Bruce Springsteen: trionfo a Roma - Recensione, scaletta e video del Circo Massimo
Il Boss ha incantato i 60.000 spettatori per 3 ore e 51 minuti, ricchi di emozioni e di sorprese
Da brividi l'inizio con "New York City Serenade", accompagnato dall'orchestra d'archi
Nessun cantautore americano, dopo Bob Dylan, ha raccontato le strade infinite, le angosce esistenziali e le contraddizioni dell’America degli ultimi quarant’anni come Bruce Springsteen. A lui dobbiamo il merito di aver mantenuto in vita la fiamma del rock and roll, non come mera musica di intrattenimento, ma come strumento universale per prendere posizione e per risvegliare la coscienze assopite di una società ripiegata su se stessa, indifferente e iperconnessa, brandendo la sua chitarra consunta come un'arma benevola.
Il Boss, artista che ha fatto delle verità e della forza espressiva i punti cardine della sua poetica rock, ieri ha ripetuto ancora una volta la magia davanti ai 60.000 spettatori del Circo Massimo, edificato da Tarquinio Prisco nella valle tra il Palatino e l'Aventino. Un antico circo romano, dedicato alle corse di cavalli, che ieri sera ha officiato la messa laica dell’ultimo sciamano del rock, che incarna meglio di chiunque altro nelle sua fisicità ancora esplosiva, nonostante le 67 primavere, l’eroe americano tratteggiato dalla penna di Whitman.
L’ultimo suo concerto italiano, dopo i due bagni di folla dello Stadio San Siro di Milano del 3 e del 5 luglio, è in supporto del tour di The River, il capolavoro del 1980, ripubblicato lo scorso dicembre in un monumentale cofanetto intitolato The ties that bind: The River Collection, ricco di inediti e di rarità.
Dall’elegiaco inizio di New York City Serenade, impreziosita dagli archi dell'Orchestra Roma Sinfonietta, fino all’ultimo bis di Thunder Road, solo voce e chitarra, sono trascorse 3 ore e 51 minuti, ricche di vita vissuta, storie di emarginati, corse notturne attraverso le infinite e polverose highways americane, voglia di riscatto, dolorose cadute e inaspettate risalite.
In fondo tutta la poetica di Springsteen ruota intorno al tema dell’identità ed è questo uno dei segreti per capire lo straordinario senso di comunanza che si respira in un suo concerto, in cui il Boss non è vissuto come una rockstar lontana e irraggiungibile, ma un working class hero del New Jersey che ce l’ha fatta e che vuole, attraverso la celebrazione sempre nuova di un rito esaltante quanto catartico, che ce la facciamo anche noi a trovare i nostri “glory days”.
Ma torniamo per un attimo al pomeriggio di ieri, perché la giornata è stata ricca di musica, anche prima dell’ingresso di Springsteen e della "gioiosa macchina da guerra" chiamata E Street Band.
Alle 17.15, con una temperatura tipicamente estiva, è salita sul palco la Treves Blues Band, capitanata da Fabio Treves, il "Puma di Lambrate", uno dei pochi gruppi italiani che porta avanti con coerenza e senza compromessi la gloriosa tradizione del blues. Alle 18.30 è stata la volta dei Counting Crows, una delle migliori live band americane di roots rock, introdotte da Claudio Trotta, patron di Barley Arts, che ha chiesto e ottenuto un grosso applauso del pubblico per tutti i tecnici cha hanno reso possibile, grazie al loro duro lavoro, questo grande evento al Circo Massimo nell’ambito del Postepay Sound Rock in Roma.
Il cantante dei Counting Crows Adam Duritz è lontano anni luce, con le sue treccine rasta, gli occhiali da intellettuale, il pizzetto e la t-shirt che rivela qualche chilo di troppo, dallo stereotipo del frontman bello e dannato alla Robert Plant o alla Mick Jagger, tanto per dire i primi due nomi che ci vengono in mente.
Duritz, oltre ad avere una voce profonda ed espressiva, ha però una teatralità, una comunicativa e una assoluta coerenza tra ciò che canta e quello che è tale da renderlo un unicum nel panorama del rock contemporaneo, nel quale spesso l’apparenza supera la sostanza, oltre che un repertorio di classici, come Mr.Jones e Round here, che pochi altri gruppi possono vantare. Ecco perché è tanto amato dai suoi fan, non ultimi quelli italiani che l’hanno accolto ieri con l’affetto di un vecchio amico che non vedi da anni. Grandi applausi hanno salutato un'apertura con i fiocchi, perfettamente coerente con lo stile musicale del Boss.
