La grande assenza è terminata. Zlatan Ibrahimovic è tornato a palesarsi a Milanello, con buona pace di chi per tre lunghe settimane ha preso nota quasi quotidianamente della sua assenza senza accontentarsi della versione (para)ufficiale distribuita dal club: una brutta influenza che ha messo ko lo svedese costringendolo a stare lontano da quello che restava della squadra, falcidiata dalle assenze per le nazionali. Una spiegazione che non ha accontentato quasi nessuno, perché tra il match con il Como – seconda vittoria di fila – e la trasferta a Napoli, ennesima ultima spiaggia nella rincorsa alla Champions League della prossima stagione.
Al Maradona Ibrahimovic sarà al suo posto. Tutto come se nel frattempo non fosse successo nulla, cosa che non corrisponde alla realtà considerato che in mezzo tra il Como e Napoli molta acqua è corsa sotto i ponti di Milanello. Soprattutto c’è stato il viaggio dell’ad Giorgio Furlani a New York per incontrare Gerry Cardinale e cominciare a pianificare la prossima estate che non sarà facile per un club che si è abituato dal 2018 a oggi a percorrere una traiettoria di crescita, sportiva ed economica, reinvestendo sul mercato i proventi dei risultati. Non potrà accadere a giugno e il Milan che nascerà nel prossimo progetto sportivo non potrà non tenerne conto.
Prima di arrivare a lì, però, è interessante registrare che il Milan che Ibrahimovic ritrova dopo la sua assenza dalla prima fila della scena è diverso da quello lasciato. A inizio marzo erano i giorni dei colloqui, mai smentiti ufficialmente, tenuti insieme a Cardinale a Londra con i candidati per un ruolo da direttore sportivo in rossonero: Tare, il preferito, Paratici e Berta. Una centralità da boss, per quanto Zlatan avesse già chiarito nel tempo il senso dell’etichetta auto appiccicatasi in autunno con una spericolata uscita pubblica, venuta meno col passare del tempo.
Il viaggio di Furlani a New York il 6 marzo, l’incontro con il patron di RedBird e il cambio comunicazione successivo hanno disegnato uno scenario diverso. Deve essere chiaro che l’amministratore delegato non è tornato dagli Stati Uniti con nessuna delega in più rispetto a quelle precedenti, garantite dal ruolo di responsabile ultimo dell’azienda Milan: sarebbe stato strano il contrario, semmai, avendo Furlani tutti i poteri di firma. L’idea, però, che il casting ripartisse a posizioni invertite (Paratici favorito su Tare) e senza particolare urgenza ha fatto comprendere che le cose sono cambiate.
Fino a che punto? Alcune voci dicono che Ibrahimovic, sul cui conto viene messo anche il difficile avvio del progetto Milan Futuro a rischio retrocessione tra i dilettanti, potrebbe non solo essere ridimensionato ma immaginare addirittura un passo indietro. Lui che del Milan non è dirigente o dipendente, essendo “senior advisor” della proprietà con licenza di “proxy” (parole di Cardinale) che ha causato più di un cortocircuito nella convivenza con lo stesso Furlani.
Più in generale, la stagione del Milan è stato un fallimento sportivo con ripercussioni sul conto economico. La quasi certa mancata qualificazione alla prossima Champions League, con relativi mancati introiti, peserà sulla programmazione e costringerà a inventarsi un mercato in equilibrio tra cessioni e investimenti. E’ un terreno ignoto per RedBird ed Elliott e anche per questo è diventata plastica la necessità di inserire nell’organigramma una figura come il ds assente dai tempi di Massara e Maldini. E’ il passo indietro più significativo, l’ammissione di aver commesso un errore nell’immaginare il Milan con la consapevolezza che nemmeno imbarcare Zlatan – uomo di calcio e leader carismatico – è bastato per invertire la tendenza.