Il Milan pensa a La Maura; l'Inter si sente tradita. Il Comune tace. Lo stadio di Milano è una soap opera
Cosa sta succedendo tra le due squadre e Palazzo Marino, in una vicenda di cui si parla da anni senza però fare un passo avanti concreto
Una partita a poker ma senza bluff e con nel piatto centinaia di milioni di euro oltre al futuro del calcio milanese. La vicenda intorno al nuovo stadio di Milan e Inter ha preso le sembianze di una sfida con tre protagonisti in gioco. Erano due fino all'inizio di questo 2023, poi lo strappo di Gerry Cardinale che ha scelto per il suo Milan la strada solitaria staccandosi dai cugini e rivali dell'Inter ha disegnato un nuovo scenario e mischiato le carte. Con la speranza per RedBird e la proprietà rossonera di accelerare i tempi e arrivare a una conclusione dopo aver trascorso quattro anni in un logorante confronto con la politica milanese, ma anche con il rischio di buttare via il lavoro faticosamente fatto magari per ricominciare daccapo. Semplicemente spostandosi di un paio di chilometri, dentro quell'area ormai famosa che risponde al nome de La Maura su cui Cardinale ha messo gli occhi, sembra perfetta per un club che non voglia uscire dai confini di Milano eppure ha anche il difetto di essere parte integrante di uno dei sistemi più vincolati e complessi del territorio milanese qual è il Parco Sud Milano.
La posizione del Milan appare chiara se si ascoltano le parole dei suoi uomini. Il presidente Paolo Scaroni lo ha ripetuto anche da New York, incontrando i club di quella città: si va alla Maura o, se non fosse possibile, ci si sposta fuori città. E' quello che Cardinale ha spiegato al sindaco Beppe Sala e al presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, nei due incontri a breve distanza in cui ha anche cominciato ad abbozzare un progetto di come potrebbe essere l'impianto rossonero.
Sala ha abbozzato e preso nota. Il numero chiave è 75, quanti sono gli ettari che richiede il progetto per essere realizzato. L'idea che siano ricavati dentro una delle poche aree a verde di Milano ha fatto insorgere metà della maggioranza che governa Palazzo Marino, più i residenti e tutto il mondo ambientalista. E' vero che si tratta di area privata, ma il Milan dovrà passare da qui per trovare soddisfazione e l'unica certezza è che non sarà un percorso breve o facile. Non solo. Per intraprenderlo serve un atto formale che è la rinuncia al precedente dossier relativo all'area del vecchio San Siro, arrivato faticosamente al penultimo step dopo il dibattito pubblico e con le richieste di modifiche che andrebbero recepite.
Una serie di interventi che dalle parti di Casa Milan si considerano onerose al limite dell'accettabile e che in ogni caso potrebbero non essere sufficienti se davvero nel 2025 si tornasse a discutere del vincolo sull'attuale impianto, come la nuova Soprintendente ai Beni Culturali Emanuele Carpani ha fatto sapere appena insediata. Un'incertezza impossibile da sostenere, forse l'ultima goccia che ha fatto traboccare il vaso.
Qui, però, entra in gioco l'Inter che sta facendo la parte del consorte tradito e abbandonato. In Viale Liberazione avevano capito da mesi che l'aria era cambiata e che l'arrivo di Cardinale alla guida al posto di Elliott stava modificando le strategie milaniste. Però, al di là di quanto detto nell'ultimo vertice alla presenza del sindaco Sala, nessuna comunicazione scritta è arrivata da parte degli (ex) alleati tanto che gli uomini di Zhang che si occupano della vicenda stadio stanno lavorando per compiere i passi formali necessari per proseguire con il vecchio dossier San Siro, tutt'altro che intenzionati a farlo cadere.
Lo strappo di RedBird viene vissuto come una violazione del memorandum of understanding siglato nel 2019, col quale i due club milanesi si erano giurata reciproca fedeltà. E qualche irritazione provocano anche le voci sull'eventuale scarsa affidabilità come controparte a causa della situazione finanziaria di Suning; un po' perché in ogni caso si fa notare che non ci sarebbero problemi a coprire la parte di investimento necessario per attivare un'opera che è poi in project financing, un po' perché alla fine Zhang da mesi fornisce i documenti richiesti dal Comune sulla sua titolarità da proprietario dell'Inter mentre da parte Milan si è chiesta una proroga di tre mesi che seguirebbe un altra richiesta simile a metà dicembre.
Strategie di comunicazione a supporto di quelle economiche sullo sfondo di una partita in cui non si vede la data finale. E nemmeno si intuisce fino in fondo quale potrà essere il terreno di gioco, considerando che l'attuale Giunta scadrà nel 2026 che sembra lontanissimo e invece è dietro la porta, se si pensa che Milan e Inter tentano senza fortuna dal 2019 di buttare giù il tabù del nuovo stadio e non hanno ancora avuto successo.
Impossibile fare pronostici, l'unica altra certezza è l'abdicazione di Milano al ruolo di città del fare e del pragmatismo. Nella vicenda stadio hanno vinto fin qui veti incrociati, ideologismi politici e il solito pregiudizio che colpisce chi in Italia vuole investire sulle infrastrutture sportive e viene considerato uno speculatore a caccia di ricchezze. Fa niente che da decenni chi si alterna alla guida di Milan e Inter perde decine, a volte centinaia di milioni di euro all'anno per cercare di conservare un ruolo di primo piano in Italia ed Europa. E poco importa che Milano sia una città che cambia volto alla velocità della luce, in cui nascono quartieri e grattacieli con indici edificatori enormemente superiori allo 0,35 alla fine accettato da Milan e Inter nel vecchio progetto. Tutto si fa, tranne lo stadio. O gli stadi. O, comunque, qualsiasi cosa possa dare un futuro al calcio sotto la Madonnina.