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Sanità alla calabrese

Sanità alla calabrese

La farsa dei commissari rimossi è l’ultimo capitolo di un dramma fatto di sprechi, malagestione, infiltrazioni criminali. Mentre il Covid aggrava la situazione ecco da dove nasce il disastro dell’assistenza nella regione.


La Calabria assomiglia pericolosamente a Kabul. Non c’è la guerra, ma le amministrazioni regionale e nazionale hanno distrutto, negli anni, questa terra come i talebani hanno fatto con l’Afghanistan. Ospedali al collasso, personale sanitario allo stremo, cittadini infuriati e abbandonati a se stessi nella lotta contro il coronavirus.

Per vari giorni a Cosenza, come in un conflitto, pattuglie di soldati hanno allestito tende per dare forma al primo grande ospedale da campo dell’era Covid. È una guerra che la sanità calabrese non riesce a vincere e, mentre combatte ad armi spuntate, perde pezzi. Non si contano più i commissari silurati nel giro di giorni o poche ore: Saverio Cotticelli, Giuseppe Zuccatelli, Eugenio Gaudio, Narciso Mostarda.

Dopo tre settimane di stallo, il 27 novembre è stato nominato il prefetto Guido Longo. Intanto Gino Strada e la sua Emergency sono in regione «per occuparsi degli ospedali da campo e dei Covid hotel». Si vedrà cosa può fare qui l’uomo che proprio a Kabul ha aperto un centro di soccorso.

Così, mentre gli ospedali maggiori – a Reggio Calabria, Catanzaro, Cosenza e Corigliano Rossano – sono ingolfati dai ricoveri della pandemia, esistono strutture inaugurate ma mai entrate in funzione che proprio ora potrebbero assistere i malati. Dietro questa crisi, una pioggia di denaro, finanziamenti messi nero su bianco con atti pubblici. E poi stop. Tutto finito nel dimenticatoio.

Il paradosso alla calabrese è agghiacciante stavolta: sono stati comprati macchinari ancora avvolti nel cellophane, ormai annerito dalla polvere. Con una popolazione di un milione e 900.000 abitanti per cui la spesa sanitaria ammonta a 3,5 miliardi, ogni anno circa 70.000 calabresi sono costretti a uscire dalla regione per curarsi o anche per eseguire esami diagnostici di routine.

Basta partire dalla provincia di Cosenza per seguire le tappe principali di questa via crucis degli sperperi. Ecco allora il caso emblematico dell’ospedale di Castrovillari, dove quattro sale operatorie (cardiochirurgia, ortopedia e due di chirurgia), costate 4.778.400 euro e inaugurate più volte, non sono mai entrate in funzione. I lavori iniziano nel 2008 – quando governatore della Regione è Agazio Loiero (all’epoca in quota Margherita, oggi nel centrosinistra senza collocazione politica precisa). Nel 2012 vengono inaugurate in pompa magna con tanto di passerella di politici e taglio del nastro. Ma nessuno ha potuto mai usarle perché, nel 2018 – incredibile ma vero – il collaudatore ha certificato che non erano state verificate e autorizzate.

Uno scandalo segnalato anche alla Corte dei conti. Del caso si è più volte occupato il consigliere regionale Carlo Guccione (Pd): «L’intero appalto non è stato gestito secondo i canoni e la normativa vigente in tema di appalti pubblici… Uno spreco che fino a oggi è costato ai cittadini circa cinque milioni di euro». E ancora, in piena emergenza sanitaria, non possono entrare in funzione perché mancano il gruppo elettrogeno e i gas medicali. Nessun commissario, però, se ne era mai accorto. Forse.

Se ci si sposta, poi, sulla costa tirrenica cosentina, si trova un altro monumento allo spreco. A Scalea un edificio enorme, costruito tra fine anni Settanta e inizi anni Ottanta, è conosciuto da tutti come «l’ospedale fantasma». Costato, all’epoca, una ventina di miliardi di lire, non è mai entrato in funzione. Oggi viene utilizzato soltanto un piano della struttura: ospita la sede del Poliambulatorio con importanti servizi, tra i quali la neuropsichiatria infantile, la riabilitazione adulti, i servizi vaccinazioni, igiene e prevenzione, il Centro malattie mentali (Csm), la farmacia territoriale, servizio del 118. Dovrebbe svolgere attività «h24». Purtroppo non è così.

