La Coppa Italia delle provinciali piace solo nei salotti di dibattito, non a chi il calcio lo segue quotidianamente. La semifinale d’andata tra Empoli e Bologna, trionfo della provincia che si ribella allo strapotere delle big, è stato un flop in televisione: 2,178 milioni di telespettatori con il 10,8% di share su Canale 5. In chiaro. La seconda peggior performance degli ultimi quindici anni per una semifinale della seconda competizione del calcio italiano. Solo Udinese-Roma del 2010 (1,984 e il 15,18% di share) aveva fatto peggio.
Un dato che fa riflettere e che segnala la distanza tra la tesi secondo cui i format che proteggono le grandi squadre, limitando le potenzialità delle altre, allontanano il pubblico dal calcio. Un cavallo di battaglia di tanti nostalgici del passato, quello delle partite tutte in contemporanea alla radio, della Coppa Italia che iniziava con i gironi eliminatori ad agosto, del no alla pay tv e del rifiuto delle riforme che hanno via via aumentato la presenza della Champions League sino quasi a renderla un abbozzo di campionato europeo.
Bisognerebbe fare come una volta – dicono i critici – o come fanno in Inghilterra dove (per tradizione centenaria) mettono insieme dilettanti e professionisti e vince di chi arriva in fondo. Che poi in linea di massima sono sempre gli stessi, ma con il fascino di qualche trasferta su campetti improbabili in provincia. Tutto vero, se non fosse che ogni paese ha la sua cultura sportiva e la nostra è molto selettiva. Non esiste cartina tornasole più efficace dell’audience televisiva per misurarla.
Mediaset si è aggiudicata i diritti della Coppa Italia e della Supercoppa Italiana versando alla Lega Serie A 56 milioni di euro più 2 variabili a stagione fino al 2027, superando la concorrenza della Rai in un’asta che ha soddisfatto i club e che ha valorizzato gli ottimi dati del recente passato.
L’ascolto basso del match tra Empoli e Bologna non è un caso isolato. L’anno scorso, ad esempio, la doppia semifinale tra Fiorentina e Atalanta – senza nessuna delle piazze con maggiore appeal televisivo – ha fatto meglio di poco piazzandosi nella classifica dei flop al quarto (2,7 milioni all’andata) e decimo posto (3,9 al ritorno). Dall’altra parte del tabellone Juventus e Lazio, pur senza fare scintille, sono rimaste ben oltre la soglia dei 4 milioni e la finale Atalanta-Juventus, considerata negativa con i suoi 7,1 milioni di ascolto, ha attirato l’attenzione del 33% degli italiani collegati con la televisione in quella serata.
Lo stesso era accaduto per la meravigliosa favola dell’Alessandria nel 2016: semifinale contro il Milan con il 15% di share all’andata e 12% al ritorno. Serate straperse dal calcio, che pure dovrebbe essere per definizione il prodotto tv più amato dagli italiani dopo il festival di Sanremo. La morale, insomma, è che la Coppa Italia va bene così come è, sperando sempre che le big non cadano durante il percorso. Non perché lo ha scelto la Lega, ma per venire incontro ai gusti dei tifosi, che sono i clienti finali di tutto il prodotto.
Può sembrare cinico, ma è così. I numeri sono indiscutibili. Non è un caso che la prossima Supercoppa Italiana difficilmente si giocherà in Arabia Saudita, dove il contratto prevede che debba andare con la formula della Final Four anche due volte entro il 2029. Già l’edizione del gennaio 2024 con Inter, Napoli, Lazio e Fiorentina (senza Milan e Juventus) aveva fatto storcere il naso agli arabi che pagano 23 milioni all’anno per il disturbo. Pensare di mandare Empoli o Bologna, con Milan e Juventus in crisi e quasi certamente fuori (i rossoneri si qualificano solo se entrano in finale di Coppa Italia) è un’ipotesi di studio, non uno scenario reale.