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Calcio

L'inutile dibattito sulla criminalità organizzata e gli ultras

I fatti di Milano legati alla Curva Nord dell'Inter riportano alla ribalta la discussione sulla mancanza di controllo sulle curve. Argomenti già noti e affrontati anche dall'Antimafia senza che nessuno voglia pagare il prezzo per intervenire

Il regolamento di conti tra capi ultras dell'Inter, sfociato in omicidio a Cernusco sul Naviglio (un morto e un ferito tra i capi della Curva Nord nerazzurra), ha improvvisamente riacceso i fari sulla situazione delle curve italiane: i legami con la criminalità organizzata, l'infiltrazione massiccia della mafia e della 'ndrangheta. Tutto con lo stesso stupore della prima volta, come non esistesse ormai uno storico consolidato di fatti di cronaca nera, denunce, inchieste, impegni presi e promesse disattese. Accade ogni volta, come in un eterno giorno della marmotta.

Pur nella stagione post Covid degli stadi che sono tornati a riempirsi con numeri da inizio anni Duemila, l'ultima stagione ha sfondato la media delle 30mila presenze per partita, il convitato di pietra dell'assenza di controllo nei settori occupati dalle frange violente e della commistione malcelata con la criminalità è rimasto al suo posto. La Procura di Milano è impegnata dall'ottobre 2022 nella difficile inchiesta sull'omicidio di Vittorio Boiocchi, lo "Zio", uno dei leader della Nord freddato sotto casa nella sera in cui i suoi compagni di direttivo obbligarono, talvolta con metodi poco urbani, lo sfollamento del settore per lutto. Senza che nessuno intervenisse, se non a posteriori.

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Andrea Beretta (ferito) e Antonio Bellocco (morto), descritto dalle cronache come erede della potente famiglia 'ndranghetista radicata a Rosarno e ormai insidiata nel Nord Italia, altro non sono che quelli venuti dopo. O che c'erano anche allora. E come allora l'attenzione si sposta sugli affari garantiti dal controllo della curva: bagarinaggio, spaccio di sostanze stupefacenti, gestione di parcheggi e merchandising parallelo a quello ufficiale. Il già citato Boiocchi aveva sintetizzato tutto nell'inquietante affermazione di poter arrivare a guadagnare 80mila euro al mese per questa attività. Spesso nemmeno mettendo piede allo stadio, costretto a esercitare il proprio potere da lontano a causa di lunghi periodi in carcere o ristretto da un provvedimento di Daspo.

Tutto noto, insomma. E tutto apparentemente immutabile se è vero che di questa situazione i club calcistici sono allo stesso tempo complici e parti lese. Davvero non si può fare nulla per recedere il filo che lega il calcio, gli stadi, alla grande criminalità organizzata? L'esperienza recente dice il contrario. A patto di pagare un costo enorme in termini di consenso e incassi si può fare. Le società possono denunciare, tagliare i legami, esporsi al rischio di ritorsioni da stadio (se non personali per le figure che si espongono), azzerare il vantaggio di avere una curva calda e un tifo appassionato in nome del ripristino della legalità.

La strada seguita dalla Juventus prima, durante e dopo l'inchiesta Last Banner - filone della più ampia Alto Piemonte - con squadernato l'intreccio che intossicava i gradoni della Curva Sud dello Stadium. Non è successo in molte altre piazze. Anzi. La guerra di Claudio Lotito ai privilegi degli ultras della Lazio è nota così come è certificato il rifiuto di De Laurentiis di avere contatti con la tifoseria organizzata. Con qualche deviazione dal percorso come in occasione della pax sugellata da una fotografia di cui il presidente si sarà probabilmente pentito.

Pochi ma significativi esempi. Solo che all'epoca di Last Banner all'opinione pubblica era più gradita la narrazione di una presunta e mai dimostrata vicinanza tra Andrea Agnelli e la 'ndrangheta. La realtà delle inchieste interessava meno. E anche il lavoro della Commissione Antimafia presieduta dall'onorevole Rosy Bindi finì per essere in larga parte una caccia alle streghe con qualche scivolone come l'intercettazione inesistente evocata dal prefetto Pecoraro.

In ogni caso, a presente e futura memoria vale la pena ripercorrere alcune delle cose messe nero su bianco nelle conclusioni della Commissione, depositate il 14 dicembre 2017 dopo mesi di audizioni. Dentro c'è tutto. Quello che era e che evidentemente non è cambiato: "Le curve possono essere «palestre» di delinquenza comune, politica o mafiosa e luoghi di incontro e di scambio criminale" (pagina 11), "Nelle curve le norme perdono spesso il carattere di effettività e il diritto cede alla forza degli ultras" (pagina 12), "Progressivo rafforzamento delle componenti criminali all'interno dei gruppi organizzati attraverso la formazione di associazioni per delinquere dedite ad attività criminali quali ad esempio lo spaccio di sostanze stupefacenti" (pagina 14).

E ancora: "Il rispetto delle regole deve essere perseguito anche in quei settori nei quali oggi si lascia mano libera ai gruppi ultras" (pagina 54) oppure, provando a discutere del perché spesso siano le stesse forze dell'ordine a lasciar apparentemente fare senza intervenire, "la Commissione è consapevole della delicatezza dei profili che attengono alla gestione dell'ordine pubblico e alla tutela della sicurezza negli stadi durante le manifestazioni sportive e non rientra nelle finalità dell'inchiesta sindacare la legittimità e l'opportunità delle legittime scelte di politica criminale che le autorità preposte adottano nell'ambito della propria autonomia. Il dialogo delle forze di polizia con i tifosi, utile a fini informativi e conoscitivi, è certamente legittimo, a suo modo prezioso, e strumentale alla tutela dell'ordine pubblico e alla sicurezza dei cittadini appassionati di calcio che si recano allo stadio. Tuttavia, occorre meditare su quali siano confini entro i quali tale legittimo dialogo debba mantenersi, senza rischiare di generare – come effetto collaterale – involontarie forme di legittimazione e di rafforzamento dei capi ultras all'interno e all'esterno del mondo del tifo organizzato". (pagina 56)

Tra le proposte normative a corredo del lavoro spiccavano l'inasprimento delle sanzioni, Daspo o pene della giustizia sportiva, investimenti tecnologici per il controllo capillare degli stadi, formazione più professionale e centralizzata degli steward e un paio di idee di grande impatto, allora: introdurre il reato di bagarinaggio e pensare al modello inglese con le celle negli impianti per gli arresti immediati da trasformare in processi per direttissima e certezza della pena. Come sia andata a finire lo sa chiunque abbia frequentato uno stadio italiano dal 2017 a oggi.

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Giovanni Capuano