Gli scritti di Bettino Craxi e l'Araba fenice della Seconda Repubblica
Ecco lo spirito del libro "Io parlo, e continuerò a parlare" dello statista socialista secondo Andrea Spiri, lo storico che ne ha curato la raccolta
Da Hammamet Bettino Craxi scriveva e scriveva, vorace osservatore dell'attualità italiana. E intanto riusciva quasi a vaticinare tanto di quello che sarebbe poi successo. Dall'altra parte del Mediterraneo, mandava le sue riflessioni in Italia alle redazioni dei vari giornali, ma il loro destino era spesso il cestino. Solo alcuni fogli come L'Avanti e Critica Sociale gli davano spazio. Quegli scritti però ora sono diventati libro con Io parlo, e continuerò a parlare, dal 9 settembre in libreria (Mondadori, 264 pagg.).
Craxi redige una cronaca quasi quotidiana delle vicende di Tangentopoli, dice la sua sul sistema di finanziamento dei partiti, riflette sugli anni di piombo, su Moro e le BR, sull'Europa, sui servizi segreti deviati, sulla propria scelta dell'esilio, sulla malattia. Soprattutto analizza la cosiddetta Seconda Repubblica e pennella ritratti, a volte feroci, su Berlusconi, Bossi, D'Alema, i leader del PCI o ex PCI, e poi ancora Fini, Prodi, Di Pietro, Ilda Boccassini e gli altri giudici del pool di Milano.
A curare il volume e la scelta degli scritti dell'ex presidente del Consiglio e segretario del Partito Socialista Italiano è stato lo storico Andrea Spiri dell'Università Luiss di Roma, che ci racconta lo spirito di questa raccolta.
Come ha selezionato gli appunti di Craxi?
"Gli scritti che la Fondazione Craxi ha messo a mia disposizione erano tantissimi. Ho privilegiato gli aspetti meno noti: piuttosto che concentrarmi sulla giustizia politica e sull'esilio doloroso, ho dato più spazio al giudizio di Craxi sulla Seconda Repubblica e sui cosiddetti uomini nuovi. Questo perché il senso del libro è evidenziare come la seconda Repubblica non sia mai nata, come l'Araba fenice, 'che vi sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa'. La Seconda Repubblica non esiste, è solo l'appendice peggiore della Prima Repubblica. Craxi ci dice che è composta dalle stesse persone che erano sedute accanto a lui. L'ambizione è che dal libro trapelino nuove sfaccettature umane e politiche del presidente Craxi".
Il materiale da cui partiva era vastissimo e per lo più inedito.
"Craxi scriveva tantissimo, una produzione imponente. Il Fondo di Hammamet è una miniera preziosa ancora da scavare in profondità. In base alle note per cui sono riuscito a risalire alla data, il presidente scriveva anche cinque-sei articoli al giorno, non solo sui fogli riciclati della rassegna stampa che gli veniva inviata quotidianamente. Non si fermava mai. L'ultimo appunto che ho selezionato è del novembre 1999, quando già stava male ed era stato ricoverato a Tunisi".
Come dice la figlia di Bettino, Stefania Craxi, non è un libro di memorie ma di attualità?
"Assolutamente sì, come scrivo nella prefazione. Non è solo un tuffo nei ricordi. Craxi parla anche del ruolo dell'Italia in Europa, della necessità di modificare i parametri di Maastricht, del bisogno di riforme istituzionali, e soprattutto rivendica il ruolo della politica di compiere scelte qualificanti per il futuro del Paese. E questo è molto attuale visto che negli ultimi anni la politica ha dato pessime prove. La politica deve recupare la dignità perduta".
Più che un uomo attraversato dal rancore traspare un uomo che ha ancora ideali politici?
"Non ho trovato rancore in queste note. Era addolorato, sì, ma nei suoi scritti c'è solo una grande speranza. C'è più che altro sollecitazione verso la politica. Non si rallegra di essere stato un facile pronosticatore di disgrazie per l'Italia, ma se ne rattrista. Percepisce l'Italia in preda a disorientamento e sfiducia; richiede comunque che emerga la verità e che la si smetta di criminalizzare la Prima Repubblica".