Blur, "The magic whip" - La recensione
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Blur, "The magic whip" - La recensione

L'ottavo album della band di Damon Albarn è un ritorno in grande stile

L'accoppiata Albarn-Coxon si conferma vincente

Possono bastare cinque giorni a Hong Kong per dare vita a un disco eccellente? A giudicare da The magic whip, l’inaspettato ottavo album dei Blur, la risposta è affermativa. Sono passati 12 anni da Think Tank e sedici da 13, ultimo disco inciso con il chitarrista Graham Coxon, eppure la magia del gruppo capitanato da Damon Albarn non si è ancora esaurita. Nel 2013, durante una pausa non preventivata del tour di reunion, i Blur si sono ritrovati in un piccolo studio di Hong Kong per cinque giorni consecutivi all’insegna delle jam session e della libertà creativa. Dopo circa un anno di gestazione, Coxon ha portato quei nastri a Stephen Street, il produttore dei migliori album dei Blur. Albarn non era soddisfatto dei testi e così è tornato da solo a Hong Kong in cerca della giusta ispirazione, che puntualmente è arrivata. Il 19 febbraio l’annuncio a sorpresa del nuovo album e di un megaconcerto a Hyde Park.

Vediamo insieme, cliccando le frecce laterali, tutte le canzoni di The magic whip,, uscito oggi in Italia, che si candida a diventare uno dei migliori album del 2015.

1) Lonesome street

L'album parte in quarta con le schitarrate di Graham Coxon, i cori beatlesiani e il fischiettio finale di Lonesome street che ci riporta alle atmosfere di Modern Life Is Rubbish e Parklife, modernizzandole con un pizzico di elettronica. La voce di Albarn suona qui più matura ed espressiva che mai. Se avete amato i Blur degli anni Novanta questo brano vi farà tornare indietro di vent’anni. Il video è già un cult.

2) New World Towers

Il titolo della canzone, che richiama le sonorità malinconiche di Everyday robots e di The Good, The Bad & The Queen, si riferisce alle torri davanti allo studio di Hong Kong dove è stato registrato l’album. Un brano dilatato e ipnotico che sarebbe perfetto come colonna sonora di un western post-apocalittico.

3) Go out

Una gara di bravura tra la chitarra distorta di Coxon e il basso rotondo di Alex James sul caratteristico cantato vagamente alcoolico di Albarn. Al testo malinconico e secco fa da contraltare l’irresistibile coro “oh oh oh” che evoca i fasti di Girls And Boys. Siamo certi che Go out sarà uno dei brani più apprezzati dal vivo di The magic whip.

4) Ice cream man

Il brano che spiega il gelato in copertina e che richiama nel testo il titolo dell’album evoca il sound Gorillaz per il beat hip hop e per le orchestrazioni elettroniche, “umanizzati” dalla chitarra acustica.

5) Thought I was a Spaceman

Uno dei brani migliori di The magic whip, scandito dall’incedere lento e solenne della batteria di Dave Rowntree nella quale si incastrano alla perfezione le percussioni elettroniche tanto amate da Albarn, che qui divide le parti vocali con Coxon. I riferimenti a Space Oddity di David Bowie sono evidenti e non solo nel titolo.

6) I Broadcast

Ritorna la critica pungente del frontman alla tecnologia che deteriora i rapporti sociali, architrave del progetto Everyday robots. Il riff di chitarra, contagioso quanto il ritornello, potrebbe far diventare I Broadcast la Song 2 della maturità, pur non avendo l’esplosività di quest’ultima. Un brano destinato a infiammare i live.

7) My Terracotta Heart

Uno dei vertici di The magic whip, anch’esso figlio delle sonorità di Everyday robots, nel quale il frontman ripercorre con sincerità disarmante il suo rapporto di amore-odio con il chitarrista Graham Coxon, che lasciò la band sedici anni fa proprio a causa dei contrasti con Albarn. Quattro minuti di pura emozione.

8) There are too many of us

L’incedere marziale della batteria, gli archi elettronici, i synth alla Royksopp e  la voce filtrata di Albarn ci accompagnano per mano in un altro tuffo nella malinconia, con un testo ispirato allo sgomento di trovarsi a Sydney nel giorno della strage avvenuta a dicembre 2014, oltre che al senso di alienazione che si prova in una megalopoli come Hong Kong.

9) Ghost Ship

Una ballad funk-soul dolce e rilassata che sembra uscita da un album Motown degli anni Settanta, con un giro di basso da antologia. Qui i Blur mostrano tutta la loro classe e la loro capacità di scrivere canzoni pop senza tempo. Ghost ship è un piccolo, grande capolavoro.

10) Pyongyang

Una canzone personale e politica al tempo stesso, dalle atmosfere sinistre e inquiete che si alleggeriscono solo nel ritornello, caratterizzata da lunghi arpeggi e da una godibile coda strumentale. Pyongyang ricorda vagamente Ashes to ashes, anche se è più lenta rispetto alla canzone del Duca Bianco.

11) Ong Ong

Un'iniezione d’allegria che fin dal primo ascolto ti cattura, con il suo semplice quanto irresistibile coro “la la la la I wanna be with you”. Una canzone leggera , ma quanti gruppi di oggi sono in grado di fare una canzone così?

12) Mirrorball

Non fatevi confondere dal titolo, che sembrerebbe richiamare le sfere rotanti e specchiate che impazzavano nelle discoteche degli anni Settanta. Ritmo lento, chitarre western e arrangiamento d’archi rendono Mirrorball la degna conclusione di un disco riuscito come Magic whip. Applausi, titoli di coda, la voglia di spingere di nuovo play e di riascoltare tutto l'album. I Blur sono tornati alla grande.

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Gabriele Antonucci