Gattuso e l'elogio (sbagliato) dell'insulto all'arbitro
Il tecnico del Napoli contro Massa per l'espulsione di Insigne. Che lo aveva mandato a... quel paese. La pretesa che in Italia si possa offendere senza pagarne le conseguenze
Rino Gattuso è stato un furia dopo aver visto il suo Napoli perdere a San Siro il primo scontro scudetto della stagione contro l'Inter. Battuto da un rigore di Lukaku (indiscutibile) e lasciato in dieci dal rosso mostrato nella stessa occasione dall'arbitro Massa al suo capitano Insigne, colpevole di aver mandato il direttore di gara a... quel paese e sentito dal diretto interessato. L'allenatore del Napoli ha espresso pubblicamente un pensiero che evidentemente molti nel mondo del calcio condividono, almeno a giudicare dal coro di consensi che ha accompagnato le sue parole.
In sintesi. Quando i giocatori in un momento di tensione insultano, un arbitro dovrebbe fare finta di niente e girarsi dall'altra parte lasciando correre. Perché? "Queste cose succedono solo in Italia, in Inghilterra se dici 'Fuck off' gli arbitri non ti fanno niente. Il capitano del Napoli non può essere buttato fuori perché manda a cagare l'arbitro dopo un rigore dubbio. Vuol dire che uno è permaloso e che questo lavoro non lo capisce". Testuale e ripetuto due volte, perché fosse chiaro. Aggiungendo come postilla che lui il calcio inglese lo conosce avendoci giocato 22 anni fa e che, se si fosse applicata la tolleranza zero ai suoi tempi, avrebbe passato più tempo in tribuna da squalificato che in campo.
Ora, a parte che è tutto da dimostrare che in Premier League esista l'insulto libero all'arbitro mentre da noi no, la tesi di Gattuso sdogana un non detto che da sempre accompagna la figura di chi scende in campo col fischietto in bocca e ora con l'ausilio della tecnologia. E cioè che si tratti di persone che debbano far spesso leva sull'autoritarismo per veder rispettata la propria figura, mentre dovrebbe servire l'autorevolezza che deriva dal proprio carattere. Gattuso, in piena tranche, lo ha detto apertamente: "L'80% (degli insulti ndr)li facciamo passare, facciamo finta di niente, poi ci svegliamo con la luna storta e per far vedere che abbiamo personalità buttiamo i calciatori fuori".
In fondo non si scopre nulla di sorprendente. Il rapporto tra calciatori e arbitri non è alla pari e non è buono, al di là delle ipocrisie che accompagnano le dichiarazioni ufficiali. I primi non si fidano dei secondi che, a loro volta, vivono la loro professione troppe volte arroccati in un fortino che impedisce, ad esempio, di discutere serenamente anche gli errori. Un cortocircuito molto latino, italiano soprattutto, dal quale non si riesce ad uscire. Può darsi che gli arbitri abbiano soglie di tolleranza basse, è certo che altrove vengano trattati in maniera molto più rispettosa rispetto a quanto accade sui nostri campi, da quelli di provincia agli stadi della Serie A. La controprova si ottiene mettendosi in poltrona osservando un qualsiasi mercoledì di Champions League. Dove errori e polemiche non mancano, ma è raro vedere l'assalto alla diligenza che caratterizza le cose di casa nostra. Ora anche con libertà di insulto, come sogna Gattuso e con lui tutti quelli che non hanno il coraggio di dirlo apertamente.