Baby Driver il genio della fuga, una saetta al cinema – La recensione
Ha la faccia da bambino e al volante è capace di seminare chiunque a suon di rock: in un film dai ritmi forsennati di videogioco e un gusto “vintage”
Lo chiamano Baby, perché è giovane e con la faccia da bambino. E fa il driver, cioè l’autista. Mica uno normale però. Guida per una banda di rapinatori e al volante è una furia capace di seminare chiunque dopo inseguimenti forsennati. Esplicato il titolo del film - sottotitolo Il genio della fuga - diretto del britannico Edgar Howard Wright (in sala da 7 settembre, durata 112’), va detto che Baby (Ansel Elgort) vive al ritmo della musica ascoltata in cuffia per coprire il ronzìo alle orecchie che gli è rimasto dopo l’incidente d’auto nel quale perse la vita sua madre cantante; e che il suo destino di chauffeur malavitoso è destinato a cambiare per amore di Debora (Lily James), tenera e flautata fanciulla che facendogli perdere la testa gli la rimette anche a posto e che, guarda un po’, fa la cameriera in un drive-in.
Acuti di puro spettacolo dinamico
Non senza parecchi acuti di puro spettacolo dinamico da Top Car Crashing games che lo storia riserva in stile videogioco contrapposto ad una curiosa e molto pregevole sotto-estetica vintage. Oltre, naturalmente, una formidabile alluvionale tracklist che con quasi quaranta brani accompagna il racconto come fosse un musical: divagando tra i generi (rock, pop, R&B, rap e via così) e includendo, certo non a caso, la deliziosa Baby Driver di Simon e Garfunkel, roba del 1970 ed è una finezza, come del resto le scelte cadute su Beach Boys, Queen e Kid Koala. Vocazione musicale che il film investe anche nel cast, con tre cantanti (e a volte attori) come Flea, Jamie Foxx e Eiza González oltre il talento d’attore a tutto tondo di Kevin Spacey nella parte di Doc, criminale in guanti gialli occasionalmente sporcati di rosso.