Una nuova era di grande freddo investirebbe l’Emisfero nord nel caso la Corrente del Golfo «rallentasse», a causa della desalinizzazione degli oceani. Vi sono segnali discordanti sul fenomeno che renderebbe rigidissime le temperature, dalla Florida alla Scozia. Ma una forte riduzione delle emissioni aiuterebbe a evitarlo.
New York sotto una spessa coltre di neve. Stalattiti di ghiaccio che scendono dalla torcia della Statua della Libertà. Ovunque freddo, desolazione, silenzio. È la scena apocalittica con cui, nel 2004, il film di Roland Emmerich The Day After Tomorrow – L’alba del giorno dopo incollava gli spettatori alle poltrone paventando una nuova glaciazione come conseguenza del riscaldamento globale. In base alla trama, l’acqua dolce proveniente dai ghiacci polari in scioglimento aveva influenzato l’intensità delle correnti oceaniche, rallentando il trasporto di acque più calde verso nord e generando temperature polari ovunque, dalla Florida alla Scozia. Una prospettiva che capovolge l’attuale previsione di un pianeta sempre più bollente, quindi, ma è pur sempre una conseguenza dei cambiamenti climatici in corso; e che, secondo uno studio degli scienziati dell’Università di Utrecht, potrebbe non essere così lontano da una futura realtà. Secondo l’autore principale dell’analisi, il climatologo e oceanografo Rene van Westen, se non abbassiamo la temperatura del globo entro il 2025 rischiamo che l’Europa, in primis, entri in una fase di congelamento profondo entro 100 anni. Il motivo? La Corrente del Golfo che porta l’acqua calda dai Tropici all’emisfero settentrionale contribuendo al sistema di circolazione oceanica detto Amoc (Atlantic meridional overturning circulation), è rallentata dalla valanga di acqua dolce proveniente dallo scioglimento dei ghiacciai artici. Le temperature dell’Europa potrebbero così abbassarsi di tre gradi a decennio, mentre nell’emisfero meridionale il calore sarebbe ancora più intenso. Tempeste di ghiaccio al nord, collasso degli ecosistemi delle acque profonde, sconvolgimento della foresta pluviale amazzonica. Una catasfrofe climatica.
Ma è reale l’ipotesi di vedere il Big Ben londinese trasformato in un ghiacciolo, con la superficie coltivabile del Regno Unito ridotta dal 32 per cento al 7 per cento? Dobbiamo prepararci davvero al peggio o questa minacciata glaciazione ha più «fascino letale» che basi scientifiche? «In realtà è già successo nella storia del pianeta» risponde Francesca Sangiorgi, professore associato dell’Università di Utrecht, dipartimento di Scienze della Terra, e studiosa del clima del passato. «L’ultima volta circa 10-11 mila anni fa, che per i geologi, che computano il tempo in modo diverso, non è un tempo lungo. Allora accadde che a causa del riscaldamento globale e dello scioglimento dei ghiacciai la Corrente del Golfo del Messico arrivò a portare calore molto più a sud del “normale”. Gran parte di Stati Uniti ed Europa del Nord entrarono in un periodo freddissimo. Per chi studia queste materie non è un fenomeno imprevisto».
L’imprevisto, oggi, è che tutto sta accadendo più velocemente che in passato, tanto da cogliere impreparati gli stessi scienziati. «Prima una cosa del genere succedeva nell’ordine di migliaia di anni, ora invece potrebbe realizzarsi in cento anni. Vi immaginate cosa accadrebbe se tra 100 anni avessimo il Nord America e Nord Europa ghiacciati? Ciò presupporrebbe una totale “ristrutturazione” della società, a differenza di 10 mila anni fa quando, dopo il medesimo fenomeno, non c’era certamente una realtà sociale da riorganizzarere». Non si possono fare previsioni esatte su quando tutto questo avverrà realmente perché è basato su modelli matematici in cui si può forzare la quantità di acqua dolce che si riversa nel mare. I dati raccolti, e anche l’innalzamento dei livelli del mare, rivelano comunque che la Corrente del Golfo ha già rallentato. Dovremo affrancarci progressivamente dai combustibili fossili, peccato che l’economia internazionale vada in un’altra direzione. Paesi come Cina e India, tra i più grandi produttori di CO2, non collaborano. «Hanno politiche inaccessibili, usano anche accuse come “voi occidentali avete avuto tutto il tempo per svilupparvi come avete voluto, ora tocca a noi”. L’America e l’Europa dovrebbero fare qualcosa in più per convincerli».
Una parte della comunità però considera il fenomeno «Collasso della corrente del Golfo» meno allarmante, perlomeno per quanto concerne le tempistiche. «A mio giudizio sono grandi le incertezze nel prevedere se e quando potrebbe verificarsi un improvviso indebolimento dell’Amoc» afferma Dorotea Iovino, oceanografa del Centro Euro-Mediterraneo sui cambiamenti climatici ed esperta di circolazione oceanica e ghiaccio marino. «Vale anche la pena ricordare che le misurazioni dirette e continue dell’Amoc sono disponibili solo dall’aprile 2004; finora hanno mostrato pochi trend o cambiamenti, senza prove che stia collassando o rallentando». Su una cosa tutti concordano: è importante continuare a monitorare la variabilità della Corrente del Golfo. Senza scenari apocalittici. Almeno per ora. «In caso di crisi completa dell’Amoc» precisa Iovino «l’impatto sarebbe profondo sul clima globale, modificando la distribuzione di calore e precipitazioni. Ci sarebbe un forte raffreddamento delle temperature superficiali, un innalzamento del livello dell’Atlantico e venti più forti in tutto l’emisfero settentrionale. Le principali zone piovose si sposterebbero, portando a piogge molto minori su Europa, Nord America, Nord Africa e Asia, e ancora di più su Amazzonia, Australia e Africa meridionale. Il ghiaccio marino si estenderebbe dall’Artico nell’Atlantico settentrionale subpolare, e il ghiaccio marino antartico risalirebbe verso nord».
Un bollettino ben poco rassicurante, anche se lontano secoli. E, solo in parte, per responsabilità dell’uomo. «La frenata della Corrente del Golfo può effettivamente essere causata anche dall’instabilità climatica naturale. Non c’è consenso su entità, periodicità e meccanismi della variabilità dell’Amoc. Le osservazioni dirette disponibili dal 2004 mostrano che attraversa fluttuazioni in uno stato più forte o più debole. La Corrente subtropicale ha rallentato dal 2004 al 2012, ma da allora diventa gradualmente più forte, senza alcuna prova, ancora, che stia crollando. Dobbiamo comunque fare ogni sforzo possibile per convincere tutti i Paesi del globo a procedere nel decarbonizzare l’economia e fermare le emissioni nette di gas serra al più presto».