Il calcio è morto (o malato grave) ma il nemico è solo Agnelli
L'ultima uscita di De Laurentiis contro la Uefa, le preoccupazioni di Gravina e le parole di Cardinale: tutti denunciano i problemi del pallone e chiedono di cambiare le cose, anche radicalmente. Eppure a pagare sembra unicamente l'ex presidente della Juve...
Gabriele Gravina, Andrea Agnelli e Aurelio De Laurentiis hanno poco in comune in questo momento, se non di essere tre uomini di calcio. Il primo è il presidente della Figc e ha sul suo tavolo non pochi dossier scottanti in un momento storico di estrema difficoltà per tutto il sistema. Il secondo, a onore del vero, non fa nemmeno più parte dello stesso essendo dimissionario da tutte le cariche dentro Juventus e per di più inibito fino a prova contraria, cioè fino al giudizio conclusivo del Collegio di Garanzia del Coni. Il terzo è l'uomo del momento, alla guida del Napoli dei miracoli che sta correndo felice verso il terzo scudetto consecutivo della sua storia.
Eppure tutti e tre, pur facendo a gara a sottolineare le differenze, quando discutono del pallone e del suo stato di salute dicono più o meno le stesse cose. La sintesi brutale l'ha espressa De Laurentiis in un intervento fiume in cui ha attaccato la Uefa e l'attuale organizzazione del calcio europeo chiedendone di fatto la cancellazione: "Il calcio è morto". Gravina non si è spinto fin lì, ma non passa settimana senza sottolineare che il malato grave ha bisogno di cure urgenti sotto forma di riforme, che la Superlega o altre forme di fuga in avanti non sono accettabili ma le istanze da cui sono nate devono essere ascoltate e devono avere risposte. Fin qui non pervenute.
Non c'è grande differenza rispetto alla diagnosi spietata che da un paio di anni Andrea Agnelli fa del calcio europeo. Un sistema in profonda crisi, che la pandemia ha solo accentuato nei suoi effetti, alla perenne ricerca di nuove linee di ricavo per avvicinarsi al concetto di sostenibilità e garantire un equilibrio competitivo che sta rapidamente venendo meno. Agnelli pensa che il risultato si possa ottenere solo facendo saltare il banco della Uefa e su questa battaglia ha scommesso tutta la sua carriera di dirigente sportivo, prima ancora che intervenissero i fatti dell'inchiesta della Procura di Torino sui bilanci della Juventus. Gravina e De Laurentiis lo hanno attaccato e continuano a farlo, ma nella parte di diagnosi i loro ragionamenti sono sovrapponibili a quelli del 'grande nemico'.
Dunque, sarebbe utile a tutti che si ricercassero i punti in comune per un'azione condivisa invece di continuare a denunciare i problemi lasciando inalterata la struttura che dovrebbe affrontarli e risolverli. Il campionato europeo da 10 miliardi di euro di cui parla De Laurentiis è una boutade forse anche meno fattibile della Superlega nella nuova versione cui lavora A22 Sports Management, la società che si è presa carico del vecchio progetto naufragato. Ma è un'idea, da cui si può provare a partire. L'importante è fare, chiudendo la stagione dei veleni e degli attacchi. Anche perché diventa difficile sostenere che ADL e il suo Napoli oggi siano meno nemici della Uefa della Juventus post-Agnelli o di chiunque altro continui a sostenere che andando avanti così il calcio finirà per sbattere contro un muro, le norme (anche quelle nuove) non funzionano e peggioreranno solo la situazione.
PS - Anche Gerry Cardinale, ultimo arrivato in ordine di tempo come proprietario del Milan, si è unito al coro: “Il progetto Superlega è fallito e non c’è motivo di parlarne. Il punto è che bisogna però capire il perché era stato proposto, c’è una divergenza tra Inghilterra e il resto dell’Europa. La Superlega era stata strutturata male ma mettere equilibrio competitivo è una cosa giusta. Io voglio che tutta Serie A sia competitiva, la domanda è come farlo: se la Serie A mette le sue cose in ordine insieme a Liga e Ligue1 può collaborare per fare cose per bene".