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Regno Unito: Keir Starmer, il grande traditore

Regno Unito: Keir Starmer, il grande traditore

Eletto pochi mesi fa come «salvatore della Patria», il premier inglese ha deluso le grandi aspettative che alimentava ed è precipitato nel gradimento dei cittadini. D’altronde, nessuna promessa è stata mantenuta.

Un Paese con servizi pubblici sempre più in affanno, con un tasso d’immigrazione mai così alto e l’economia a crescita zero, in cui la gente si scopre ogni giorno più povera e scontenta. Chissà quante volte in questi sei mesi, il Premier britannico laburista, prima di addormentarsi nella sua nuova casa al numero 10 di Downing Street si è chiesto chi gliel’aveva fatto fare, di abbandonare il suo comodo scranno all’opposizione in Parlamento.

L’opinione pubblica, disgustata dalle malefatte degli ultimi anni a guida conservatrice, nel luglio 2024 l’aveva salutato come un salvatore della Patria, ma di quella adorazione piena di speranza oggi non rimane che il ricordo e mister Starmer si ritrova tutti contro, essendo riuscito a inimicarsi in pochi mesi proprio le categorie che aveva promesso di difendere a partire dai pensionati, passando per i lavoratori fino alle donne.

A dirlo sono i sondaggi del dicembre scorso sull’operato dell’esecutivo. Ipsos e YouGov rivelano una disapprovazione verso la politica governativa salita al 61 per cento e quello di More in Common Uk calcola che se le elezioni dovessero tenersi oggi, il Labour si vedrebbe riprendere dall’opposizione conservatrice quel muro rosso del Nord del Paese che con tanta fatica era riuscito a riconquistarsi. Ministri dell’importanza della vicepremier Angela Reyners e del ministro agli Interni Yvette Cooper perderebbero persino il seggio in Parlamento.

È indubbio che i dati si lascino interpretare, ma il malcontento in Gran Bretagna è palpabile e non si può sempre dare la colpa a quel buco di 22 miliardi di sterline lasciato dai Conservatori, di cui nessuno sapeva. La gente si sente delusa e tradita, a partire dai pensionati, i primi a percepire sulla propria pelle il brivido, letterale e non, della stagione, visto che la primissima azione del governo è stata tagliare il bonus riscaldamento per migliaia di ultra sessantenni che in questo momento devono decidere tra riscaldare casa o mettere la cena in tavola. Sul banco degli accusati quella manovra finanziaria da 40 miliardi che porta il nome del primo Cancelliere dello Scacchiere donna, Rachel Reeves, e rischia di impoverire ancora una volta la classe media e colpire i giovani, anche se con politiche economiche trasversali, non subito riconoscibili. Si prenda l’aumento della National Insurance, i contributi a carico dei datori di lavoro, che da aprile passeranno dal 13,8 al 15 per cento.

«In un momento di particolare incertezza e instabilità economica come questo» ha dichiarato in un intervento il governatore della Bank of England Andrew Bailey «non si sa quale peso potranno avere, insieme all’aumento del salario minimo stabilito dalla compagine di Starmer, sulle decisioni delle piccole e medie imprese a proposito di investimenti e assunzioni» e di fatto sono centinaia le aziende che hanno già ridotto il personale o minacciano di chiudere i battenti perché non più in grado di far quadrare i conti. Non andrà meglio neanche ai lavoratori che, se da una parte avranno magari qualche soldo in più in busta paga, dall’altra lo vedranno uscire, dato che, sempre da aprile, la soglia di esenzione dal pagamento della tassa sul reddito scenderà dalle attuali 9.100 alle cinquemila sterline annue.

Scontenti anche gli agricoltori, che ora si vedono costretti a pagare le tasse di successione da cui erano esentati. Il 16 novembre scorso sono arrivati in migliaia, da tutto il Paese, per protestare di fronte a Westminster contro una mossa che ritengono profondamente ingiusta. E anche se quelli riversatisi in piazza come un fiume in piena, si presentavano vestiti come dei Lord su macchine e trattori da multimiliardari – a partire dall’ex star televisiva Jeremy Clarkson che ha perorato la loro causa – il danno inferto al governo da un simile movimento è stato pesante.Per non parlare della pessima figura fatta con tutte le donne «Waspi», quelle cioè che hanno lottato dal 2015 per vedersi riconosciuta una compensazione sul pagamento delle pensioni. Il Labour ha sempre appoggiato la loro campagna, ma adesso che si tratterebbe di sborsare almeno tre miliardi e mezzo di sterline, l’esecutivo ha già annunciato che non tirerà fuori un pence dalle finanze statali già ridotte all’osso. Comprensibile, ma non una buona pubblicità.

