Benedetta follia di Carlo Verdone, al cinema – La recensione
Un film che ripropone l’autore-attore romano a livello delle sue ispirazioni migliori. Con una esilarante commedia sull’amore al tempo delle “chat”
Se ci si chiede quanto si divertirà, al cinema, chi andrà a vedere Benedetta follia di Carlo Verdone (in sala dall’11 gennaio) la risposta è “molto”.
Con aperture al superlativo. Perché il ventiseiesimo film dell’autore romano rilegge al meglio i migliori e per certi versi mitici titoli del suo passato, di quelli che si rivedono ogni volta come si fa con i cosiddetti “cult”: ridendo ancora su battute e situazioni che, magari, si conoscono a memoria. Insomma vengono in mente i vari Borotalco, Viaggi di Nozze, Bianco, rosso e Verdone, Maledetto il giorno che t’ho incontrato, recuperati qua con spirito, intuizioni e maggior consapevolezza espressiva.
La cultura dell’ironia nella “casa sopra i portici”
Già, perché Verdone - lui stesso lo ha raccontato nella sua bella autobiografia e lo abbiamo vissuto senza mediazioni anche noi - ha abitato al numero due di Via Lungotevere dei Vallati. È la casa sopra i portici che lo ha visto crescere in ogni senso, prima di lasciarla del tutto nel 2010, un anno dopo la morte di papà Mario, uomo squisito, ironico e spassoso prim’ancora che grande critico, storico e docente di cinema (ruoli che recitava, peraltro, con semplice levità); e ventisei dopo quella dell’adorata mamma Rossana, generatrice d’un vuoto destinato a non colmarsi. Una casa divisa in tempi diversi col fratello Luca diventato pure lui regista e sceneggiatore; e con la sorella Silvia, che ha sposato Christian De Sica e che di cinema s’è fatta produttrice.
Quei segni di buonumore e di vivacità intellettuale
Bella gente. In un clima famigliare che negli anni e al di là dei fisiologici dolori della vita ha restituito a Carlo la virtù della leggerezza e della vitalità più arguta mai sconfinate nella superficialità, nella grevità, nel pressappochismo. E molte di quelle doti, che evidentemente appartengono a un Dna di formazione culturale e caratteriale, sono d’eredità paterna, sedimentate nel tempo sul filo d’una trasmissione di pensiero, d’un buonumore e di una vivacità intellettuale rare e spiazzanti come le sue battute.
Se una moglie scappa il giorno delle nozze d’argento
Carlo e il “segno” di Mario. Viene di ripensarci tutte le volte che si vede un suo film. Così pure adesso, davanti a quest’ultimo. Con la storia del pio Guglielmo (Verdone medesimo) e del suo negozio di articoli religiosi, icone, crocifissi e paramenti sacri, specie di piccolo tempio della moda liturgica vaticana, che incomincia con uno choc: quando sua moglie Lidia (Lucrezia Lante della Rovere), esasperata da quell’ambiente – così come lo erano la Magda di Bianco, rosso e Verdone per la folle pedanteria del marito Furio o la Fosca di Viaggi di nozze distrutta dal vedovo professor Raniero Cotti Borroni – lo lascia mentre stanno festeggiando insieme le nozze d’argento e, seconda botta, gli confessa di amare un’altra perché è diventata lesbica.
Un destino chiamato Luna e uno smartphone “imbarazzante”
Ma la sorte fa sempre in modo di offrire un piano B, chiamalo, se vuoi, via di fuga o di sollazzo alternativo. E quando quell’atelier della devozione resta a corto di personale – e lui, Guglielmo, a corto di felicità - ecco spuntare, da qualche angolo scuro della periferia romana, la Luna del destino,(Ilenia Pastorelli), vestita il minimo necessario, rustica, incolta, impertinente e perfino molesta.
