Il dominio assoluto della monarchia Al Sa’ud, e in particolare quella del suo principe di riferimento Mohammad bin Salman, conta su una nuova strategia: l’organizzazione di grandi iniziative sportive, la proprietà di squadre di calcio all’estero, gli eventi con star globali. Perché un’immagine internazionale accettabile oggi conta quanto «l’oro nero».
Urla di gioia, braccia alzate in segno di vittoria e la coppa sollevata con orgoglio… I calciatori festanti alla «Saudi Super Cup 2021» disputata il 6 gennaio scorso a Riad, mentre sulle dune dell’Empty Quarter sfrecciavano le auto da rally dell’ex Parigi-Dakar, danno una plastica figura del nuovo corso dell’Arabia Saudita. Lo squadrone locale, Al Hilal, soprannominato Al-Zaim, «il leader», perché vincitore del maggior numerio di titoli nel regno, ha trionfato ai rigori con un 4-3.
Già, lo sport. E ovviamente, il petrolio. Sono gli elementi decisivi che hanno permesso al principe Mohammad bin Salman, ormai sintetizzato dall’acronimo Mbs, di superare una delle peggiori crisi diplomatiche con il suo storico alleato, gli Stati Uniti. Lo scandalo Jamal Khashoggi – con l’assassinio e lo smembramento del giornalista dissidente compiuto in Turchia da agenti dei servizi sauditi nel 2018 – sembrava aver messo un’ipoteca sui rapporti con Joe Biden, e invece, complice la guerra in Ucraina, la realpolitik ha avuto la meglio. Lo scorso 15 luglio il presidente americano, che aveva definito il regno un «paria» internazionale, è arrivato a Gedda. Simbolico il saluto a «pugnetto» con il principe, non proprio una stretta di mano, eppure significativo. E non era il primo atto compiuto in base alla mera valutazione degli interessi: già il 22 giugno Mbs aveva fatto la sua prima visita in Turchia dopo l’omicidio Khashoggi. In questi giorni poi, la scaletta del «risanamento» morale passa per l’Europa con la visita ufficiale del principe ereditario in Grecia e Francia per accordi bilaterali. Difesa ed economia, i principali temi.
Sul fronte interno, invece, prosegue la «liberalizzazione» nei costumi – ma non nelle libertà politiche – e la modernizzazione forzata. E gli eventi sportivi assumono un ruolo sempre più importante per occidentalizzare l’immagine della monarchia. «La teoria dei giochi», si può definire così la strategia del principe, intende facilitare il rientro nel salotto buono internazionale. Ma un altro modo per dirlo è «sportswashing»: investire nello sport per rendere più accettabile o, peggio, distogliere l’attenzione, dallo scarso rispetto dei diritti umani.
Mbs infatti continua a incarcerare attivisti in patria e bombardare il vicino Yemen, dove secondo le Nazioni Unite dal 2015 sono state uccise più di 150 mila persone, oltre a 227 mila vittime causate da una drammatica carestia e dalla mancanza di strutture sanitarie. «Ci si può aspettare che Bin Salman prosegua su questa strada di apertura» dice a Panorama Thomas W. Lippman, analista del Middle East Institute «e, parallelamente, che continui a reprimere qualsiasi dissenso. Per questo l’Arabia Saudita si può considerare la Cina del Medioriente».
L’azione di maquillage attraverso lo «sportswashing» in ogni caso non si ferma. L’Arabia Saudita ha speso almeno 1,5 miliardi di dollari in manifestazioni sportive internazionali con l’obiettivo di rafforzare la propria reputazione, secondo un report dell’organizzazione Grant Liberty. Il Liv Golf per esempio è un tour finanziato dal Pif, il fondo di investimento pubblico saudita da 620 miliardi di dollari, noto per la sua opacità. Ma è capitato che vi ha partecipato l’abbia pagata cara. È successo in giugno al torneo «arabo» Centurion Golf di Londra: i 17 giocatori scesi in campo sono stati immediatamente sospesi da qualsiasi torneo Pga Tour, il più importante circuito professionistico del golf negli Usa. «I giocatori che vengono pagati dai sauditi ricevono critiche. E l’Arabia non è mai stata troppo popolare tra gli americani o al Congresso. Però, alla fine, sono le relazioni tra i governi che contano» aggiunge Lippman.
Il regno poi ospita sempre più gare dei cosiddetti eSports, le competizioni di videogiochi a tema sport. Un po’ futuristico. Mbs, però, vuole tenere ben salda la posizione nei divertimenti più tradizionali. E la parte da leone la fa il calcio, disciplina monopolizzata finora dal Qatar che quest’anno ospiterà i Mondiali. I sauditi hanno acquisito il Newcastle United, una squadra britannica di medio livello, per 409 milioni di dollari. Con accorto «merchandising». Sono state messe in circolazione foto di tifosi che, prima della partita contro il Chelsea, mostravano maglie del team: sul retro campeggiava un ritratto di Mbs.
Ancora: nel 2018 la Supercoppa italiana si è svolta anche nello stadio Città dello Sport Re Abd Allah di Gedda. La partita clou è stata disputata tra Juventus e Milan. E ha fatto il giro del mondo il ritratto di Cristiano Ronaldo con la coppa in mano, per la vittoria della squadra bianconera. Cinque anni dopo, la Supercoppa 2023 si giocherà il 18 gennaio a Riad, con l’attesissimo derby Milan-Inter. Se si va un po’ più indietro, premonitore è lo scatto a Mosca il 14 giugno 2018 durante la Fifa World Cup Russia tra Mbs e Putin per la partita Russia contro Arabia Saudita… Tutte queste operazioni servono anche ad avvicinare i giovani, stanchi dei troppi arcaismi del regno.
