Nel 2018 era stato deliberato un taglio alle «pensioni d’oro» dei parlamentari che avrebbe consentito un risparmio di circa 300 milioni di euro. E invece… Una pioggia di ricorsi, eccezioni per chi si dichiara indigente e altro, potrebbero far tornare definitivamente tante buone intenzioni al punto di partenza.
Abbiamo scherzato. È stato un bluff. I tanto agognati vitalizi non sono mai scomparsi. Sebbene tutti i politici, da destra a sinistra, nel corso degli anni abbiano parlato del loro impegno per tagliare forse quello che agli occhi dei cittadini è il più grande scandalo della «casta», alla fine anche quando si è riusciti davvero a limare questo «benefit», nulla è cambiato. Per capire di cosa stiamo parlando bisogna fare un passo indietro. Ricordate la famosa delibera Fico (dal nome del pentastellato Roberto, presidente della Camera nella precedente legislatura)? Parliamo proprio di quell’atto che, adottato prima a Montecitorio e poi al Senato, venne approvato per tagliare le pensioni d’oro agli ex onorevoli. Era il luglio 2018. In quel modo, assicurava la presidenza della Camera, si sarebbero garantiti risparmi per 40 milioni di euro annui, cui sarebbero stati aggiunti un’altra ventina a Palazzo Madama. Mica spiccioli, insomma. Se consideriamo i cinque anni di una singola legislatura parliamo di un risparmio per le casse dello Stato che si aggira intorno ai 300 milioni di euro.
Nessuno, però, aveva considerato la carica degli ex: tutti coloro che avevano nel tempo accumulato il diritto a vedersi ricaricare il conto in banca di migliaia e migliaia di euro ogni mese per il semplice fatto di essere transitati, anche per pochi anni, per gli insigni scranni, hanno ben pensato di presentare ricorso. A cominciare dall’Associazione degli ex parlamentari (presidente è Antonio Falomi, per 12 anni senatore con il Partito democratico della sinistra e per due deputato con Rifondazione comunista) che, a buona ragione e in punta di diritto, ha premuto sul fatto che non si può toccare un beneficio acquisito com’è quello appunto dei vitalizi. Sembrava, a parere di alcuni quantomeno, un ragionamento che non sarebbe stato in piedi. E invece alla fine i ricorsi – che a loro volta hanno avuto un percorso piuttosto lungo e tortuoso – stanno avendo la meglio. E, in parte, già l’hanno avuta. Al Senato, infatti, l’incubo dei tagli è già superato: la sforbiciata ai ricchi emolumenti è stata già depennata alla fine della scorsa legislatura, grazie al parere favorevole prima della Commissione contenziosa e poi del Consiglio di garanzia (il primo e il secondo grado del Collegio di giustizia interno a Palazzo Madama).
E alla Camera? Tempo al tempo. La delibera originaria del 2018 è stata già ampiamente «ammorbidita» dopo che una sentenza del collegio di giustizia di primo grado interno a Montecitorio ha imposto la rivalutazione degli assegni – con una limitazione dei tagli – nel caso in cui gli ex inquilini di Palazzo fossero riusciti a dimostrare di essere in una situazione di indigenza o comunque malconci. Risultato? Un esercito di poveri o poverissimi ha innescato una «onorevole questua» (si fa per dire), tanto che alla fine le richieste accolte sarebbero state non poche. Con il risultato che i risparmi previsti di 40 milioni si sono ridotti a circa 23. Un taglio al taglio, in altre parole. Il punto, però, è che ora anche a Montecitorio le cose potrebbero definitivamente tornare al punto di partenza con l’annullamento in toto della delibera Fico. Già nei prossimi giorni, superate le elezioni europee, potrebbe tornare a riunirsi il collegio di giustizia interno alla Camera che deve pronunciarsi definitivamente sulla rivalutazione di vitalizi e, complice la sentenza già emessa da Palazzo Madama, è molto probabile che anche per quanto riguarda l’altro ramo del Parlamento le pensioni d’oro siano ripristinate nella loro versione originale. Leggasi: intoccabili.
Ma cosa vuol dire in soldoni, tutto questo? Che tutti gli ex, anche ovviamente chi non ha fatto ricorso, tornerà suo malgrado ai fasti originari. Facciamo qualche esempio per più chiarezza. Dai tabulati ufficiali, consultati da Panorama, scopriamo che per esempio l’ex dem Nicola Latorre incasserebbe 6.217 euro mensili rispetto ai quattromila e rotti frutto della «potatura» avvenuta con la delibera Fico. Alessandra Mussolini potrebbe tornare ai suoi 9.014 euro. Meglio ancora andrebbe a Francesco Rutelli (9.512). Interessante anche la situazione di Carlo Vizzini, storico esponente dei Socialisti, senatore in due legislature e deputato in cinque: dai 7.900 euro post-taglio tornerà a prendere, secondo i tabulati, 10.631 euro lordi. Balzo in avanti, tra i tantissimi, anche per Goffredo Bettini, punta di diamante del Pd laziale, il cui vitalizio era «sceso» a 3.694 euro lordi mensili e che ora potrebbe risalire fino ai precedenti 6.590 euro.
Sicuramente il ripristino del vitalizio potrebbe non dispiacere alle tasche dell’ex senatrice e ministro col governo Berlusconi, Adriana Poli Bortone, che fino a poco tempo fa percepiva, grazie al taglio ai vitalizi, 7.688 euro lordi al mese. Ebbene: se dovesse tornare in vigore il vecchio sistema, riprenderà 9.885 euro. Duemila euro in più che non sono mai disprezzabili. A festeggiare, e alla grande, sarà anche Giorgio Postal che, addirittura, è andato incontro a un taglio di circa quattromila euro: l’ex senatore della fu Democrazia cristiana e più volte sottosegretario, passerebbe infatti dagli attuali 5.211 euro mensili lordi ai «vecchi» 9.636 euro. Quasi il doppio. E ci sono casi in cui si andrebbe anche oltre. Come con Salvatore Crocetta, dei Comunisti italiani, che dovrebbe tornare a percepire 6.590 euro rispetto ai 2.890 euro rimodulati dal provvedimento anti-vitalizi. Ma c’è un’ultima chicca: in attesa di capire cosa potrebbe accadere al Collegio d’appello della Camera, a non preoccuparsi è una piccola schiera di ex onorevoli per cui le delibere, vista soprattutto la mole di contributi versati e di legislature accumulate, non hanno avuto effetti. È il caso, tra gli altri, dell’ex senatore ed ex ministro della Giustizia, Roberto Castelli: il suo vitalizio di 9.512 euro lordi mensili – al di là di delibere, ricorsi, pronunce e sentenze – è intonso. Esattamente come quello di Franco Bassanini, il quale addirittura arriva a 10.631 euro. Stessa identica cifra per Francesco Colucci, Nicola Mancino, Giuseppe Pisanu, Clemente Mastella, tra gli altri. Non subiranno decurtazioni neppure Anna Finocchiaro (10.009 euro), Lamberto Dini (6.590 euro) e Marcello Pera (6.963). È proprio il caso di dirlo: lunga vita al vitalizio.