E, dunque, l’Inter ha sbancato Monaco di Baviera giocando all’italiana, difesa e contropiede? O la partita dei ragazzi di Simone Inzaghi è stata una delle massime espressioni del calcio, tutt’altro che difensivo, che il tecnico ha fatto interiorizzare ai suoi in tre anni e mezzo di lavoro? Dibattito da bar sport e non solo, acceso dall’analisi di un grande vecchio della panchina come Arrigo Sacchi che sulla Gazzetta dello Sport ha definito l’impresa nerazzurra in casa del Bayern Monaco (1-2 e verdetto rimandato al ritorno di San Siro) come “strameritata”, ma con qualche appunto.
Perché descriverla, come fatto in seguito, “ottenuta con impegno, con sofferenza, con una strenua difesa e con micidiali contropiede” significa sminuirla con un’accezione negativa. Insomma, la vittoria dell’Inter sarebbe stata il frutto del solito italian job, pullman davanti alla porta, un po’ di fortuna nel non incassare e grande furbizia e prontezza nell’approfittare dei pochi errori altrui. Manca la parola “catenaccio”, ma quasi ci siamo.
E’ stato davvero così? Detto che il calcio di Simone Inzaghi ha molti più estimatori all’estero che in Italia, tra i commentatori e analisti sportivi, e che l’approccio di Sacchi è tradizionalmente molto rigido per chi non ripercorre il credo attraverso il quale forgiato il primo grande Milan dell’era Berlusconi, nel caso della sfida dell’Allianz Arena la risposta è no. L’Inter non ha giocato difesa e contropiede e non ha giocato nemmeno all’italiana, qualunque sia il senso che si voglia dare a questa affermazione. Ha semplicemente praticato il suo gioco adattandolo a un avversario fortissimo, che lottava davanti al pubblico di casa e che per alcuni tratti della partita si è trovato nella condizione di dover recuperare uno svantaggio.
A dirlo sono i numeri che accompagnano la lettura statistica del match. Ad esempio, è vero che il possesso palla finale ha visto prevalere i bavaresi (55% contro 45%), ma prima dell’intervallo è stata l’Inter a tenere il pallone più dell’avversario (53%). Nella ripresa si è dovuta abbassare per adattarsi all’aggressività tedesca (37% nerazzurro), ma in ogni fase della partita la manovra ha perso la sua caratteristica base di lavoro in uscita dalla fase difensiva.
C’è stato qualche pallone perso in più nei minuti che hanno portato all’assedio e al pareggio di Muller, però nel complesso le statistiche indicano che è stato il Bayern Monaco più dell’Inter a cercare transizioni lunghe (56-33 di cui 31-12 nel secondo tempo) mentre Sommer e compagni si sono affidati costantemente al fraseggio ragionato (381 volte su 414 complessive).
Non a caso le due reti di Lautaro Martinez e Frattesi tutto sono state tranne che contropiede: due azioni nate dal portiere, sviluppate in meno di dieci tocchi, sincronizzando il movimento dell’esterno (Carlos Augusto) e di chi in mezzo ha creato lo spazio per ottenere una superiorità numerica (Thuram nella prima occasione e Lautaro Martinez nella seconda). Attenzione: in entrambe le segnature, nel momento in cui il gioco è stato verticalizzato verso l’out di sinistra c’erano centrocampisti e difensori proiettati in attacco più delle due punte. Dove sarebbe la speculazione?
Non è un caso che il conto finale dei tentativi verso la porta avversaria veda il Bayern Monaco in netto vantaggio (20) ma l’Inter comunque molto presente (10). E che quel numero – dieci – corrisponda alla media di tutte le squadre fin qui nella Champions League di questa stagione e a poco meno della media di Inzaghi nelle prime 11 giocate (12,64). E anche il Bayern Monaco ha fatto semplicemente il… Bayern Monaco: 20 contro una media di 20,38. La squadra di Kompany gioca così sempre, non ha trovato un avversario che si è chiuso più di altri.
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