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Malattie del sangue: si può operare il Dna per guarire

Malattie del sangue: si può operare il Dna per guarire

La Casgevy è una terapia sperimentale che elimina specifiche sequenze genetiche e promette di dare risposte a due gravi malattie del sangue, di cui soffrono centinaia di migliaia di italiani: l’anemia falciforme e la beta-talassemia.


C’è finalmente una svolta nella cura di due gravi malattie come la beta-talassemia e l’anemia falciforme. L’agenzia di regolamentazione medica inglese Mhra (Medicines and healthcare products regulatory agency) ha approvato una terapia risultata molto promettente nelle sperimentazioni cliniche. Si chiama Casgevy e si basa su una tecnica che da anni fa molto parlare di sé, il sistema Crispr/Cas9: una sorta di «forbice» molecolare in grado di sezionare sequenze del Dna e sostituirle con altre in maniera da correggere mutazioni genetiche causa di malattie. La notizia riguarda tutti i malati di beta-talassemia, perlopiù diffusi nelle aree mediterranee (talassemia viene dalle parole greche antiche «thalassa», mare, e «aima», sangue), come Sardegna, Sicilia, Puglia e Lazio. Soltanto nelle prime due regioni si contano 700 mila portatori sani su 7 milioni di abitanti, mentre in Italia i malati sono circa 10 mila. A questi si aggiungono i circa 4 mila pazienti di anemia falciforme (6,5 milioni nel mondo), malattia particolarmente presente in Africa sub-sahariana, India e Medio Oriente. E ora in aumento in Europa a causa delle recenti migrazioni.

Con la terapia Casgevy, sviluppata dalla compagnia biotecnologica americana Vertex Pharmaceuticals e dalla svizzera Crispr Therapeutics, i medici hanno trattato 71 pazienti: tra questi 28 su 29 affetti da anemia falciforme erano liberi da crisi vaso occlusive, mentre 39 su 42 con beta-talassemia dipendevano dalle trasfusioni. «Non si può negare che Casgevy sia una terapia rivoluzionaria» afferma Giuseppe Sconocchia, dirigente di ricerca dell’Istituto di farmacologia traslazionale del Cnr e professore a contratto delle malattie del sangue dell’Unicamillus. «Questo perché si fonda su un meccanismo esistente in natura, usato dai batteri per difendersi dall’introduzione di materiale genetico estraneo nel loro Dna, tra cui quello virale: i frammenti del Dna estraneo vengono riconosciuti grazie a una sequenza di Rna, la proteina Cas9 viene attivata e il frammento genetico tagliato. E quella stessa sequenza di Rna diventa una sorta di memoria per i successivi attacchi. Questo stesso sistema si prestava benissimo a essere applicato alla beta-talassemia e all’anemia falciforme».

Infatti, la beta-talassemia coinvolge mutazioni o aberrazioni nelle regioni che codificano per la beta-globina, e l’anemia falciforme è causata da una mutazione puntiforme del gene che peoduce la catena beta dell’emoglobina. «Casgevy fa incastrare un frammento di Rna con la parte di Dna da rimuovere e poi effettua il “taglio” usando la proteina Cas9» precisa Sconocchia. Nel caso concreto, queste operazioni vengono effettuate sulle cellule staminali del midollo osseo che producono il sangue (le staminali ematopoietiche). «Al momento, la terapia è stata approvata nel solo Regno Unito ma è possibile che l’Ema, l’agenzia europea, stia già prendendo valutando una successiva approvazione» continua Sconocchia. «Da chiarire c’è, innanzi tutto, la riproducibilità dei risultati e poi l’eventuale tossicità. Per essere idonei a Casgevy, occorre avere più di 12 anni e, nell’anemia falciforme, soffrire di crisi ricorrenti di occlusione dei vasi sanguigni che ostacolano il passaggio del sangue; nel caso della beta-talassemia, bisogna essere dipendenti dalla trasfusione».

Possiamo immaginare che le fasi saranno le seguenti: «Il paziente viene prima trattato con fattori di crescita che attivano le cellule staminali ematopoietiche dal midollo osseo nel sangue periferico. Successivamente, queste sono isolate e trattate in laboratorio dove viene applicata la terapia Casgevy. Poniamo il caso che il malato sia affetto da beta-talassemia. Una volta raggiunta la parte di Dna bersaglio, tramite una guida di Rna, l’enzima Cas9 prende di mira un gene specifico che blocca la produzione di un’emoglobina fetale o HBF, ossia quella sana. Quest’azione sblocca e incrementa la produzione di HBF a scapito dell’emoglobina dell’adulto, HBA, che contiene la catena beta malata. La HBF va così a compensare il difetto di produzione e funzione. Le cellule trattate da Casgevy vengono reinfuse nel circolo sanguigno del paziente ma solo dopo un altro trattamento con farmaci che preparano il midollo osseo a ricevere le cellule modificate» conclude Sconocchia. Negli esperimenti, si sono registrati effetti collaterali come nausea e febbre ma nessun altro sintomo grave. Anche se dopo un anno i pazienti trattati stavano bene, sono necessarie altre conferme sulla sicurezza. In particolare, bisogna chiarire se Casgevy può produrre modifiche genetiche non volute in altre parti del genoma, con conseguenze sconosciute.

E poi c’è il costo: 2 milioni di dollari a paziente. Sebbene in linea con il prezzo di altre terapie geniche, appare al momento troppo alto per sperare che tutti i malati possano beneficiarne. Secondo quanto scrive Nature, il governo inglese si sta preparando a dare il via libera al rimborso per i malati più bisognosi. Con il tempo, quando altre compagnie biotech si uniranno alle attuali, il prezzo potrebbe scendere. Sarà il momento in cui questo tipo di terapia potrà essere affiancata o forse sostituita al trapianto osseo da donatore di cellule staminali emopoietiche per guarire dall’anemia falciforme e dalla beta- talassemia nelle sue forme più gravi.

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