Italia, finale da sogno
Azzurri oltre l'ostacolo Spagna, soffrendo e senza dominare: manca una partita a uno storico Europeo. Il lavoro di Mancini, il coraggio di un gruppo senza limiti
Siamo in finale, con pieno merito anche se attraverso una notte di sofferenza che ha colorato Wembley d'azzurro intenso e ci ha consegnato alla sfida che vale l'Europeo. Contro l'Inghilterra o contro la Danimarca lo scopriremo, ma non serve adesso che bisogna celebrare l'impresa di una nazionale bellissima anche nel coraggio con cui ha affrontato la sfida fin qui più dura. La Spagna è stata un avversario difficilissimo, ha giocato a tratti meglio degli azzurri e li ha spaventati ma non vinti. Si potrà discutere a lungo su chi meritasse di andare oltre nei supplementari o nei rigori, la verità è che nello sport saper soffrire è un merito, non una colpa. E l'Italia di Mancini è stata camaleontica: dopo aver insegnato calcio contro il Belgio ha ritrovato l'antica virtù della sofferenza.
Epa
Andiamo in finale grazie alle parate di Donnarumma, nel corso della partita e poi ai rigori. Ci andiamo perché Chiesa è definitivamente esploso come uno dei talenti più interessanti del panorama europeo e perché abbiamo qualità ed esperienza in calciatori come Jorginho, che in questo straordinario 2021 si è già preso la Champions League e ora sogna ad occhi aperti il podio del Pallone d'Oro. Siamo a Wembley grazie alle corse di Barella, ai (pochi questa volta) lampi di genio di Insigne, alla Maginot di Bonucci e Chiellini, agli strappi a perdifiato di Di Lorenzo e alla freschezza di chi è entrato da una panchina sempre più ricca.
Tutto meritato perché frutto del lavoro di un commissario tecnico che da solo, nella primavera 2018, ha avuto il coraggio e la visione di immaginare che la nazionale, uscita con le ossa rotte dall'umiliante mancata qualificazione al Mondiale, potesse in fretta tornare ad essere competitiva. Non ramo secco di un movimento in agonia, ma vetrina per il rilancio. Ha avuto ragione lui e bisogna dargliene pieno merito. Comunque vada a finire l'11 luglio (sempre a Wembley) è stato un successo.
L'Italia va in finale perché è un gruppo, ma non un insieme di gregari. Ci sono grandi qualità, tecniche e morali. C'è un'opera di ricerca e cesello tattico. C'è la compattezza morale costruita nei giorni (pochi) di lavoro a Coverciano, la credibilità di uno staff carismatico e riconoscibile, la nettezza delle scelte. Per mesi Mancini e le sue vittorie in serie sono state accompagnate dal venticello dello scetticismo: si vince perché si gioca contro avversari modesti, manca la controprova con una big e via dicendo. Belgio e Spagna sono due grandissime nazionali e l'Italia ha vinto. Quindi cade ogni teorema e il primato di gare consecutive senza k.o. (siamo a 33) acquista agli occhi di tutti la giusta legittimazione. Bravo Mancini e bravo chi, alla guida della Figc, lo ha scelto e poi già confermato con un progetto a lungo termine.
Diciamolo piano, per evitare di scivolare in entusiasmi pericolosi: questo Europeo, qualunque sia l'esito della finale, è solo il primo passo. Wembely e poi il Qatar, con in mezzo la Nations League da giocarci tra Milano e Torino: se due anni fa qualcuno ci avesse raccontato questa cosa lo avremmo pregato di svegliarsi e tornare con i piedi per terra. Invece è tutto deliziosamente vero.