La ricerca su gravi malattie come tumori e degenerazioni del cervello ha una frontiera d’avanguardia, fuori dall’atmosfera terrestre. E in prima linea ci sono anche i ricercatori italiani. Protagonisti in un settore destinato a ricevere fortissimi investimenti.
Potrebbe arrivare dallo spazio il prossimo farmaco per curare gravi malattie. Le provette del futuro, con i relativi brevetti, saranno collaudate comunemente all’interno di asettici laboratori orbitanti con vista sulle stelle. E potrebbero rivelarsi determinanti per sconfiggere non solo patologie rare e oggi incurabili, ma anche quelle più diffuse e invalidanti come retinopatia, diabete e distrofia muscolare. Ancora non sono in commercio prodotti terapeutici realizzati fuori dall’atmosfera, tuttavia quel giorno si sta avvicinando a grande velocità. Il cosmo è destinato così a diventare il più grande motore di innovazione e il più potente catalizzatore di investimenti dei decenni a venire, anche in campo medico e farmacologico. Secondo il rapporto Space Economy: Lift-off into the final frontier, il settore spaziale ha registrato nel 2021 un fatturato di 370 miliardi di dollari (+6 per cento rispetto al 2020) e sarà il comparto trainante dell’economia mondiale nei prossimi dieci anni, con un volume d’affari di mille miliardi di dollari entro il 2040. «Gli esperimenti in orbita hanno mostrato agli scienziati i tanti vantaggi della cristallizzazione di preziosi farmaci a base di proteine in condizioni di microgravità: dagli anticorpi monoclonali a nuove terapie con cellule staminali, dalla microbiologia allo sviluppo di modelli accelerati contro l’invecchiamento e le malattie di sistemi vitali del corpo come l’osteoporosi» spiega Carlo Di Leo, ingegnere e autore di numerosi saggi sulle conquiste umane nello spazio.
Uno studio pubblicato nel 2022 da ricercatori della Butler University di Indianapolis ha scoperto che il 90 per cento dei vari tipi di cristalli prodotti nello spazio hanno una o più proprietà potenziate, allettanti per i produttori di farmaci. «La cristallizzazione è un processo che permette di isolare le proteine che si vogliono analizzare e consente di ricavarne la struttura tridimensionale, velocizzando la fase di ricerca che porta al farmaco» dice Pietro Faccioli, docente di Fisica all’Università Bicocca di Milano. «La microgravità ha proprietà molto promettenti per lo sviluppo di una “space economy” farmacologica e c’è grande interesse sia di scienziati sia di investitori in queste opportunità d’avanguardia. Bisogna però capire come sfruttarle». Il ricercatore è impegnato direttamente nella medicina spaziale come coordinatore del progetto ZePrion, partito il 2 agosto 2023 con la missione robotica di rifornimento NG-19, dalla base di Wallops Island in Virginia (Usa), destinazione la Stazione spaziale internazionale (Iss). «L’esperimento fatto in orbita ha scoperto una molecola in grado di bloccare la proteina prionica, coinvolta in malattie neurodegenerative attualmente incurabili come il morbo di Creutzfeldt-Jakob».
A circa 500 chilometri dalla superficie terrestre, grazie a una collaborazione tra vari istituti italiani di ricerca, per un mese è stato testato un innovativo protocollo scientifico. «Nella cellula questa molecola funziona, ma per ottenere un farmaco occorrerà ancora tempo» non si sbilancia Faccioli. «Si tratta di costruire al di fuori dell’atmosfera una tecnologia che non esiste ancora sulla Terra. Abbiamo eseguito il test pilota ZePrion1, che ha dato risultati assai interessanti, quindi stiamo programmando la “fase 2”, in cui crediamo di arrivare al passo avanti decisivo». Dalla tecnologia Ppi-Fit impiegata nella ricerca è nata la start-up Sibylla Biotech, a cui hanno collaborato l’Istituto nazionale di fisica nucleare, la Fondazione Telethon, le università di Trento e di Perugia. Nel 2021 Nature ha inserito questa impresa tra le otto più promettenti al mondo e, finora, ha raccolto finanziamenti di venture capital per 24 milioni e mezzo di dollari. La commissione dello Spin-off Prize 2021 ha inoltre riconosciuto «lo straordinario impatto che la start-up potrebbe avere nella scoperta di farmaci per malattie oggi senza cura».
