un’iniziativa a metà tra sagra di paese e vecchia festa di partito, con cibo gratis, famiglie che si incontrano e anziane signore che bevono vino da bicchieri di plastica. Sono la base del Midwest di Trump, lontana dagli estremismi del suprematismo bianco, che pure ci sono, e anche dalle teorie complottiste di QAnon, che certo non mancano. «Non m’importa chi ci sia dalla parte opposta, io voto lui» chiarisce Nunces. «Con lui l’economia volava, tornerà presto a volare di nuovo».