La morte di papa Francesco (1936-2025), avvenuta ieri, comporta l’inizio del periodo denominato Sede vacante, che segna non soltanto la cessazione della funzione del Sommo Pontefice, ma anche l’avvio di una fase giuridicamente definita e regolamentata in modo minuzioso dalla legislazione canonica vigente, in particolare dalla Costituzione apostolica Universi Dominici Gregis promulgata da san Giovanni Paolo II il 22 febbraio 1996, nonché da successive modifiche introdotte da Benedetto XVI e da Francesco. Il diritto canonico, all’art. 332 §2 del Codice del 1983, stabilisce che l’ufficio del Romano Pontefice si perde per rinuncia liberamente fatta e debitamente manifestata o per morte. Nel momento del decesso, il Collegio dei cardinali assume una funzione di particolare rilievo, pur privo del potere di esercitare alcuna giurisdizione che sia propria del romano Pontefice, in virtù del principio che nessun potere pontificio è delegabile sed vacante Sede apostolica.
La Sede apostolica, infatti, non si trasmette automaticamente a nessuno e rimane vacante fino alla legittima elezione del successore. Durante la vacanza della Sede, il governo ordinario della Chiesa universale è sospeso, salvo per quanto concerne gli affari ordinari e di stretta necessità, che sono affidati al Collegio dei cardinali, riunito in Congregazioni generali. È principio consolidato, risalente alla tradizione canonica e recepito dalla normativa vigente, che nulla si possa innovare durante la vacatio sedis («sede vacante nihil innovetur»), a tutela dell’integrità e della stabilità dell’ufficio petrino. Il cardinale Camerlengo (Kevin Joseph Farrell), figura centrale in questa fase, ha la responsabilità della verifica della morte del Pontefice secondo un protocollo formale e provvede a porre i sigilli agli appartamenti papali, alla gestione della Curia in affari correnti e alla preparazione del conclave. La normativa prevede che, entro un tempo non inferiore a 15 e non superiore a 20 giorni dalla morte del Pontefice, i cardinali elettori si riuniscano in conclave per procedere all’elezione del successore.
Va precisato che, in base al numero 36 della Universi Dominici Gregis, i cardinali deposti canonicamente o che hanno rinunciato, con il consenso del Romano Pontefice, alla dignità cardinalizia non hanno diritto di voto nel conclave. Il termine è stabilito per consentire l’arrivo a Roma di tutti i cardinali elettori aventi diritto, ovvero coloro che non abbiano compiuto l’ottantesimo anno d’età il giorno prima dell’inizio della vacanza della Sede apostolica, come stabilito dall’art. 33 della Universi Dominici Gregis. Il conclave, celebrato nella Cappella Sistina, è retto da norme precise che tutelano il segreto e l’isolamento degli elettori e prevede un sistema elettorale che richiede una maggioranza qualificata dei due terzi dei presenti per la validità dell’elezione. Durante questo periodo, ogni atto di governo della Chiesa universale che ecceda l’ordinaria amministrazione è sospeso. Gli atti del Romano Pontefice, in quanto personali e legati alla sua funzione di capo visibile della Chiesa, non proseguono in virtù di un automatismo, bensì cessano integralmente, salvo le disposizioni di natura permanente già promulgate. È esclusa ogni forma di «potestas vicaria» nel periodo della Sede vacante, a conferma dell’unicità e non delegabilità del «munus petrinum». L’elezione del nuovo Pontefice conclude la vacanza e inaugura una nuova fase, segnando la restaurazione della pienezza della potestà nella persona del successore di Pietro. L’accettazione dell’elezione da parte del nuovo eletto, ove canonicamente valida, determina l’assunzione immediata della suprema autorità nella Chiesa.