«Un certo malcontento nell’opinione pubblica e un livello di fiducia oscillante sono piuttosto comuni» dice a Panorama Karl Pike, esperto di politiche e relazioni internazionali all’Università Queen Mary di Londra, «soprattutto se leggiamo questa situazione in un contesto internazionale come quello attuale, estremamente incerto sotto tutti i punti di vista. Il problema principale che hanno avuto i laburisti fin dall’inizio è stata la promessa di non alzare le tasse principali per non essere attaccati dai Conservatori su questo punto. Sapevano che la politica fiscale del governo conservatore che li aveva preceduti era pura fantasia, quindi dovevano immaginare le grosse difficoltà a cui sarebbero andati incontro e che avrebbero dovuto trovare i soldi attraverso altre vie. In futuro molto dipenderà anche da quello che accadrà nel mondo. E a loro occorrerà una buona dose di fortuna per riportare il Paese nella giusta direzione». Nel frattempo però la gente sente che nessuna promessa è stata mantenuta… «Il problema è che tutti i partiti politici dovrebbero avere il coraggio di essere più onesti con la gente» conclude Pike «e dire “guardate, in questo momento, dobbiamo aumentare le tasse, punto”. Ma nessuno, proprio nessuno vuol fare questo discorso. E sono pochi gli elettori disposti ad ascoltarlo».

Chissà se le cose cambierebbero se sul piano delle riforme il governo si rivelasse più agile. Tutti quegli importanti impegni, per ora, giacciono immobili in Parlamento, bloccati dalle varie lobby. Da quella che prevede l’abolizione dell’articolo sul diritto di sfratto dei proprietari senza giusta causa a quella sulla salute mentale, mentre la prossima approvazione della legge sulla morte assistita (avversata dallo stesso ministro alla Sanità Wes Streeting) rischia di far sprofondare ancora di più la situazione del servizio sanitario già al collasso.

Altro punto politico dolente è la costruzione di un milione e mezzo di abitazioni di edilizia popolare, ventilate dallo stesso Starmer: i progetti presentati sono già stati bollati come «dickensiani» perché consentirebbero di edificare dappertutto e in qualsiasi modo, anche convertendo interi blocchi di uffici situati in zone industriali senza chiedere il consenso delle autorità locali. Pratica esistente sotto i Conservatori che il Labour aveva promesso di azzerare, ma non l’ha fatto. Inoltre, vista la cronica carenza di manovalanza a basso costo nell’edilizia, causata dalla Brexit, tutti si chiedono chi realizzerà praticamente queste famigerate abitazioni. Non certo gli immigrati illegali che continuano a violare i confini nazionali senza che l’esecutivo abbia la più pallida idea di come gestirli o bloccarli e sui quali i partiti dell’opposizione contano per riguadagnare terreno.

A partire da Reform Uk, fondato da Nigel Farage ed entrato in Parlamento con appena cinque seggi, ma che il giorno di Santo Stefano ha festeggiato i 140 mila iscritti, diecimila in più di quelli ottenuti dal partito conservatore di Kemi Badenoch nel giorno della sua elezione. Che per tutta risposta ha accusato Farage di mentire, innescando una lite mediatica che prosegue tutt’ora.

La verità è che in questo momento a Reform Uk non servirebbe neppure tanto l’ipotetico sostegno finanziario fatto balenare dal multimiliariadario Elon Musk per aumentare i propri consensi. Nelle sue file stanno passando laburisti delusi dall’immobilismo governativo rispetto al problema migratorio, così come Conservatori troppo agguerriti per apprezzare l’approccio della nuova leader, impegnata a far autocritica e tenere unito un partito alla deriva. Più che quest’ultima, è Farage che Starmer dovrà temere in futuro. E in un’Europa sempre più a destra – con cui vuole riaprire il dialogo, ma non i confini – dovrà remare controcorrente, con il rischio di affondare, sempre troppo vicino.

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