Una delle più devastanti malattie che colpiscono gli agrumi è ormai alle porte dell’Europa. È causata da un batterio del genere Candidatus Liberibacter, identificato per la prima volta in Cina nei primi anni del XX secolo e presente nelle Americhe già da inizio 2000. La malattia che questo batterio provoca è conosciuta come «Greening», nome che deriva dal suo sintomo più caratteristico: limoni, arance, mandarini, pompelmi e lime rimangono verdi e non maturano correttamente a causa dell’interruzione del trasporto dei nutrienti.
A diffonderlo sono gli insetti vettori Diaphorina citri (psillide asiatico degli agrumi) e Trioza erytreae (psillide africano degli agrumi), che con l’apparato boccale raggiungono i tessuti sotto la corteccia della pianta e si nutrono della linfa. Se l’albero è già infetto, il batterio entra nel suo organismo, colonizza il tratto digestivo e le ghiandole salivari e si moltiplica all’interno del corpo dell’insetto. Quando lo psillide va a nutrirsi su un albero sano, il batterio passa nella linfa della pianta, dove inizia a diffondersi generando una nuova infezione. La malattia, che si riconosce dalla crescita stentata, dall’ingiallimento delle foglie, dai frutti piccoli e dal declino progressivo dell’albero, viene spesso descritta come la «nuova Xylella» per le numerose caratteristiche in comune con questo altro flagello delle piante. Infatti, entrambi i batteri sono trasmessi da insetti vettori difficili da controllare, colpiscono il complesso dei tessuti adibiti al trasporto dei nutrienti e non rispondono a nessuna cura conosciuta.
Francesco Di Serio, direttore dell’Ipsp-Cnr (Istituto di Protezione sostenibile delle piante del Cnr), chiarisce un punto importante: «Affinché la malattia si diffonda nel continente europeo occorrono due elementi: ci vuole il batterio ma anche il suo insetto vettore. Mentre il batterio che causa il Greening degli agrumi non è arrivato in Europa, la Trioza erytreae è presente in Spagna e Portogallo (oltre che nell’isola di Madeira e nell’arcipelago delle Canarie) e Diaphorina citri è stata rinvenuta in Israele e Cipro. Nel caso in cui questi insetti dovessero diffondersi ancor più nel nostro continente, e dovesse anche arrivare il batterio, i problemi sarebbero molto gravi. «Va fatto notare che la specie che potrebbe più facilmente adattarsi alle alte temperature estive del Sud Italia in cui l’agrumicoltura è molto diffusa, è la Diaphorina citri» precisa Di Serio.
Insomma, in un futuro non troppo remoto rischiamo una realtà assai amara. «La possibilità che questa malattia sbarchi in Europa, con una compresenza di Diaphorina citri e del batterio Candidatus Liberibacter, non è da escludersi e ciò significherebbe il collasso del settore». Come è già avvenuto in Florida, la cui resa degli agrumeti è oggi solo un quinto di quella che era nel 1998, poco prima che il Greening facesse la sua apparizione. «La malattia potrebbe diffondersi da noi attraverso l’arrivo di una pianta infetta» ipotizza Di Serio, «sebbene la legislazione europea sia ferrea riguardo questo genere di importazioni da altri Paesi, un individuo incauto potrebbe trasportare o acquistare su internet una pianta infetta o infestata da vettori infetti senza saperlo, riuscendo a sfuggire ai controlli, e provocare l’inizio dell’epidemia».
Secondo la Commissione europea, l’Italia e la Spagna sono i maggiori produttori continentali di agrumi con una superficie coltivata di circa 350 mila ettari ciascuno. Circa due terzi della nostra produzione è in Sicilia, dove 50 mila ettari sono coltivati esclusivamente ad alberi di arancio, in calo l’anno scorso soprattutto a causa della siccità. Per il 2026 si prevede un aumento del 20 per cento a livello nazionale, ma sempre al di sotto della media. Poi chissà, dipende anche da quanto saremo bravi a contrastare l’arrivo del Greening.
Dovessimo fallire, non essendoci cure efficaci per questa malattia, avremmo a disposizione solo strategie di gestione per ridurne l’impatto. La diffusione del batterio in altri Paesi viene contrastata tramite il controllo dei psillidi vettori attraverso trattamenti chimici e controllo biologico con l’uso di piccole vespe parassite del genere Tamarixia. Già nei primi anni Sessanta sia la specie Tamarixia radiata insieme a un’altra vespa, la Diaphorencyrtus aligarhensis, altro parassita di Diaphorina citri, sono state introdotte con successo sull’isola tropicale di La Réunion, nell’Oceano Indiano, riducendo marcatamente l’impatto della malattia. È inoltre fondamentale l’eliminazione degli alberi infetti da cui i vettori possono acquisire e diffondere il batterio. In Florida sono anche allo studio trattamenti antibiotici e terapie con batteriofagi che rallentano la malattia.
Ma la vera e unica speranza è che la ricerca sia più veloce della diffusione, così da riuscire a selezionare, nel tempo che ci rimane, varietà di agrumi resistenti.