Dybala e la Juventus: perché l'addio era inevitabile
Niente intesa tra l'argentino e il club, a fine contratto (giugno 2022) sarà separazione. Si chiude un rapporto troppo tormentato ed entrambe le parti sono libere di disegnare il proprio futuro
La rottura tra la Juventuse Paulo Dybala non deve sorprendere. Può essere dolorosa per il popolo bianconero, che in questi sette anni si era affezionato all'argentino arrivato a Torino poco più che ragazzino, ma rappresenta il finale corretto della storia anche se non privo di rischi per entrambe le parti. La Juventus non può escludere di ritrovarsi la Joya in un altro club italiano e di vederne esprimere lì il pieno potenziale, mentre Dybala esce dalla comfort zone in cui è cresciuto e dovrà compiere da solo il salto di qualità che fin qui ha mancato.
Che lo strappo si sia consumato dopo mesi di estenuante tira e molla, tra strette di mano rinnegate e appuntamenti sempre rinviati, non deve sorprendere. E' vero che il calcio mondiale si sta abituando all'idea che anche i giocatori più importanti si possano muovere alla fine del proprio contratto, non portando nulla nelle casse delle società e arricchendo invece quelle dei procuratori, ma sancire l'addio dell'uomo che doveva diventare il leader tecnico dei bianconeri non è stato comunque un passo semplice.
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A occhio non c'erano altre soluzioni. Dal punto di vista umano era impossibile ricomporre i cocci di una trattativa in cui una delle due parti, tra l'altro già provata da un lungo braccio di ferro, si era rimangiata la promessa fatta in autunno. Incomprensioni esplose anche a livello pubblico con le bacchettate del nuovo capo juventino, Maurizio Arrivabene, e la risposta piccata del giocatore. Perché si arrivasse a un nuovo accordo sarebbe servito che almeno una delle due parti facesse un passo sostanziale e sostanzioso verso l'altra e non è successo.
Le ragioni affondano in valutazioni che sono tecniche ed economiche e sono state spiegate dallo stesso Arrivabene nell'intervista al Corriere dello Sport che ha anticipato la fine dei giochi. Nessuno dei quattro parametri del nuovo corso juventino giustificava un nuovo investimento su Dybala. Non l'aspetto tecnico, perché da gennaio c'è un nuovo maschio Alpha nell'attacco di Allegri che risponde al nome di Vlahovic attorno al quale andrà costruita la nuova squadra, non il numero delle presenze effettive (troppi infortuni nelle ultime due stagioni), non la durata del contratto, che Dybala pretendeva oltre i tre anni sconfinando in area 'fine carriera' e nemmeno il valore economico attribuibile al giocatore.
Perché la realtà cruda è che, al di là dell'affetto che i tifosi possono provare per la Joya, il Dybala del 2022 non valeva in nessun modo il Dybala del calcio pre-Covid e un club impegnato nel darsi tetti e regole per riuscire a coniugare competitività e un equilibrio economico ancora distante. Essere a scadenza consentiva e consente all'argentino di immaginare di trovare un contratto ricco, portando in dote il proprio cartellino, non però nel club di appartenenza quasi immaginando che la Juventus dovesse ricomprarsi il calciatore garantendogli più soldi dell'effettivo valore.
Non significa che ora non possa essere un'ottima soluzione per qualcun altro e questo è il rischio che si è assunta la Juventus, soprattutto se dovesse restare in Serie A con una diretta concorrente per lo scudetto. La storia, però, si era consumata e cambiare farà bene ad entrambi: Allegri libero di trovare il partner ideale di Vlahovic, Dybala di cancellare l'immagine un po' triste e sbiadita di questi ultimi due anni.
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