Oltre al football la strategia prevede altri investimenti importanti. Dai campionati di scacchi, al tennis, alle corse dei cavalli. 60 milioni di dollari sono stati investiti nella Saudi Cup, l’evento di corse di cavalli più ricco del mondo (ha premi da 20 milioni di dollari: in Italia il premio più alto per il galoppo è di 640 mila euro). 500 milioni di dollari sono allocati alla World Wrestling Entertainment e, nel 2019, ben 100 milioni di dollari hanno galvanizzato l’incontro di boxe Clash on the Dunes tra il campione statunitense di origine messicane Andy Ruiz Jr. e il pugile britannico-nigeriano Anthony Joshua.
Infine l’automobilismo: con l’accordo decennale da 650 milioni di dollari per far correre la Formula 1 nel circuito di Gedda; con le competizioni dei bolidi elettrici della Formula E, già dal dicembre 2018; infine con il già citato rally «Dakar 2022», che sarà organizzato fino al 2025 nei vasti territori arabi (la prima gara si è disputata nel gennaio scorso). Gli eventi sportivi fanno da cassa di risonanza globale, ma Riad ha anche aperto le sue porte agli stranieri, rilasciando per la prima volta nel 2019 i visti turistici. È possibile ora visitare il sito archeologico di Al Ula con le sue splendide tombe nabatee o inoltrarsi senza problemi tra le vie del centro storico di Gedda. E nel dicembre scorso, un altro colpo da maestro: a Riad è stato organizzato un festival di musica, il Soundstorm, con dj-icona come David Guetta (che in Arabia imperversa) o Tiesto. Tra scenografie spettacolari e luci è stato uno show simile a quelli delle ribalte internazionali più popolari, come il Sonar di Barcellona o il Festival di Glastonbury.
La monarchia saudita, sempre con Mbs in testa, sei anni fa ha lanciato l’ambizioso programma Vision 2030, un piano per ridurre la dipendenza dell’economia dal petrolio. Peccato però che siano subito seguiti arresti di attiviste e religiosi… In quell’ambito, anche l’ex premier italiano Matteo Renzi è assurto all’onore delle cronache per consulenze, un colloquio retribuito con il principe e per le affermazioni entusiastiche nei confronti del Paese arabo, definito nientemeno che la culla di un «neo-rinascimento». Molti di questi progetti sono finanziati dal Pif, ma non tutto è oro ciò che luccica. «Il fondo è il veicolo preferito a cui il principe si rivolge per ogni decisione economica inclusa l’apertura di industrie militari», dice a Panorama Kristian Ulrichsen analista del think tank inglese Baker Institute. Che fa notare: «Il Pif non ha mai assunto una decisione contraria ai desideri di Bin Salman».
Yasir al-Rumayyan è l’alto funzionario che sovrintende a questa cassaforte finanziaria. Ne rappresenta il volto pubblico, ricco di ambiguità. Tante le sue apparizioni. Il 17 ottobre, si è seduto nel palco del proprietario dello stadio di calcio St. James’s Park a Newcastle, in Inghilterra, dove è stato acclamato dai fan. Indossava una sciarpa in bianco e nero con il logo del Newcastle United di cui è divenuto il nuovo presidente. Due giorni dopo, ha stretto la mano alla regina Elisabetta al Global Investment Summit al Castello di Windsor. E poi è volato a Washington dove ha ricevuto un premio per la leadership in un evento del 75° anniversario per il Middle East Institute.
Follow the money, si dice, «segui il denaro». In questo caso, meglio: «Segui l’oro nero». Si chiude il cerchio che abbiamo tracciato, attraverso le iniziative di sportswashing fino alle decisioni strategiche in campo energetico. La visita di Biden in Arabia Saudita è infatti l’ultimo tentativo di contrastare la strategia russa sul greggio, ma anche di frenare la penetrazione di Pechino e Mosca nell’area e di rafforzare la vicinanza arabo-israeliana in chiave anti-iraniana. Ci sono tuttavia alcune criticità e Mbs, con la consueta rapidità, mentre stringe mani in Europa si è riallineato guardando sempre più a est, cioè proprio alla Cina. Sottolinea ancora Thomas W. Lippman: «Non bisogna dimenticare che Pechino è stato il maggiore acquirente di petrolio saudita dal 2009 fino all’attuale crisi ucraina, e che Mosca è comunque partner dell’Arabia nell’Opec+». E aggiunge l’analista: «Il risultato più probabile dell’incontro con Biden è un modesto aumento dei massimali di produzione degli esportatori di petrolio nel mese di agosto. Ma il rallentamento economico in Cina sta anche riducendo la domanda, motivo per cui i prezzi negli Stati Uniti già stanno scendendo. Il forte aumento del valore del dollaro Usa tuttavia renderà il petrolio più costoso in molti Paesi, visto che le transazioni della risorse fossile sono regolate in quella divisa». Il fronte asiatico è quindi in movimento. Mentre in Occidente, dopo il conflitto russo-ucraino (con conseguente crisi energetica) la tendenza sembra chiara: essere più «sportivi» sulle questioni morali. Non tutto è sportswashing.