L’inizio della maratona springsteeniana arriva poco dopo le venti e un quarto ed è subito magia con New York City Serenade, dove la E Street Band è affiancata dall’Orchestra Roma Sinfonietta, proprio come tre anni fa nel concerto ospitato all'Ippodromo delle Capannelle. Bruce, inquadrato in primissimo piano sui tre maxischermi, appare visibilmente commosso per l'affetto del pubblico, per la location mozzafiato e forse per il ricordo evocato dalla canzone, scritta quando era ancora un giovane cantautore di belle sperenza che dal New Jersey guardava alla Grande Mela come se fosse l'Eldorado e non un luogo comunque carico di contraddizioni.
"Grazie mille, Roma -saluta il Boss in italiano- Che bello essere nella città più bella del mondo, al Circo Massimo. Daje Roma!".
La commozione lascia presto spazio all'esaltazione rock di Badlands, Summertime blues (evergreen di Eddie Cochran richiesto come consuetudine attraverso un cartello in zona Pit), The ties that bind e Sherry Darling, quest'ultima cantata a tre con Patti Scialfa e Little Steven.
Da brividi l’esecuzione di Independence day, uno dei brani-fulcro di The River basato su un difficile rapporto tra padre e figlio, in cui le luci si abbassano mentre i telefonini dei 60.000 spettatori ricoprono il ruolo di lucciole del Terzo Millennio e l’assolo di sax di Jake Clemons conferma le notevoli qualità del nipote del compianto "Big Man".
Sono davvero numerosi gli episodi memorabili in uno show che non ha mai un calo di tensione o un momento di stanchezza: dalle intense e struggenti The ghost of Tom Joad e The River, cantata in coro da tutto il Circo Massimo, fino al duetto intimo, con le labbra che si sfiorano con quelle di Patti Scialfa, in Tougher that the rest, dal coinvolgimento dell'inno Beacuse the night, generosamente ceduta a Patti Smith, alla monumentale esecuzione di Land of hope and dreams dedicata alle vittime della strage terrorista della Promenade Des Anglais di Nizza.
Micidiale l’uno-due Born in the Usa e Born to run, mentre Dancing in the dark è puro divertimento con un ragazzino di 13 anni che viene chiamato sul palco a suonare la batteria insieme al fenomenale Max Weinberg, mentre una sua coetanea accompagna il Boss, visibilmente divertito, alla chitarra acustica.
Nell'immancabile Shout!, il climax della festa, Springsteen indossa i panni di James Brown o, se preferite, di un predicatore protestante nel fomentare il pubblico, ormai in visibilio, con continui call and response e stop and go, che prolungano all’infinito la canzone.
Dopo tante energia, la chiusura è affidata all’intimità acustica di Thunder road, in cui risuonano le parole “Well, I take this guitar and I learned how to make it talk”(“Bene, prendo questa chitarra e ho imparato a farla parlare”).
Bruce Springsteen, in una tiepida notte d’estate, è riuscito effettivamente a parlare a ciascuno di noi con la sua irresistibile comunicativa, lasciandoci dentro la sensazione che, nonostante gli orrori e le incertezze che ci circondano, possiamo rialzarci ancora una volta e sfidare il mondo. Perché siamo nati per correre. [Cliccare su Avanti per Scaletta e Video]
Setlist Bruce Springsteen al Circo Massimo di Roma
"New York City serenade"
"Badlands"
"Summertime blues"
"The ties that bind"
"Sherry Darling"
"Jackson cage"
"Two hearts"
"Independence day"
"Out in the street"
"Boom boom"
"Detroit medley"
"You can look but you better not touch"
"Death to my hometown"
"The ghost of Tom Joad"
"The river"
"Point black"
"Promised land"
"Working on the highway"
"Darlington country"
"Bobby Jean"
"Tougher that the rest"
"Drive all night"
"Because the night"
"The rising"
"Land of hope and dreams"
BIS:
"Jungleland"
"Born in the U.S.A."
"Born to run"
"Ramrod"
"Dancing in the dark"
"10th Avenue freeze-out"
"Shout"
"Thunder road"