Beatrice Venezi, la regina che dirige in lungo (anche i manager)
A 29 anni conduce le più grandi orchestre internazionali, non disdegna il rock and roll e spiega alle aziende come funziona il gioco di squadra...
“Come racconterei ad un cantante trap l’arte di Giacomo Puccini? Beh, non partirei certo dalla musica, ma dal personaggio, uno straordinario viveur innamorato delle donne, affascinato dalle belle auto, dalle barche, dalle moto e dall’eleganza. Il primo tra i grandi della classica a farsi immortalare da una telecamera in situazioni extraprofessionali, mentre andava a caccia o in barca tutto vestito di bianco. Una rockstar ante litteram: aveva intuito prima di tutti quanto fosse importante alimentare il mito intorno alla propria persona. Ecco, un trapper cercherei di intrigarlo così” racconta sorridendo Beatrice Venezi, 29 anni, da Lucca, tra le poche donne al mondo chiamate regolarmente a condurre orchestre internazionali (dal Giappone, all’Argentina, al Canada), inserita da Forbes nell’elenco dei 100 giovani leader del futuro e autrice dell’album My Journey - Puccini’s Symphonic Works: “Ascoltarlo mi mette la pelle d’oca perché è un omaggio alle mie origini, alla mia città e alla musica del mio angelo custode” spiega a Panorama.
Dirige l’Orchestra Milano Classica, la nuova Orchestra Scarlatti Young di Napoli e nelle scorse settimane ha conquistato (le ha consegnato l’onorificenza Lamberto Frescobaldi) il Premio Leonia 2019 per l’audacia. Una qualità di cui non potrebbe fare a meno per ottenere rispetto in un mondo, quella della classica, popolato per lo più da direttori austeri ed anche un po’ autoritari.
Ma non chiamatela direttrice… “Preferisco direttore, perché non credo che ci sia la necessita di sottolineare il genere quando si parla di un professionista. Contano il merito, la preparazione ed il talento. Quanto all’abito da podio, preferisco un vestito lungo, magari un po’ vivace, ai pantaloni. Non sento l’esigenza di conformarmi al modello maschile, non devo indossare una maschera” spiega con quel piglio gentile ma fermo che rappresenta la sua cifra stilistica. Anche quando si trova di fronte ad un’orchestra da guidare tra i meandri e le insidie degli spartiti classici. “Non ho bisogno di essere autoritaria per essere autorevole. Vede, il direttore fa sempre la differenza, riesce a far suonare bene anche un’orchestra mediocre oppure pigra, è un motivatore che deve far passaggio un messaggio importante, e cioè che la musica è anche divertimento. A dispetto delle accademie e della loro estrema rigidità” spiega lei che grazie a quel che fa sul podio viene chiamata in decine di aziende italiane in qualità di coach per raccontare come funziona davvero il gioco di squadra: “Mi presento da sola o con altri musicisti. I punti di contatto tra la gestione dell’azienda e quella di un’orchestra sono molti: dal concetto di leadership a quello di team working. Per non parlare della fondamentale e decisiva capacità di ascoltare”
Scrutava affascinata il potere dei Backstreet Boys sui teenager, Beatrice Venezi, alla fine degli anni Novanta, mentre studiava pianoforte e sognava qualcuno con lo stesso carisma dei cinque american boys che riducesse le distanza tra la musica colta e l’audience pop: “Occorre uscire dal palazzo, andare nelle piazze, in televisione, magari non di notte come avviene sulle reti del servizio pubblico, nelle radio generaliste, nelle scuole. L’anno scorso ho suonato al Lucca Summer Festival, un evento dove si alternano i grandi nomi del pop e del rock. Beh, nessuno aveva grandi aspettative, ma sono arrivate cinquemila persone per assistere al Puccini Day. C’è sempre voglia di bellezza… Qualche giorno prima della mia esibizione, ho visto lo show degli Hollywood Vampires, la band con Alice Cooper alla voce e Johnny Depp alla chitarra. Fantastici: è proprio vero che il rock and roll mantiene giovani. Mi piacciono anche cose più sperimentali come i Massive Attack, mentre la trap proprio non è il mio genere. Nel mio ambito Mozart rappresenta la perfezione assoluta, era un extraterrestre” rivela prima di addentrarsi in due concetti espressi anche tra le pagine del libro Allegro con Fuoco. Innamorarsi della musica classica (Utet/De Agostini):
“L’Italia è afflitta da esterofilia: dalla scelta delle vallette per la tv ai calendari delle stagioni concertistiche. C’è la convinzione che mettere in cartellone qualcosa di non autoctono produca prestigio. All’estero ragionano esattamente all’opposto. Per non parlare poi del rapporto tra cultura e profitto. Da noi accostare le due parole viene considerato una bestemmia. Fuori dall’Italia, la sinergia tra pubblico e privato e le sponsorizzazioni sono la regola. E così, magari, nessun musicista che ha studiato per anni si sente dire: Ah, sei un direttore d’orchestra? Bello, ma per vivere che lavoro fai?”.