In piena emergenza Covid, questa sede è stata anche individuata come Unità speciale di continuità assistenziale (Usca): ovvero garantire l’assistenza a pazienti Covid che non necessitano del ricovero in ospedale. Ovviamente, l’Usca per ora non è partita. Nell’edificio, negli anni scorsi, era stata realizzata una piscina per la riabilitazione degli adulti e dei bambini con disturbi motori e cognitivi. Questo servizio ha svolto un ruolo fondamentale per tutta l’area del Tirreno cosentino e non solo, fino a quando per carenza di personale è stato interrotto. Ora la piscina è vuota, compromessa dalla ruggine, gli attrezzi per la riabilitazione sono abbandonati. La mancata manutenzione e un sistema antincendio ormai inadeguato condannano all’inutilità questa struttura. I tre piani attualmente chiusi potrebbero essere ristrutturati e accogliere i malati oncologici, obbligati invece ai soliti viaggi della speranza.

Il buco nero della sanità calabrese risulta ancora più drammatico, soprattutto quando si ascolta il ministro della Salute, Roberto Speranza, ripetere: «In questi anni si sono accumulati in Calabria risorse incredibili, oltre 700 milioni di euro non spesi, e, con questo decreto legge, creiamo le condizioni per poterli spendere nel modo più veloce possibile». Il riferimento è a una nuova legge che prevederebbe più risorse e più poteri alla struttura commissariale. Intanto, mentre i commissari si susseguono, il degrado avanza: a Cosenza, l’Asp continua a pagare «affitti passivi» (quelli degli immobili usati come uffici) per oltre due milioni di euro all’anno.

A Catanzaro sono stati bruciati 99 milioni di euro per un complesso ospedaliero mai iniziato. Ci si è fermati ai progetti. Stessa storia a Vibo Valentia, dove sono andati in fumo 43 milioni di euro. Nel Reggino, nonostante siano stati erogati 66 milioni di euro, i lavori per costruire un nuovo ospedale nella Piana di Gioia Tauro non sono mai partiti. Si tratta di progetti del 2007. Mentre l’ospedale di Gerace, costruito oltre 30 anni fa e mai entrato in funzione, è distrutto e in abbandono.

Tirando le somme, fino a oggi sono arrivati circa 196 milioni di euro dallo Stato e 90 dalla Regione, ma nessuno di questi ospedali esiste se non sulla carta. C’è di più. Negli ultimi anni, in Calabria, sono stati chiusi o depotenziati svariati ospedali. Come quello di Oppido Mamertina, in provincia di Reggio, che negli anni Ottanta era diventato famoso, anche al di fuori della Calabria, grazie a strumentazioni all’avanguardia nel reparto di medicina nucleare e a un centro tumori di eccellenza. Adesso è una struttura sanitaria di lunga degenza che ospita una ventina di anziani.

Diversi scossoni ha subìto, negli anni, l’ormai ex ospedale di Chiaravalle Centrale, nel Catanzarese: dalla chiusura alla riconversione in Casa della salute. I reparti furono smantellati ma quella trasformazione non è mai stata realizzata fino in fondo. Anzi, lo scorso maggio l’iter di riconversione è inciampato nel decreto Calabria che ha bloccato il bando. In alcuni casi storture e fallimenti sono stati causati dalla cattiva gestione della cosa pubblica. Ma la Calabria di recente può anche annoverare due Aziende sanitarie provinciali commissariate per infiltrazioni della ‘ndrangheta: l’11 marzo del 2019 quella di Reggio, sei mesi dopo quella di Catanzaro.

Nei giorni scorsi è stata la volta del presidente del Consiglio regionale Mimmo Tallini di Forza Italia, finito ai domiciliari per concorso esterno in associazione mafiosa e voto di scambio in un’inchiesta che porta alla luce l’interesse dei clan nel business dei farmaci. Non stupisce che un sistema sanitario con tante falle sia capitolato di fronte al Covid. E, come a Kabul, si affidi agli ospedali da campo per rianimarsi.

Eppure Sandra Savaglio, astrofisica di fama internazionale e oggi assessore regionale all’Istruzione, Università, Ricerca scientifica e Innovazione, è convinta che la débâcle amministrativa possa diventare opportunità di rinascita: «La presidente Jole Santelli aveva preso a cuore la questione della sanità calabrese e ci aveva già messo mano. Abbiamo bisogno di un commissario che sia un marziano, senza scheletri nell’armadio e che non scenda a compromessi con nessuno. Solo così possiamo pensare di salvarci».

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