In meno di un mese ha ridisegnato una squadra che sembrava finita su un piano inclinato. Non solo i 7 punti conquistati nelle prime tre partite, la Juventus di Igor Tudor ha cambiato volto dimostrando come il rendimento dei bianconeri si potesse migliorare in fretta dopo i mesi dell’era Thiago Motta, culminata con l’esonero nell’ultima sosta nazionali. Un trend che ha riportato d’attualità il dibattito sul futuro del tecnico croato, che ha un contratto da “traghettatore” con opzione di uscita da parte della Juventus al termine del Mondiale per Club.
Patti chiari e nessuna aspettativa. Tudor ha accettato la condizione di precario, ne è pienamente consapevole e come un mantra continua a rispondere ad ogni sollecitazione che il suo futuro è sempre e solo il primo impegno: ufficiale o allenamento. Intorno, però, la discussione si è accesa e non solo per i risultati che hanno rimesso la squadra in linea di galleggiamento rispetto all’obiettivo imprescindibile di un posto nella prossima Champions League.
E adesso? La prima considerazione è che i tempi per una scelta non sono ancora maturi. La ripresa juventina va consolidata per mettere al sicuro almeno il quarto posto e anche per approfondire ulteriormente la conoscenza tra l’allenatore e l’ambiente circostante. Piace la sua juventinità, il pragmatismo tradotto anche in semplicità e verticalità di modello di calcio e la comunicazione, diretta e chiara, sia nel difendere il proprio lavoro sia nel mandare messaggi allo spogliatoio.
Tudor non sarebbe il primo traghettatore conferma per aver fatto bene durante il periodo di interregno. Anzi. Limitatamente, però, alle grandi società questo non è un buon viatico perché i precedenti illustrano una situazione in cui i fallimenti successivi sono stati molto superiori alle operazioni andate a buon fine. Anche alla Juventus.

Juventus, il caso Ciro Ferrara nel 2010
A Torino ricordano ancora la parabola di Ciro Ferrara, chiamato a sostituire Claudio Ranieri che non vinceva una partita da due mesi e che rischiava di non andare in Champions League. Traguardo guadagnato dall’ex difensore con un paio di vittorie di fila nel maggio 2009 e successiva conferma a furor di popolo, seguita da esonero nel gennaio 2010 con un bilancio più che negativo: fuori dalla stessa Champions League, lontanissimo dalla zona alta della classifica in campionato (33 punti in 21 giornate) e alla fine eliminato anche dalla Coppa Italia per mano dell’Inter.
Ferrara fu mandato via e al suo posto fu preso Alberto Zaccheroni senza, peraltro, che la situazione migliorasse: stagione chiusa al settimo posto, nuovo ribaltone e Delneri provato in una big per un altro campionato fuori da tutto, lancio perfetto per l’inizio dell’era di Antonio Conte e dei nove scudetti consecutivi.

Vincenzo Montella, dalla Supercoppa italiana all’esonero
Percorso simile, quello di Vincenzo Montella con il Milan. L’Aeroplanino era stato l’ultimo allenatore dell’epoca Berlusconi firmandone anche l’ultimo trofeo con la Supercoppa italiana conquistata ai rigori nella finale con la Juventus. Subentrato il cinese Yonghong Li e il duo Fassone-Mirabelli, si era trovato nella scomoda posizione di allenatore sotto contratto ma dentro un progetto societario e sportivo completamente diverso.
Fassone, all’epoca amministratore delegato del Milan cinese, ha più volte confessato di averlo confermato proprio in forza dell’accordo a lungo termine e anche della considerazione che, in fondo, il lavoro fatto non fosse da buttare via. Ma senza convinzione. Risultato: esonero alla 14° giornata, settimo in classifica e con soli 20 punti conquistati. Al suo posto Rino Gattuso, alla fine sesto.
Il Milan, però, racconta anche la storia di un trapianto di successo. Risale all’inverno del 2001 quando Carlo Ancelotti prese il posto di Fatih Terim in caduta libera. Non per fare il traghettatore puro, ma perché stava per firmare con il Parma e Galliani decise di firmarlo subito anche a costo di rischiare di bruciarlo in una seconda metà di stagione difficile da risistemare. Sarebbe stato, però, il prologo per i migliori anni del nuovo millennio del Diavolo con le Champions Leaague conquistate a Manchester e Atene insieme a tanto altro.

Hector Cuper e Walter Mazzarri, bruciati da Moratti e Thohir
Ultima big scottata da conferme senza piena convinzione, l’Inter. Di Moratti prima e Thohir poi, a distanza di pochi anni ma con due storie abbastanza simili. La prima porta a Hector Cuper che era sbarcato a Milano con nel curriculum i miracoli fatti sulla panchina del Valencia. Sopravvissuto al 5 maggio 2002, incappato nella semifinale di Champions League persa contro il Milan che sarebbe poi andato a prendersi la coppa a Manchester, l’argentino fu comunque confermato nonostante il fastidio del presidente e la delusione del popolo interista. Scelta sbagliata: esonero a settembre dopo 6 giornate senza gloria e un pareggio risicato rimediato a Brescia.
Toccò anche a Walter Mazzarri, scelto da Moratti e messo sotto contratto e poi ritrovatosi ad allenatore l’Inter di Thohir. Sarebbe stato meglio salutarsi a giugno 2014 con in mano il ritorno in Europa, invece la storia andò avanti per chiudersi con reciproca insoddisfazione dopo un piovoso 2-2 a San Siro contro il Verona che certificava lo scivolamento dei nerazzurri al nono posto in classifica.