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Il difficile disgelo tra Washington e Pechino

La visita di Tony Blinken in Cina punta a stabilizzare un dialogo che, nell'ultimo anno, si era fatto sempre più problematico. Ma la strada, su questo fronte, continua a rivelarsi in salita

Tira una parziale aria di disgelo tra Washington e Pechino. Il segretario di Stato americano, Tony Blinken, ha incontrato Xi Jinping poche ore fa. “Le due parti hanno compiuto progressi e raggiunto un accordo su alcune questioni specifiche. Questo è molto positivo”, ha affermato il presidente cinese. “Le interazioni tra Stato e Stato dovrebbero sempre essere basate sul rispetto reciproco e sulla sincerità”, ha proseguito, augurandosi inoltre una “stabilizzazione delle relazioni Usa-Cina”. Poco prima, Blinken aveva avuto un incontro con il responsabile Esteri del Partito comunista cinese, Wang Yi, mentre domenica aveva avuto con il ministro degli Esteri di Pechino, Qin Gang, dei colloqui definiti “onesti” e “costruttivi”. Nell’occasione, Qin ha accettato un invito a Washington da parte di Blinken, mentre i due Paesi starebbero lavorando per organizzare un incontro tra Xi e Joe Biden nei prossimi mesi.

Ricordiamo che il viaggio del segretario di Stato americano è avvenuto dopo un anno particolarmente turbolento per quanto riguarda i rapporti tra Stati Uniti e Cina. Ad agosto dell’anno scorso, la tensione era salita a seguito della visita taiwanese, effettuata dall’allora Speaker della Camera americana, Nancy Pelosi. Inoltre, a febbraio, era scoppiata la crisi del pallone spia cinese: una circostanza che aveva spinto Blinken a rimandare il suo viaggio nella Repubblica popolare. Ora, se parlare di distensione è francamente esagerato, l’incontro tra il capo del Dipartimento di Stato americano e Xi appare come un tentativo di stabilizzare un dialogo che si era fatto sempre più teso. Non è tuttavia chiaro se ci si trovi o meno davanti a una svolta.

Nel corso dei colloqui che Blinken ha avuto con i massimi rappresentanti del governo cinese, è emerso chiaramente come il dossier taiwanese costituisca il principale scoglio nelle relazioni tra Pechino e Washington: tale questione non investe infatti soltanto il tema dell’influenza geopolitica in Estremo oriente, ma anche (e forse soprattutto) la delicata partita dei semiconduttori. Il problema è che, sulla Cina, l’amministrazione Biden si è mostrata internamente divisa in questi due anni e mezzo. Da una parte, c’è chi – come l’inviato speciale per il clima John Kerry – auspica una distensione in nome della cooperazione sul piano dell’ambientalismo. Dall’altra, si scorge chi – soprattutto nel Consiglio per la sicurezza nazionale – invoca maggiore severità sul fronte dei diritti umani e della competizione tecnologica. Il problema è che, davanti a queste fratture intestine, Biden non sembra in grado di trovare una sintesi effettiva. E questo ha spesso generato confusione (si pensi solo a tutte le volte che l’attuale presidente americano ha dichiarato di voler difendere militarmente Taiwan da un’eventuale invasione cinese, salvo poi essere sempre smentito dal suo stesso staff nel giro di pochi minuti).

Infine, ma non meno importante, l’inquilino della Casa Bianca deve affrontare due nodi di politica interna. Primo: la sua base elettorale è spaccata sul dossier cinese. Se gli Stati operai della Rust Belt invocano una linea dura simile a quella di Donald Trump sul piano commerciale, i potentati economici (da Wall Street alla Silicon Valley) auspicano una distensione nel nome della salvaguardia dei rapporti commerciali (non è forse un caso che la visita di Blinken sia stata preceduta da quella di Bill Gates, il quale ha incontrato proprio Xi venerdì scorso). In secondo luogo, non dobbiamo trascurare che la campagna elettorale per le elezioni presidenziali americane del 2024 è già cominciata. Se Biden dovesse continuare sulla strada della distensione con il Dragone, si esporrebbe non solo agli attacchi dei repubblicani ma – forse – anche a quelli di alcuni settori dello stesso Partito democratico.

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Stefano Graziosi