Il ministro Roberto Cingolani ha rinnovato per altri 12 anni l’autorizzazione al colosso belga Solvay a sversare nel mare di Rosignano 250 mila tonnellate di residui della lavorazione del carbonato di soda. Nell’attesa di trovare un acquirente allo stabilimento italiano.
Visti dall’alto, quei cinque chilometri di costa toscana intorno a Rosignano sembrano proprio le «Italian Maldives» delle quali parlava con un certo sarcasmo il Financial Times a Natale 2020. Mare azzurrissimo, spiaggia bianca bianca e pazienza se sullo sfondo torreggia l’unico stabilimento europeo di produzione di carbonato di soda della multinazionale belga Solvay dove, come osservava il quotidiano della City, «i rifiuti chimici sono sversati direttamente in mare senza essere trattati». Nonostante siano ancora in corso una serie di verifiche ambientali tra azienda e ministero della Transizione ecologica, lo scorso 20 gennaio il ministro Roberto Cingolani ha rinnovato l’autorizzazione per 12 anni, con ben cinque anni di anticipo sulla sua scadenza naturale.
Per dare un senso a tutta questa fretta, la teoria dei colori può aiutare. L’azzurro è una tinta secondaria, frutto dello sbiancamento del blu, che è un colore primario. Ma qui c’è di mezzo anche un altro colore primario, il giallo. E nei giorni dei bombardamenti su Kiev, con il valore delle azioni Solvay sprofondato alla Borsa di Bruxelles, il giallo di questa proroga anticipata ha iniziato a trovare risposta nelle analisi delle banche d’affari: la guerra in Ucraina rischia di dilazionare la vendita del ramo «soda» (Rosignano compresa), non più in linea con l’immagine ambientalista che la multinazionale s’è data in questi anni. Del resto, come si può cercare di vendere senza offrire al compratore la garanzia di un’autorizzazione del governo italiano blindata per 12 anni?
Solvay lavora a Rosignano dal 1912 e nel triennio 2018-2020 ha scaricato in mare, secondo i dati forniti dall’azienda stessa, 688 mila tonnellate di rifiuti solidi sospesi, tra cui 88,7 di metalli pesanti come mercurio, cadmio, nickel, piombo, cromo e arsenico. Il tutto in un tratto di mare con fondali poco profondi. Del resto, basta leggere l’autorizzazione precedente (in gergo Aia) del 2015 per trovare la spiegazione tecnica della finta spiaggia caraibica offerta dagli esperti del Cnr: «I sedimenti appartenenti alla classe granulometrica delle sabbie, anch’essi immessi in mare dal collettore di scarico, vengono immediatamente depositati nell’area antistante la costa e al collettore di scarico stesso».
«Le caratteristiche idrodinamiche dell’area giustificano il trasporto e il deposito dei sedimenti sulla costa» proseguono i tecnici «con la formazione delle spiagge bianche di Rosignano Solvay». Tutte da discutere anche le modalità con la quali vengono fatti i prelievi a campione degli scarichi di Rosignano. Bluebell capital partners, il fondo attivista con base a Londra fondato da Giuseppe Bivona e Marco Taricco, ha preso un’azione di Solvay per avere accesso a tutta la documentazione e da un paio d’anni chiede chiarezza su Rosignano. All’assemblea dei soci dello scorso 11 maggio, il fondo noto per aver denunciato lo scandalo dei bilanci falsi del Monte dei Paschi di Siena, ha scoperto dalle risposte fornite dai rappresentanti del colosso belga che i valori di concentrazione di metalli pesanti riportati allo scarico in mare sono calcolati al «lordo» di enormi prelievi di acqua di mare effettuati a monte dello stabilimento. Senza l’utilizzo dell’acqua marina, il limite massimo di concentrazione fissato dalla legge per alcuni metalli pesanti potrebbe risultare superato. Ovviamente il fondo attivista ha da mesi inviato tutta la documentazione raccolta anche alle autorità italiane, incluso il ministro Cingolani. Quelle europee hanno risposto con una lettera del commissario Ue all’Ambiente, Virginijus Sinkevicˇius, dove si legge che la costa di Rosignano, già all’epoca della precedente autorizzazione, «non raggiungeva un “buono stato” sotto il profilo della composizione chimica». E sotto il profilo ecologico «la costa veniva classificata in “buono stato” nonostante diversi parametri (la qualità biologica e chimico-fisica dell’acqua) fosse apparentemente sconosciuta».
