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Perché Antonio Conte sta rompendo con il Napoli

Perché Antonio Conte sta rompendo con il Napoli

Il tecnico è legato da un contratto fino al 2027 con i partenopei, ma il malumore per le scelte della società ormai è evidente. E può portare solo a una conclusione…

Lo scudetto non è mai stato ipotesi così concreta per il Napoli come in questo mese di aprile, a pari punti con l’Inter e con un calendario in discesa che autorizza sogni proibiti. Eppure, Napoli sta vivendo con ansia un momento storico e il paradosso è che la tensione non viene da fuori, ma è prodotta internamente da chi sta costruendo giorno dopo giorno il sogno del quarto tricolore della storia partenopea. La caduta dell’Inter a Bologna e il conseguente aggancio in vetta alla classifica, accaduti la domenica di Pasqua, ha messo il silenziatore solo per un po’ al rumore di fondo che accompagna la volata scudetto del Napoli.

Antonio Conte ha gettato le carte sul tavolo nel week end pasquale e lo ha fatto con un’irruenza e determinazione tale da non poter pensare che si sia trattato solo dello sfogo di un uomo sotto pressione. In sostanza, il tecnico leccese ha squadernato pubblicamente tutti i motivi del suo malcontento confermando le voci che da settimane lo volevano indeciso sul suo futuro sotto il Vesuvio. Va o resta? Non ci sono certezze, se non quella che il contratto che lo lega ad Aurelio De Laurentiis con scadenza 30 giugno 2027 vale il giusto, cioè poco o nulla come tradizione di un manager che ha già fatto saltare il banco in altri passaggi chiave della sua carriera.

I passaggi chiave delle conferenze stampa pre e post Monza.

 “A inizio anno ho detto molte cose, alcune posso confermarle e altre no. Non rinnego niente, ma mi sono reso conto di alcune dinamiche, come il discorso di Kvaratskhelia. Avevo detto che il Napoli non doveva essere un club di passaggio, ora non vorrei passare per bugiardo su cose disattese. In otto mesi qui ho capito che tante cose non si possono fare”.

Tradotto: la dimensione del Napoli non è quella di un grande club in cui alcune dinamiche possono essere controllate molto più che altrove. Un allenatore regna, ma non governa: nemmeno se arrivato con i pieni poteri derivati dal disastro ereditato dell’annata dopo lo scudetto. Al massimo dà indicazioni vincolanti con un peso che scende più si avvicina il raggiungimento dell’obiettivo minimo che era e rimane il ritorno in Champions League.

Siccome mi date responsabilità io non voglio deludere i tifosi. Non posso vivere di miracoli e non di programmazione. Ho stima e affetto per il presidente. Mi hanno chiesto una mano e gliela do una mano, ma il tifoso napoletano vuole vincere e ha questa ambizione. Se non vince diventa anche cattivo. Io devo calcolare tutto, non sono stupido.“.

Tradotto: so benissimo che il tifoso napoletano non la pensa come De Laurentiis e vuole vincere, il quarto posto non è sufficiente. Dunque, non mi presto a fare da garante per un progetto sportivo non condiviso con il rischio di passare per quello che alla fine lo scudetto non l’ha vinto anche per colpe sue. Che sia chiaro il motivo per cui sono stato chiamato a Napoli: rimuovere le macerie.

Mi metto grandi pressioni ma devo avere anche le giuste armi. Altrimenti è un gioco al massacro e non voglio essere massacrato. Ci siederemo col presidente per parlare e vediamo. Gli introiti della Champions League arriveranno, la cessione di Kvara ha aiutato. Ho restituito tutto con gli interessi, ora però parleremo con il presidente in maniera chiara“.

Tradotto: a De Laurentiis offro una exit strategy che eviti tensioni eccessive. Obiettivo raggiunto, o il presidente esce allo scoperto e prende impegni chiari con tecnico e piazza, ovvero investimenti corposi per la prossima stagione, oppure meglio salutarsi da vecchi amici con rispetto.

“Sono stato accolto, ho detto: ‘Non vi ho dato ancora niente e mi avete dato voi’, adesso penso che qualcosa ho restituito. Ora in maniera serena ci sarà da finire il campionato cercando di vincere questo campionato! Perché sarebbe qualcosa di straordinario, perché questi ragazzi se lo meritano. Si ammazzano e ci ammazziamo per il Napoli e vogliamo lottare fino alla fine per cercare di dare questa soddisfazione. Ci riusciremo, non ci riusciremo, non lo so, ma in maniera molto serena si deciderà cosa bisogna fare”.

Tradotto: ho saldato il mio debito con Napoli e il Napoli. A prescindere dalla conquista dello scudetto che è qualcosa in più e straordinario se dovesse arrivare, ma se non capitasse non deve essere vissuto come sconfitta. E siccome il debito è stato saldato non c’è alcun vincolo morale né con il presidente, né con la gente di Napoli.

Ha poi anche collegato lo stato dei campi del centro sportivo d’allenamento con gli infortuni muscolari dei giocatori, modo nemmeno troppo velato per segnalare le carenze di una società che è indietro rispetto alla concorrenza sul piano delle infrastrutture. Lo ha fatto proprio nelle ore in De Laurentiis ha garantito, esponendosi, che a breve partiranno i lavori per il progetto: non è difficile immaginare che il presidente non abbia gradito.

La conclusione è che il Napoli non si può permettere Antonio Conte. Aveva la forza di chiamarlo al suo capezzale per questa stagione, offrendogli tanto (e Conte manca di riconoscenza non dandone merito ad ADL), ma il tecnico sa che la prossima sarà una stagione tutta diversa: gli impegni doppi, che quest’anno lo hanno favorito per assenza, potranno essere affrontati solo se supportati da un club che raddoppi gli sforzi sul mercato e non solo. Pensa che Napoli non sia in grado di farlo e per questo ha programmato di arrivare alla resa dei conti.

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