«C’è una letteratura secondo cui i cristalli di proteine si sviluppano meglio nello spazio che sulla Terra e quindi possono portare a strutture sia di interesse medico sia biotecnologico» conferma Pietro Roversi, ricercatore dell’Istituto di Biologia e Biotecnologia agraria del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ibba). Nel suo laboratorio sta analizzando i due campioni della proteina del prione, quello prodotto in orbita e uno identico realizzato in modo tradizionale, con la tecnica della criomioscopia elettronica. Spiega così la sostanza dell’esperimento: «ZePrion nasce dall’idea di “intrappolare” una proteina tossica con una molecola – chiamata “ligando” – in modo da indurre la cellula a eliminarla. Tale molecola potrà così diventare un farmaco contro una condizione patologica causata da quella proteina. Se è utilizzata in cellule del cancro, sarà un antitumorale; se è una proteina di prione, diventerà una potenziale terapia nelle malattie neurodegenerative e così via. La microgravità è sfruttata proprio per ottenere tale struttura». Se dal microscopio elettronico del biologo arriveranno gli esiti auspicati, questa scoperta tecnologica potrebbe essere applicabile a tutte le aree terapeutiche e candidarsi alla produzione di medicinali «blockbuster», di largo utilizzo, in particolare contro malattie che colpiscono le funzioni cerebrali e quelle oncologiche.
L’interesse per la realizzazione di molecole nello spazio è recente. Ma è molto cresciuto da quando Merck & Co. ha dimostrato, in uno studio del 2019, che potrebbe utilizzare la microgravità per ideare una formulazione migliorata del proprio antitumorale Keytruda, anticorpo monoclonale con un fatturato di oltre 20 miliardi di dollari all’anno. La produzione di farmaci in orbita potrebbe portare a versioni potenziate anche di quelli esistenti. Numerose le aziende investono nella ricerca spaziale: la startup LambdaVision Inc. sta sviluppando la prima retina artificiale al mondo a base di proteine per pazienti affetti da retinite pigmentosa, una causa genetica di cecità. Negli otto esperimenti inviati finora alla Stazione spaziale internazionale, la qualità della produzione è stata notevolmente migliorata. «Al di fuori dell’atmosfera si ottengono strati uniformi di proteine con meno materiale sprecato» ha dichiarato Nicole Wagner, amministratore delegato di LambdaVision nel 2023 «L’obiettivo è una produzione ottenuta nello spazio che verrebbe utilizzata qui sulla Terra». Un altro esperimento della Eli Lilly sulla stazione orbitale ha esaminato la crescita cristallina di farmaci commercializzati e sperimentali per il diabete, il dolore e le malattie cardiovascolari.
«Per ogni dollaro investito nello spazio, sulla Terra ne ritornano dai tre ai cinque grazie ai cosiddetti spin-off» conclude Di Leo. Nel suo libro Ritorno alla Luna (IBN) elenca le più importanti invenzioni messe a punto in missioni extraterrestri: «Senza i viaggi dello Sputnik, le missioni Apollo, gli Shuttle, lo Skylab, non disporremmo di celle solari, né di microchip e software per analisi strutturali. Non avremmo il joystick, progettato dalla Nasa per guidare il Lunar rover e oggi impiegato nelle attrezzature per i disabili, o le protesi artificiali, legate allo sviluppo della robotica spaziale. Mentre il termometro auricolare a raggi infrarossi per misurare la febbre fu ideato per monitorare la nascita delle stelle». Anche iconiche calzature sono state messe a punto nelle esplorazioni extraterrestri: «I doposci MoonBoot e le sneaker Nike Air non esisterebbero se, nel 1969, Neil Armstrong non avesse fatto sulla superficie lunare quel celebre “piccolo passo per l’uomo, ma un passo da gigante per tutta l’umanità”».