Da tre anni, il capo operativo di Solvay è Ilham Kadri, una manager franco-marocchina che ha fatto dell’attenzione alle questioni ambientali il proprio vessillo e sul cui profilo Twitter appaiono quasi quotidianamente appelli alla sostenibilità e alla transizione ecologica. Sarà per questo che ha trovato piena fiducia in Cingolani. L’autorizzazione concessa il 20 gennaio arriva con cinque anni di anticipo sulla sua scadenza naturale e mette «in sicurezza» il business della soda di Rosignano per i prossimi 12 anni. Il 2 febbraio, quando si è saputa la faccenda, Cingolani ha dovuto difendersi da alcune accuse (arrivate da interrogazioni parlamentari, ambientalisti e attivisti vari) di un presunto conflitto d’interessi per il fatto di essere un manager in aspettativa di Leonardo, con la quale aveva lanciato un progetto di ricerca con Solvay. «Il progetto non prevedeva alcun finanziamento tra le parti», ha spiegato Cingolani, come se l’assenza di un finanziamento bastasse a escludere l’esistenza di un interesse economico.
Ma il punto sconcertante è che, per stessa ammissione del ministro, «i temi toccati dalla nuova Aia 2022 prescindono dal più ampio e complesso tema pregresso del danno ambientale e delle bonifiche a Rosignano» che proprio il fondo Bluebell aveva ripetutamente segnalato al ministro Su queste, «il ministero sta comunque continuando a operare ed è in corso un’interlocuzione tra il ministero e Solvay», conclude la precisazione del 2 febbraio. Lapidario il commento di Legambiente Toscana: «Solvay è stata autorizzata a sversare in mare 250 mila tonnellate annue di residui della produzione per altri 12 anni. Una decisione che proroga “sine die” l’eccezione concessa allo stabilimento della multinazionale belga. Ricordiamo che il limite di legge prescriverebbe la soglia di 60 mila tonnellate annue, elevato a 250 mila solo per favorire l’azienda».
Però, visto il noto impegno per la transizione ecologica tanto di Cingolani quanto della signora Kadri, non si capisce il perché di un’autorizzazione anticipata, nonostante le parti stesse siano ancora impegnate nella predetta «interlocuzione» sui danni ambientali. O meglio, non si capiva fino ai missili di Vladimir Putin. Il 24 febbraio, la Russia attaccava l’Ucraina e da allora il titolo Solvay ha perso in Borsa il 15 per cento (dati all’8 marzo). Come molti altri colossi internazionali, Solvay ha un’importante joint venture a Mosca con Rusvinyl, prontamente sospesa, ma non è questo il punto. Aggiornando il rating del gruppo belga, gli analisti delle banche d’affari hanno sottolineato che la guerra potrebbe ritardare l’uscita dalla produzione del carbonato di sodio.
Quelli della tedesca Berenberg, per esempio, il 4 marzo hanno spiegato il brusco calo delle azioni con «la preoccupazione che la vendita del ramo soda possa subire ritardi». Eccola qui, la risposta al giallo dell’autorizzazione blindata per 12 anni: lo stabilimento di Rosignano è in vendita e non va deprezzato. Tocca ammettere che i mercati, nel loro cinismo, spesso raccontano la verità molto meglio delle scartoffie ministeriali e delle sbrodolate aziendali sulla responsabilità ecologica e ambientale.