Però tanto generosamente coinvolta nello sconforto di quel poveraccio da lanciarlo come un missile in una chat d’incontri sentimentali: dove, naturalmente, Guglielmo trova di tutto nelle varianti più accese, dalla logorrea al sesso. Incrociando pure una donna che, dopo avergli preso lo smartphone con vibrazione, ne fa un uso, diciamo così, intimo e proibito proprio mentre è in arrivo la telefonata d’un cardinale. Con tutto il paradossale e il ridicolo possibili nella conversazione – tutta da gustare - che ne segue.
Sorprese e riflessioni dentro l'apparato comico
Va da sé che, per Guglielmo, l'incontro davvero consolatorio avviene fuori chat con l'infermiera Ornella (Maria Pia Calzone), lasciando aperta la porta ad una serie di sorprese successive che, ovviamente, non si svelano. Ma che, al tempo stesso, completano al meglio l'apparato comico del film nella sua parte più evidente, a suo modo plateale e in piena sintonia col suo genere di riferimento, cioè la commedia. Lasciando invece altre conclusioni al ragionamento che Verdone fa scorrere al fianco della storia: dunque l'influenza ?" in molti casi l'ascendente ?" della rete nelle sua varianti generiche di app, chat e social sulla vita e sui comportamenti della gente.
Scontato e banale? Mica tanto. Perché la tematica, tradotta appunto in commedia, lascia spazio ?" qua con intelligenza ?" ad una tale esasperazione caricaturale degli eventi da acquistare una felicissima valenza satirica; mentre, quasi come contrappunto, la vita del protagonista viene rivoluzionata davvero lontano da internet, nel nome della ?normalità? e della ?serenità?, roba dal sapore antico e probabilmente un po' nostalgico, così com'è rimasto quel sentimento per la casa sopra i portici d'una volta.
La voglia inalterata di lanciare nuovi talenti
Il passato che ritorna? Neanche per idea. Verdone ha un suo strano, speciale e universale modo di essere ?moderno?, aggiornando rapidamente l'insieme del suo saper fare alle prospettive e ai bisogni più attuali.
Per esempio girando molte scene con movimenti di macchina abbastanza nuovi ?" incluso l'utilizzo di droni - per il suo cinema, nelle mani d'un autore della fotografia brillante ed esperto come Arnaldo Catinari; concedendo al suo Guglielmo una variante visionario-coreografica (suggestiva ma un po' brodosa) con una pastiglia di ecstasy presa per sbaglio; aggiornando (auto)ironicamente l'icona sempreverde del motociclista da banda e bandana; conservando e mostrando, una volta di più, il gusto di lanciare talenti nuovi, o quasi, come quello di Ilenia Pastorelli, la ?Luna? che lo affianca impetuosa e turbinosa per quasi tutto il film, provenienza danza classica, dodicesimo Grande Fratello e soprattutto Lo chiamavamo Jeeg Robot col quale ha debuttato nel cinema.
La direzione delle attrici sempre in primo piano
Cinema di donne, d'altra parte, quello di Carlo Verdone. Ieri, disseminate in quasi quarant'anni di carriera da regista e attore insieme, la Eleonora Giorgi di Borotalco, la Natasha Hovey di Acqua e sapone, la Ornella Muti di Io e mia sorella, la Claudia Gerini di Viaggi di nozze e Sono pazzo di Iris Blond, la Margherita Buy di Maledetto il giorno che t'ho incontrato, tutte le altre, Laura Morante, Asia Argento, Laura Chiatti e via così, compresa una irresistibile Milena Vukotic nei panni incredibili della prostituta di Bianco, rosso e Verdone. Oggi Ilenia.
Ma non solo lei. Perché in Benedetta follia, che vive su una recitazione collettiva di qualità, si ritrovano con lo stesso peso artistico - e all'interno d'un folto gruppo di personaggi femminili -Maria Pia Calzone, Lucrezia Lante della Rovere, Paola Minaccioni e tutte le altre, più o meno brevemente implicate nelle circostanze chattanti e le loro esilaranti conseguenze.
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